Red Bull Lipsia: l’ultima frontiera del calcio moderno

La strategia di Red Bull è nota come “marketing content”: piuttosto che pagare per apporre il proprio logo su una macchina di F1, organizza la gara; piuttosto che sponsorizzare una squadra di successo, si compra il titolo sportivo di un club trascinandolo dalle serie inferiori ai massimi livelli

Il Red Bull Lipsia milita nella seconda divisione del calcio tedesco ed è nata nel 2009 su iniziativa dell’omonima multinazionale austriaca che ha acquistato la licenza sportiva di un piccolo club militante in quinta divisione. Ad un passo ormai dalla promozione in Bundesliga, i vertici del club non si nascondono e promettono di riportare nella città sassone quel titolo nazionale che manca dal 1913. Ma non hanno fatto i conti con un piccolo particolare: li odia una nazione intera.

In pochissimi anni sono riusciti nell’impresa di diventare la squadra più odiata di Germania. Da nord a sud, da est a ovest. La odiano le tifoserie antifasciste e quelle di estrema destra, la odiano gli ultrà ma anche i tifosi con le trombette di plastica e i cappelli di gommapiuma. Non stiamo parlando del Bayern Monaco vincitutto, né del Borussia Dortmund, dell’Amburgo o dello Schalke 04, ma di una squadra senza storia né tradizione che rappresenta il miglior paradigma possibile del calcio moderno: il RasenBallsport Leipzig e.V., meglio noto come Red Bull Lipsia.

Ladri di passione

Per un’azienda come quella austriaca che per promuovere il proprio prodotto impegna oltre il 30% del proprio fatturato in pubblicità, nel 2016 il passaggio al mondo del calcio era quasi obbligato. Dopo aver investito in tv, radio, cinema, hockey, sport estremi e Formula 1 (dove ha conquistato 4 campionati del mondo Piloti e Costruttori), Red Bull si butta nel pallone e fonda i New York Red Bulls, il Red Bull Ghana, il Red Bull Brasil ma soprattutto l’Austria Salisburgo, club con un passato più che discreto (anche una finale di Coppa Uefa persa contro l’Inter nel 1994) al quale cambia nome, colori sociali e gagliardetto nel 2005. Ed è subito un successo: 9 campionati austriaci, 3 coppe e altrettante supercoppe nazionali, un ottavo e un sedicesimo di Europa League. I tifosi dell’Austria Salisburgo non prendono bene lo scippo subito ma il movimento legato alle tifoserie in Austria è debole e le proteste non ottengono seguito. Anzi, alcuni decidono perfino di sostenere la squadra rivoluzionata. Ma per Red Bull il campionato austriaco non è che una base di partenza: è a Salisburgo che ha sede la multinazionale dell’Energy Drink ed è qui che serviva fare esperienza. Però i soldi veri sono altrove: in Inghilterra, in Spagna, in Germania. Premier League, Liga e Bundesliga. E l’occasione giusta si presenta proprio in Germania.

Lo sbarco in Germania

Come accaduto a Salisburgo, Red Bull si inserisce nel calcio tedesco rilevando un club pre-esistente. Ma la Germania non è l’Austria e non è facile trovare un club disposto a vendere l’anima al diavolo anche perché con la riunificazione calcistica delle due Germanie negli anni ’90 il modello generale di governance del calcio nazionale è stato ridiscusso: le sezioni calcistiche professionistiche dei club sono state integrate in società per azioni esterne a responsabilità limitata, separate dal nucleo fondativo dei soci. Come vedremo meglio in seguito, la maggioranza delle quote delle Srl calcistiche, ovvero almeno il 50% + 1, deve in ogni caso essere detenuta da associazioni registrate di soci dei club con potere decisionale sulla scelta e sulla nomina degli organi sociali.

Red Bull decide quindi di puntare ad Est ammiccando a quei club di tradizione che a seguito della riunificazione erano sprofondati nei campionati dilettantistici. La prima società oggetto d’interesse è la Dynamo Dresda, di gran lunga quella col maggior seguito, ma lo stadio piccolo e vetusto e una tifoseria troppo passionale (e violenta) che avrebbe fatto tutto tranne che stendere un tappeto rosso ai nuovi proprietari, spingono Red Bull a rivolgere il proprio sguardo in altro luogo. In particolare su Lipsia, che sembra offrire quanto di meglio si possa desiderare: uno stadio nuovo, moderno e sottoutilizzato quale il Zentralstadion (costruito nel 2004 per accogliere alcune gare del Mondiale 2006), un ottimo bacino d’utenza potenziale, una buona tradizione calcistica cittadina e al tempo stesso la contestuale assenza di un club di alto livello, una città culturalmente vivissima e per questo turisticamente appetibile. Scartata in partenza l’ipotesi di rilevare la Lokomotive per il fardello che la tradizione del club gialloblu avrebbe rappresentato, nel 2006 Red Bull tenta di rilevare il FC Sachsen, la seconda squadra di Lipsia, reduce da alcuni anni di cattiva gestione e risultati deludenti. Le proteste dei tifosi del Sachsen, però, ne impediscono l’acquisizione e la multinazionale austriaca, su suggerimento del proprietario del Zentralstadion, si rivolge ai dilettanti del SSV Markranstadt. Nuovo giro e nuova sommossa popolare: i tifosi del piccolo club spargono diserbante sul terreno casalingo del SSV, distruggono cartelloni pubblicitari Red Bull ma stavolta non basta. Oltre alla prima squadra del Markranstädt, Red Bull acquisisce anche quattro squadre del settore giovanile del FC Sachsen. È l’anno domini 2009. Poiché la Federcalcio tedesca vieta di inserire il nome di uno sponsor direttamente nel nome della squadra (a meno che non si tratti di investimenti a lunghissimo termine, come quello della Bayer a Leverkusen), il club viene furbescamente battezzato RasenBallsport Leipzig laddove le iniziali RB coincidono con quelle del nome Red Bull. Simbologia ed identità visiva del club vengono invece costruite ricalcando fedelmente il brand della multinazionale: dal simbolo con i tori rossi al soprannome ufficiale, Die Roten Bullenœ, (“I tori rossi”, appunto).

Nein Zu RB

L’RB conquista subito la Regionalliga, poi la Oberliga in tre anni e infine la Zweite Liga, la serie B tedesca. Un’ascesa costante che rappresenta solo la prima fase di un progetto che con ogni probabilità già a giugno porterà il club in Bundesliga. Un progetto pensato in dieci anni e conclusosi in 7. Poi la qualificazione in Champions League, almeno questo è l’intento del suo facoltoso presidente Dietrich Mateschitz, uno che sebbene preferisca il pragmatismo alle parole e alla luce dei riflettori, ha più volte apertamente parlato anche della possibilità di vincere il massimo titolo nazionale.

Forse però Mateschitz non aveva messo nel conto l’ostracismo di tutte le altre tifoserie tedesche contro l’RB e in particolare contro un progetto che di sportivo ha poco o niente e sfrutta il calcio solo come veicolo economico e pubblicitario. Perché all’RB di tutto quello che sta più caro a un tifoso – del romanticismo del mondo del calcio, dei sentimenti, della tradizione e della passione – non importa un bel niente. E i tifosi organizzati di tutta la Germania si sono uniti contro l’RB dando vita ad una campagna dal nome Nein Zu RB (“No al RB”). Parte della battaglia si gioca sull’interpretazione e la messa in pratica della norma che in Germania obbliga ogni club professionistico tedesco a rispettare la cosiddetta “Regola del 50+1” che per evitare ingerenze esterne nelle amministrazioni societarie prevede che almeno il 50%+1 della proprietà di un club professionistico sia in mano ad un’associazione di tifosi con diritto di voto nelle assemblee sociali. Nel 2014, a seguito di alcune modifiche normative apportate dalla federcalcio tedesca, la struttura organizzativa dell’RB Lipsia è stata modificata, specie per quanto concerne la composizione degli organi collegiali. Fino ad allora infatti nel CdA e nel collegio onorario erano stati ammessi solo impiegati e/o agenti della Red Bull, una palese violazione della norma a cui il club ha posto formalmente rimedio ammettendo le libere affiliazioni. In realtà l’RB infrange, anche se velatamente, tutte queste norme anche perché se uno volesse diventare socio del club sassone dovrebbe pagare circa 800 euro all’anno, contro ad esempio i circa 60 euro richiesti dal Bayern Monaco. Qualcuno ha però fatto notare come l’RB non sia il primo club calcistico europeo ad essere stato cannibalizzato da una multinazionale. Verissimo, anche altri club tedeschi sono di fatto proprietà di grandi aziende, ma quanto meno c’è un legame geografico tra le aziende e la regione in cui ha sede il club: gli uffici di Volkswagen sono a Wolfsburg, il gigante del software SAP ha sede a due passi da Hoffenheim ed è ad Ingolstadt che ha sede l’Audi, società principale finanziatrice della locale squadra di calcio. Red Bull invece ha sede a pochi km da Salisburgo e lo stesso Mateschitz non ha ancora assistito di persona ad una partita del suo RB Lipsia.

E i grandi club della Bundesliga come vedono il fenomeno RB? Non bene anche se si sono ben guardati da prendere posizioni ufficiali. Lo hanno fatto invece i tifosi, che nella cornice calcistica tedesca svolgono ancora un ruolo da attori protagonisti. Ogni partita che l’RB gioca in trasferta è accompagnata da sonore proteste da parte dei tifosi di casa e dall’esposizione di striscioni contro il club di Lipsia. Il più gettonato? Scheiss RB.

Tito Sommartino

Tratto da Senza Soste cartaceo n.113 (marzo 2016)

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