Il G20 di Hangzhou in Cina

Mentre in occasione dell’incontro internazionale (per la prima volta in Cina!) Sabato 3 arrivavano , uno dopo l’altro, all’Aeroporto internazionale Xiaoshan tutti i leaders politici delle venti principali potenze mondiali, nella stessa città, era in corso la prima parte di una “due giorni”, meno nota, ma più “di sostanza”: il “B20”, dove “B” sta per “Business”!… Si tratta del summit delle multinazionali, che, insieme alle associazioni internazionali delle categorie imprenditoriali, dal “G20” di Seul del 2010 in poi, sta sempre precedendo gli incontri fra i leaders politici; anzi, fin dal “G20” di Cannes del 2011 in Francia, tale tipo di summit è divenuto ufficiale ed “istituzionale”. In pratica, ad Hangzhou, capitale della regione Zhejiang, peraltro “cara” al Presidente cinese, che vi aveva costruito la propria carriera politica nel Partito, si è tenuto il 3 ed il 4 il “B20”, poi il 4 ed il 5 il “G20” vero e proprio!…

Le potenze del “G20”, e cioè Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e UE, “rappresentano”, a livello mondiale, il 90% del PIL, l’80% del commercio ed il 67% della popolazione. Il “G20”, va ricordato, era nato nel ’99 come “Forum dei Paesi industrializzati”, con una “mission” eminentemente economica, ma dopo dieci anni, nel 2009, non a caso proprio dopo l’inizio della crisi mondiale, fu individuato come “sostitutivo” del fatidico “G8”…

La Repubblica Popolare Cinese, che, per l’occasione, si è riservata anche l’invito di alcuni “ospiti d’onore” a proprio “uso e consumo”, personaggi come il Presidente “assoluto” kazako, Nazarbaev, o quello egiziano, Al Sisi, puntava da tempo ad un successo in questo genere di incontri sul piano internazionale, che le aprirebbe definitivamente la strada all’inserimento, da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI), peraltro lì presente con la Direttrice in persona, Christine Lagarde, della sua valuta, il renmimbi (rmb), la “valuta del popolo”, tra quelle di riferimento per gli scambi e le altre operazioni finanziarie. In tal senso va, infatti, anche la decisione dell’ormai prossima fusione della Borsa di Shenzhen con quella di Hong Kong, che aprirà, fra l’altro, a maggiori investimenti dall’estero.

L’appuntamento del “G20”, intitolato “Verso un’economia mondiale innovativa, rinvigorita, interconnessa ed inclusiva”, era stato preparato adeguatamente, oltre che dal vertice dei ministri finanziari, tenutosi a Shanghai il 10 Luglio, e dal vertice dei governatori delle banche centrali, tenutosi a Chengdu il 22 Luglio, dalla formazione di un gruppo di lavoro sulla stessa “architettura finanziaria internazionale”. Già a Luglio, “giocando in casa”, il premier cinese Li Keqiang in persona, dalla presidenza, aveva provveduto a chiarire quanto fosse insensato pensare alla Cina come ad una locomotiva di “traino della ripresa” economica internazionale, ma che si trattasse, invece, di “collaborare tutti insieme”, dando spazio alle potenze “emergenti”, e cioè, in pratica, alla Cina stessa.

A proposito di uno dei temi fondamentale di questo “G20”, com’è stato quello del “clima”, va ricordato che il 12 Dicembre 2015 a Parigi le delegazioni di ben 196 Paesi avevano raggiunto, e perciò “adottato”, un accordo per “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra”. Si trattava, ovviamente, di un accordo “a maglie larghe”, che lascia, cioè, ampia discrezionalità ai “produttori”: le emissioni inizieranno a calare dal 2020, con una prima verifica prevista per il 2023 e, successivamente, ogni cinque anni, con controlli autocertificati dagli Stati, mentre restano escluse le emissioni in aree extra- nazionali; non è prevista alcuna data certa per la “decarbonizzazione dell’economia” (letteralmente, la diminuzione del rapporto fra atomi di carbonio ed atomi di idrogeno nei combustibili; in pratica la tendenza all’abbandono dei combustibili fossili nella produzione energetica…), ed, infine, non è prevista alcuna sanzione per chi non lo osserverà. Nonostante tutto questo, tale Accordo non entrerà nemmeno in vigore nel 2020 se non sarà ratificato da almeno 55 Paesi produttori di almeno il 55% delle emissioni del mondo, a fronte di ben 23 Paesi ratificanti finora, ma che producono solo l’1%…

Ebbene, uno dei primi risultati, da molti definito “storico”, di questo “G20 cinese” è stata proprio la dichiarazione bilaterale USA-Cina di ratifica dell’Accordo di Parigi (loro che, da soli, producono il 38% delle emissioni di “gas serra”), avvenuta subito prima dell’inizio del summit! Sull’onda degli auspici papali, che considerano proprio il clima come uno dei “beni comuni” da “affidare” al “G20”, e con il Segretario ONU, Ban Ki-Moon, in veste di “cerimoniere”, mentre si è trattato di un indubbio successo del Presidente Xi Jinping, che, oltre tutto, va a soddisfare la nuova sensibilità popolare cinese verso i problemi ambientali, tale annuncio è servito molto anche al prestigio di Obama, nella sua ultima uscita ufficiale da Presidente.

Ovviamente non mancano certo i vantaggi economici per la rampante “finanza verde”, la vera protagonista, sempre più presente anche in Cina… Mentre, viste le altre delegazioni partecipanti, che producono un altro 37% di emissioni, dopo un simile “sblocco”, il totale del 55% diventa di sicuro “abbordabile” in futuro.

Ma è con i “confronti” bilaterali, che la diplomazia cinese ha costruito i risultati del summit: a latere del suo svolgimento, ma anche prima. Uno dei precedenti “capolavori”, ad esempio, è stato quello di “isolare” gli USA (con il solo Giappone) nell’opposizione alla banca di investimenti cinese, la “Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (AIIB)”, nata nell’Ottobre ’14 per maggiori connessioni fra Europa ed Asia, che ha visto, pochi giorni prima del summit, la richiesta di adesione, dopo Gran Bretagna ed Australia, perfino di un fedele alleato USA come il Canada: è il 58° Paese!

Le grandi scenografie , ovviamente, sono state tutte per i “politici”, che, dopo il “banchetto di benvenuto”, hanno partecipato anche al Gran Galà sul Lago, tutte occasioni per condurre incontri bilaterali, o magari multilaterali, ufficiosi, mondani, ma ben più redditizi dal punto di vista affaristico, davanti ad una leccornia o ad un bicchiere pieno…

Sul piano ufficiale, le tematiche del summit, oltre all’economia ed al clima, erano rappresentate da questioni meno complesse, ma più scottanti, come il “Ttip” e le questioni fiscali internazionali, con la Brexit e le guerre in Siria ed Ucraina a fare da “mine vaganti”. Come ormai noto, infatti, non si è avuta la prevista conclusione del Trattato Transatlantico su Commercio ed Investimenti, detto Ttip (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n.41 a pag. 1) entro l’Estate 2016, e ciò soprattutto per i contrasti economico-commerciali fra le potenze europee, che puntano sull’export “di qualità” (marchi Doc, Igp, ecc.), e gli USA, che, invece, non intendono di certo rinunciare in patria alla Legge “buy american”, che prevede, per qualsiasi appalto, un utilizzo di prodotti “made in USA” pari almeno al 50%. A complicare la trattativa è stata poi la Brexit stessa, che ha trasformato in un’incognita per il futuro la posizione internazionale del Regno Unito, importante sia di per sé in generale, che anche per il peso specifico sulle sorti del “Ttip”… Su tali temi, il “G20”, in pratica, non ha potuto che decidere un rinvio di fatto.

Per quanto riguarda le politiche fiscali dei vari Paesi, soprattutto la spinosissima questione della tassazione delle multinazionali, balzata in primo piano per la recente multa di 13 miliardi di Euro, che la UE ha voluto infliggere alla multinazionale USA, la “Apple”, per frode fiscale, la questione non poteva che essere rinviata. E’ stato deciso, infatti, di commissionare all’OCSE uno “studio” sui “paradisi fiscali” per stilarne una “lista”: pur traguardando sanzioni pesantissime, le stesse, con gran sollievo, sono state, così, procrastinate nel tempo… E naturalmente, non verranno certo considerati “paradisi fiscali” le varie “partnership”, che i maggiori Paesi imperialisti cercano di costituire con le numerose “zone di libero scambio” nelle aree di rispettivo interesse geopolitico!

Sui temi dell’economia, invece, aveva alacremente lavorato il “B20”, presieduto personalmente dal Presidente cinese Xi Jinping, ed all’interno del quale si erano formate ben cinque commissioni, chiamate “task forces”, una sulla finanza, una su commercio ed investimenti, una sulle infrastrutture, una sulle piccole e medie imprese (pmi) ed, infine, una sul lavoro, tutte presiedute da politici ed imprenditori cinesi, ma in cui i maggiori banchieri e finanzieri del mondo erano presenti secondo i rispettivi interessi prevalenti.

In particolare, per quanto riguarda il lavoro, rispetto al quale la Cina continua a non riconoscere le Convenzioni Internazionali del Lavoro (ILO), compresi sindacati indipendenti, le imprese erano guidate dal Presidente dell’Organizzazione Internazionale dei Datori di Lavoro (OIE), D. Funes de Rioja. Piena convergenza, ovviamente, sulla libera circolazione per “…i beni, i servizi, le persone e le idee innovative…”, ma, a parte i buoni propositi verso quella che viene definita “crisi migratoria” ed i rifugiati, la “circolazione” di cui sopra va diretta dove si possono “…produrre i benefici economici e sociali maggiori…”. Gli obiettivi in materia di lavoro, individuati in “innovazione” ed “imprenditorialità”, sono quelli che, con più evidenza, mostrano quali siano gli unici interessi, che si intendono perseguire in consessi di questo tipo da parte di tutti i presenti: quelli del profitto per il capitale!

Formalmente il “G20” di Hanghzou ha prodotto un Comunicato congiunto dei venti Capi di Stato, formato da n. 48 punti, che perfino molti commentatori borghesi considerano pieni di retorica e fantasia; questo è verissimo, sia per quanto riguarda l’ipocrisia “populista” di cui sono impregnate tutte le dichiarazioni di intenti lì riportate, sia per alcuni passaggi a carattere puramente ideologico. Vi si afferma fra l’altro, infatti, che è stato siglato un “nuovo patto per la crescita globale”, con un modello “innovativo, inclusivo ed interconnesso”, ignorando, così, la forza strutturale della crisi in corso. E tale crescita dovrà essere, perciò, “forte, sostenibile, bilanciata ed inclusiva” a livello globale… In questo senso, si sono pure spinti ad “aggredire” la sovraproduzione industriale, “contro” la quale intendono costituire… un “Forum mondiale”!

Mentre un altro dei tangibili accordi bilaterali è quello intercorso tra Russia ed Arabia Saudita per stabilizzare il mercato del petrolio, anche se, per ora, solo attraverso una “task force” di studio dei mercati, ma che ricomprenda anche la produzione iraniana, che, è utile ricordarlo, aveva provocato l’abbassamento del prezzo, scelta importante pare essere stata quella di accordi tali da cancellare il ricorso al protezionismo, verso una sorta di “liberismo concordato”, per una “economia aperta”… In questo senso, dichiarazioni di intenti, davvero difficili da rispettare!…

Non bisogna, però, cadere nel totale scetticismo sul significato internazionale di questo appuntamento, senza notare, ad esempio, che il “partenariato pubblico-privato”, considerato fondamentale, oltre che dalla sinistra borghese qui in Italia, anche a livello internazionale proprio dalla Cina, che lo sta sperimentando in patria in diverse forme, è assurto in modo più chiaro a “priorità” a livello planetario, anche nella forma di “partnership multidimensionali”, e che rappresenta, oltretutto, a proposito di crisi…, una “nuova” ulteriore forma di estorsione di risorse ai proletari!

Se è vero che nessuno dei conflitti bellici in corso ha fatto passi sostanziali verso un suo superamento (e non poteva che essere così, dato che perfino al “ruolo di pace” dello stesso ONU non credono più “nemmeno i bambini”; figuriamoci a quello di un incontro di questo tipo tra “predoni”!), se non si vuole considerare tale, come infatti non è, la recente tregua in Siria, ritardato frutto dei colloqui bilaterali sul tema tra Putin ed Obama ad Hanghzou, appare molto difficile rinvenire nel Comunicato finale del “G20” qualcosa che sia in contraddizione, a qualsiasi livello, con la strategia cinese! Nè alcuno ha sollevato questioni per le attuali esercitazioni militari congiunte russo-cinesi nel Mare Cinese Meridionale, che, del resto, seguono quelle tenute di recente in zona da USA e Giappone.

Il principale successo cinese è, però, da ravvisarsi in quello che è stato definito, nel Comunicato finale del vertice, l’entrata in scena del “consenso di Hanghzou”, in una non casuale assonanza con il “consenso di Washington” del ’89, quando le ricette per “salvare l’economia” da parte di F.M.I., Banca Mondiale e Dipartimento del Tesoro USA (istituzioni con sede a Washington), a partire dal Sudamerica, erano tutte “neo-liberiste”. Adesso, invece, formalmente, si tratterebbe di “una traiettoria innovativa, invigorita, interconnessa, inclusiva” (le quattro “i”), secondo quanto finora esposto, per quella “crescita sostenibile”, traguardata dall’ONU per il 2030. Una vera armonia …cinese!

In realtà l’essenziale è il tentativo di costruzione di una nuova “architettura finanziaria internazionale”, che, togliendo il primato agli USA, risponda, anche a livello di sovrastruttura, al sopravanzamento dell’economia USA da parte di quella cinese, prendendo atto, fra l’altro, dell’attuale multipolarismo internazionale, in accordo all’obiettivo della Repubblica Popolare Cinese, la cui “vittoria” ideologica è ben impersonata dal linguaggio retorico del Presidente Xi Jinping, che, al termine, ha dichiarato: “La crescita è per i popoli, deve essere raggiunta dai popoli, deve essere distribuita tra i popoli”.

Va registrato, in ultimo, l’appagamento di Matteo Renzi per il “G20 cinese”. Lì ha “celebrato” le sue “riforme”, come il Jobs act e la “Renzi-Boschi”, peraltro caldamente apprezzate sia da Obama, che da Xi, ed ha “ripreso” le imprese nostrane sul fatto che, dei 38 miliardi di Euro di scambi dell’Italia con la Cina, oggi solo 10 miliardi sono di export, indicando la nuova “classe media” cinese come destinataria del “made in Italy”. Dopo “voli pindarici” sui nostri “valori e ideali”, si è, poi, molto prosaicamente, accordato con Jack Ma, responsabile del portale cinese “Alibaba”, non a caso la “personalità” che ha presieduto la “task force” sulle pmi al “B20”, per portare da due (2) a quarantanove (49) il numero delle imprese italiane che utilizzeranno “Alibaba” per commercializzare, anche “on line”, le proprie produzioni in Cina… Ingolosito, infine, dai propri successi, ed “incantato” dallo spostamento coatto di milioni di persone da Hanghzou, attuato dalle autorità cinesi per “fare posto” al summit, il premier ha, così, candidato l’Italia, dopo la Germania l’anno prossimo e l’Argentina nel 2018, ad ospitare il ”G20”. I proletari che vivono in Italia sono, così, avvertiti!…

 Alternativa di Classe

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