Industria 4.0: utopia per il capitale, incubo per i lavoratori
Quindi nessuna novità. C’è solo un’ulteriore tappa tecnologica nei modi di produrre che, come in passato, portano alla sostituzione di lavoro umano con lavoro automatizzato. La novità sta nel fatto che i software di autoapprendimento riescono a svolgere anche i cosiddetti lavori “intellettuali”, prevalentemente impiegatizi.
Se un tempo una macchina poteva sostituire il lavoro delle persone ma necessitava comunque del controllo dell’uomo, oggi questa funzione può essere assegnata ad un software con l’ausilio di sensori e telecamere. Ormai abbiamo la tecnologia per automatizzare interamente il ciclo produttivo. C’è effettivamente la possibilità di realizzare un intero impianto senza alcun lavoratore. Ad esempio l’Adidas vuole riportare una parte della sua produzione in Germania, costruendo una fabbrica completamente automatizzata.
In questo caso l’effetto reshoring porta soltanto alla distruzione dei posti di lavoro, senza crearne altri.
Sotto un profilo strettamente tecnico c’è realmente la possibilità di eliminare il cosiddetto capitale variabile, ovvero il salario del lavoratore. Quanto però questo sia compatibile con le leggi del capitalismo è tutto da vedere.
Ma è un bene o un male l’automazione dei processi produttivi? Le macchine sono al servizio o in antagonismo al lavoratore? L’automazione è una risorsa che libera tempo o un incubo che genera la cosiddetta disoccupazione tecnologica con conseguente miseria?
Oggi si discute molto dell’impatto di queste nuove tecnologie nella produzione, con le più disparate soluzioni: tassare i robot che “rubano” il lavoro alle persone, reddito di cittadinanza, ecc. Vogliamo andare a recuperare alcune parti del Capitale di Marx dove si spiega l’inserimento delle macchine nell’industria, non per fare gli apologeti di Marx, né per usare il Capitale come il libro di ricette, ma per dimostrare che certi meccanismi di questo sistema economico sono già stati codificati qualche secolo fa.
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