‘ndrangheta e Casalesi in Toscana: “grandi imprese” più delle Coop. #stopinvasione

Pubblichiamo questa inchiesta de Il Tirreno, la quale purtroppo non ci stupisce più di tanto, come pensiamo ormai non stupisca  nessuno (magistrati e legalitari compresi). Il fatto che ‘ndrangheta e Casalesi siano stabilmente, in Toscana come in Italia e nel mondo, un punto di riferimento per il riciclaggio del “denaro sporco”, mostra come il confine tra la legge di Stato e quella del mercato sia sempre più labile. Questo, non tanto perchè “si stava meglio quando si stava peggio”, pure “quando c’era Lui” fioccavano mazzette e diversamente mafiosi. La Mafia conta perchè è la più grande impresa d’Italia: al secondo posto ci sono le Cooperative di Legacoop, il cui Ex presidente è un certo Poletti, ministro del lavoro e padrino del JobsAc, primo fustigatore dei facchini in sciopero in Emilia…..serve continuare? Si tratta per noi, invece, di cominciare a comprendere come il rapporto sociale in cui siamo immersi nel mondo determini ovunque questo tipo di situazioni. La particolarità del paese in cui viviamo è una sola: le città esistono da secoli, il denaro e il capitale cominciarono a circolare proprio da qui, da Firenze e Pisa se restiamo in Toscana. Ci stupiamo per il recente caso ANAS, per il TAV o i Casamonica in diretta da Vespa? Per l’Expo come per le Autostrade fantasma? Del resto, danno da lavorare… Certi grandi interessi sono unitari, anche se pare si facciano la guerra. Si pensa seriamente di avere a che fare con un gioco di “luci e ombre”, invece di uno scontro e incontro continui tra grandi e piccoli gruppi d’affari, capaci di mettere in scacco perfino lo Stato? (pensiamo a Falcone e Borsellino e alla famosa trattativa).

Ciò non deve, in ogni caso, legittimare le chiacchiere da bar del tipo “sono tutti uguali” (qui valgono le regole base del Chi, Quando, Come e Perchè) dato che alla radice di ogni trasformazione del mondo reale, fisico e immateriale, esistono dei precisi interessi di classe. Vanno studiati, capiti e affrontati collettivamente. Suggeriamo al Partito Democratico al potere, che pare essere sempre in linea con certe “usanze” visto anche quel che sta accadendo a Roma, di pensarci bene a vomitare le solite scuse per farci ingoiare certi rospi: parlando di inceneritori, per esempio, anche lì spuntano fuori gli stessi interessi e soggetti. E’ singolare che non se ne parli più, a meno che non si sia di fronte a situazioni del tipo Mafia Capitale. Dovremmo cominciare, di fronte all’evidenza, ad affrontare un fatto: la vera Mafia è proprio IL capitale, il rapporto sociale in cui tutti, nessuno escluso, viviamo. La principale responsabilità del permanere di queste condizioni, però, va ricondotta agli interessi della classe al potere, formata da industriali, banchieri, grandi proprietari. La retorica sui “politici corrotti” qui non è di casa perchè, ricordiamolo: si stava meglio quando si stava meglio. Buona lettura.

Dalle carte dei pm antimafia emergono infiltrazioni in Lucchesia, nel Pisano e in Versilia  – di Massimo Mugnaini

FIRENZE. Dietro l’indagine sulla corruzione all’Anas Toscana e dietro quella sul Tav di Firenze da cui scaturisce, ci sono collaboratori di giustizia che da un paio di anni stanno raccontando ai pm antimafia del capoluogo toscano come la ‘ndrangheta, di concerto col clan dei casalesi, si sia infiltrata nei grandi appalti pubblici regionali.

A svelarlo sono le carte dell’inchiesta della Procura di Firenze che la scorsa settimana ha portato all’arresto per corruzione di tre dirigenti Anas (Antonio Mazzeo, Roberto Troccoli e Nicola Cenci) e dell’imprenditore Francesco Mele. «Solo la punta dell’iceberg» secondo gli inquirenti che hanno raccolto alcune deposizioni di pentiti di camorra e ‘ndrangheta che gettano una luce sinistra sulla capacità di penetrazione della criminalità organizzata in alcuni settori economici regionali, a partire da quello edilizio.

Mele non risponde al gip

Si è avvalso della facoltà di non rispondere Francesco Mele, l’imprenditore di Matera arrestato la scorsa settimana per il giro di tangenti all’Anas Toscana. Comparso ieri davanti al gip del Tribunale di Firenze Angelo Antonio Pezzuti, l’uomo difeso dall’avvocato Antonio Voce, ha scelto la linea del silenzio come già, nei giorni scorsi, i due dirigenti Anas finiti ai domiciliari Roberto Troccoli e Antonio Mazzeo, rispettivamente direttore amministrativo e capo compartimento della Toscana. Oggi l’interrogatorio del funzionario Anas Nicola Cenci, il quarto arrestato.Il nome di Mele era emerso per la prima volta nel corso di controlli sulla regolarità delle procedure di affidamento di commesse per lo smaltimento di rifiuti del cantiere del lotto 2 passante del nodo Tav fiorentino. Nel corso di una perquisizione in una ditta di gestione rifiuti, la Ecogest, fu sottratto un fascicolo di documenti riguardanti il rapporto con la società En.Gen.Co di Barberino del Mugello, rappresentata proprio da Francesco Mele e dal suo socio Giuseppe Della Monica, residente a Montevarchi (Arezzo) e originario di Castellammare di Stabia (Napoli). L’imprenditore di Matera, sostengono gli investigatori, «incentrava la sua attività sulla gestione di ingenti somme di denaro sia direttamente che tramite terzi», quindi «rendicontava» i suoi affari nei minimi dettagli al commercialista con studio nel Napoletano, Antonio De Simone, considerato dagli inquirenti un possibile «trait d’union con la criminalità organizzata campana», in particolare con il clan camorristico Cesarano di Castellammare di Stabia.

L’infiltrazione negli appalti

Dichiara al pm della Dda Monferini, un anno e mezzo fa, Francesco Oliviero, 45 anni, crotonese, ‘ndranghetista già a capo della locale di Belvedere Spinello (Crotone): «in Toscana mi sono preoccupato di trovare affari insieme a A.F. ‘ndranghetista del clan Morabito della locale di Africo. Ero suo socio, lui mi disse che il suo clan aveva avvicinato un dirigente Anas che aveva contatti di alto livello politico e imprenditoriale e che si diceva in grado di metterlo in contatto con dirigenti di Anas e Italferr per fargli avere lavori in subappalto». A.F. ‘ndranghetista originario della Locride, deceduto in carcere due anni fa, avrebbe proposto a Oliviero di partecipare all’affare con la fornitura di veicoli e noli per il movimento terra. «Mi disse anche il nome di un dirigente di Coopsette che si doveva occupare dell’appalto Tav, si chiama Lombardi, e che poteva essere avvicinato tramite il dirigente Anas. Questo episodio avvenne tra il 2009 e il 2010 quando si era in procinto di appaltare i lavori». Sui «contatti di alto livello» che avrebbero agevolato i rapporti tra criminalità organizzata e pubblica amministrazione, la magistratura sta tutt’ora indagando.

‘Ndrangheta e Casalesi

Secondo Oliviero, i calabresi sarebbero riusciti a infiltrarsi negli appalti per la realizzazione di grandi opere pubbliche come Tav e strade Anas – in particolare nel trasporto terre e rifiuti – proprio grazie ad A. F., garante dei contatti e dei contratti con le ditte del napoletano che operano in Toscana. Quali? Secondo Oliviero, una è la Ve.ca. Sud della famiglia di imprenditori casertani Ventrone: «nel 2011 A. F. mi disse che per l’appalto Tav Firenze non c’erano stati problemi perché erano già dentro amici nostri della famiglia dei Caturano, camorristi che lavoravano in accordo con la locale di Africo (Locri) e tramite lui anche la locale di Bianco del clan di Bruno Nirta». La Ve.ca. Sud, emanazione dei Caturano, «lavora nella Tav facendo trasporto e movimento terra».

A. F. avrebbe inoltre avuto a disposizione più ditte campane, intestate a prestanome, che lavoravano per suo conto.

Ma perchè un manager di Coopsette avrebbe avuto interesse a dare lavori a imprese criminali? «Perché i pagamenti possono essere dilazionati, non ci sono scadenze troppo pressanti e se bisogna smaltire rifiuti illecitamente, non vengono posti problemi… anzi è assicurata una protezione militare», risponde Oliviero ai pm antimafia, per poi aggiungere: «a fine 2011 incontrai un membro della famiglia di Petilia Policastro, un certo Garofalo di Pagliarelle, mi disse che in Toscana erano messi bene, fornivano il cemento e le betoniere ai cantieri Tav tramite imprese di Firenze. Mi precisò che per il movimento terra c’erano i casalesi che si erano associati con noi ‘ndranghetisti».

Le ditte di smaltimento

Sugli affari sporchi del connubio ‘ndrangheta-casalesi in Toscana c’è un’altra deposizione importante, quella del collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo, 49 anni, casertano, già appartenente al clan Bidognetti di Casal di Principe. Nel novembre 2013, davanti ai pm, il pentito sostiene: «mi sono sempre occupato di smaltimento illegale di rifiuti, anche fuori dalla Campania. Le ditte che trasportavano per conto dei clan erano riferibili all’affiliato Luigi Cardiello, che cambiava la denominazione societaria delle ditte con cui operava e veniva spesso in Toscana per smaltire i fanghi delle concerie di Santa Croce sull’Arno (Pisa). Portava i rifiuti in terreni che noi del clan gli indicavamo per lo smaltimento abusivo».

Vassallo sostiene di conoscere la Ve.ca. Sud: «Fa riferimento ai clan Belforte e Zagaria, Ve sta per Ventrone e Ca per Caturano. I loro veicoli partivano da Napoli carichi di materiali da portare al nord, tipo sabbia, e poi tornavano con gli stessi veicoli a Napoli carichi di rifiuti. Hanno preso subappalti di smaltimento per tutti i cantieri Tav Firenze dalle ditte appaltatrici dei rifiuti perché erano l’unica ditta in grado di smaltirli, i costi in Toscana sono molto elevati».

Michele Froncillo, di Marcianise (Caserta), 43 anni, pentito del clan Belforte, conferma le affermazioni di Vassallo: «il clan Belforte, di cui fanno parte i Caturano, aveva rapporti con società che facevano documenti e bolle false e poi smaltivano tutto abusivamente nei terreni». E sostiene lo stesso l’ex ragioniere del clan Belforte, Bruno Buttone, ora collaboratore di giustizia: «In Toscana trovammo imprenditori interessati a smaltire fanghi».

Toscana, «la prima regione»

Anche Cipriano D’Alessandro, già al vertice del potente clan omonimo, egemone a Castellammare di Stabia (Napoli), getta un’ombra inquietante sull’infiltrazione delle ‘ndrine in regione e chiama in causa il super boss Michele Zagaria. Cugino di Francesco Schiavone detto Sandokan, D’Alessandro si è di recente pentito e ha dichiarato che «ad Altopascio il clan dei casalesi è presente per tramite di Zagaria». Quest’ultimo, 57 anni, di San Cipriano d’Aversa, detto “capastorta”, è il capo assoluto dei casalesi. Arrestato nel 2011, è considerato il «re del cemento a livello nazionale» e tra i suoi principali interessi ci sono gli appalti pubblici.

Proprio ad Altopascio sono stati di recente confiscati beni per 1.2 milioni di euro a Giuseppe Lombardo, 50 anni, calabrese residente nel comune lucchese, finito in carcere a Prato nel 2013 e ritenuto al vertice di un sodalizio dedito allo spaccio e all’estorsione legato alla ‘ndrina dei Facchineri di Cittanova, in provincia di Reggio.

La mappa dei tentacoli

Stando a un recente report degli analisti della Dia, in Toscana i Facchineri si troverebbero in compagnia di molte altre famiglie ‘ndranghetiste: Ariola, Iamonte, Lanzino e Prioro-Piromalli-Molè tra Lucca e Massa Carrara; De Stefano, Nirta, Alvaro, Bellocco, Anello-Fiumara e Mancuso tra Firenze e Arezzo; Commisso, Arena-Trapasso, Grande Aracri-Nicoscia ad Arezzo; Pesce, Libri e Muto a Grosseto; Piromalli-Molè e Cordì a Livorno.

Tornando a D’Alessandro, nell’aprile 2014 il pentito condannato all’ergastolo, in carcere a Prato, rivela al pm Monferini: «in Toscana ho operato nel settore dei rifiuti dal 1988 tramite Antonio Iovine che all’epoca era latitante a Viareggio. Mi ospitava la famiglia Di Puorto a Torre del Lago. Con un ragioniere viareggino creammo una società commerciale per gestire i rifiuti. Le società toscane che ci stoccavano i rifiuti pericolosi da smaltire sapevano chi eravamo. Fu proprio la Toscana la prima regione in cui il clan iniziò questo business, che credo sia andato avanti a lungo».

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