[Radiodimassa]Le pulci nelle ‘recchie – programma d’informazione femminista

CHAPTER FIVE: “MADRI O PUTTANE?”

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OGNI LUNEDI’ ORE 16.Oo


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5 risposte a [Radiodimassa]Le pulci nelle ‘recchie – programma d’informazione femminista

  1. marco sbandi scrive:

    Madri o puttane. La regola del maschilista è sfruttare
    di nascosto la puttana per abbandonarla in luogo chiuso
    quando è madre. Se i bravi maschilisti sono contrari alla prostituzione per strada è perche in quel caso sono costretti ad agire allo scoperto …
    Ogni tanto riemerge allora il dibattito sul ruolo della prostituzione, essendo per i maschilisti ovvio che il ruolo della donna è quello sia prima che dopo il matrimonio (se intendono divorziare le uccidono).
    Tale concezione viene rafforzata dal fatto che da sempre le donne contadine e proletarie sono state usate come uteri usa e getta dalla aristocrazia, ed ancora oggi lo sono in tanti paesi colonizzati ma anche in italia, con affidi a famiglie di provata fedelta al regime quando donne rom e proletarie si trovano in condizioni di poter difficilmente mantenere i figli
    (potrebbero essere aiutate a mantenerli ma si preferisce regalare la loro prole ad altre).
    Non a caso bisogna che le donne partoriscano ad ogni costo, anche della propria vita, pur di produrre un bambino da lanciare sul mercato delle adozioni e degli orfanatrofi. La madre come stabilisce anche la legge 40
    è una donna il cui corpo puo essere sfruttato dal capitale come mezzo di produzione.
    Fin da bambine le donne proletarie in molti paesi vengono avviate alla prostituzione. Ma quel sistema
    capitalistico che le ha indotte alla prostituzione ha
    bisogno di stigmatizzarle al punto da convincerle che
    non hanno valore neanche come persone, cosi come non
    ne hanno le persone che lavorano e che devono lavorare
    gratis per il padrone (e appaena partoriscono possono
    vendere il loro figlio o essere licenziate).
    Come si puo affermare allora, come emerge ogni tanto,
    che la prostituzione sia un atto di rivolta e rivoluzionario, come se si trattasse di una scelta della donna vista la innegabile violenza insita nel rapporto per la maggioranza delle persone costrette a prostituirsi.
    Forse coloro che erano per la pensione alle persone lgbt ma contemporaneamente votavano per l azzeramento delle pensioni (radicali) oggi hanno, come Berlusconi,
    un consiglio da dare a disoccupate e disoccupati :
    se non trovate un ladro importante da sposare
    allora prostituitevi per qualsiasi catto-fascista vi incontri e restate a disposizione allegre,
    che il vostro piangere fa male al re e al cardinale.

    marco sbandi
    napoli

  2. Viviana scrive:

    Marco la prostituzione è violenza come un qualunque altro lavoro. Il lavoro in sè è violenza, bisognerebbe partire da questo. Lo sfruttamento è il medesimo, cambia solo il mezzo. Posso capire che per te non ci sia nessuna “rivoluzione” nel prostituirsi, che tu possa considerarla l’ennesima violenza sulle donne… ma, dal mio punto di vista, questo vale per la tratta e non per la prostituzione autodeterminata. Mi spiego. Se io scelgo di prostituirmi lo decido in modo “autodeterminato”, sono cosciente cioè del livello di sfruttamento a cui mi sottopongo, ma dall’altra parte tutt* noi siamo sfruttat* e allo stesso tempo decidiamo di lavorare. Perchè l’insegnante non si definisce una sfruttata e una prostituta sì? Chi decide il livello di sfruttamento? per me stanno sullo stesso piano, ma la prostituzione, rispetto agli altri lavori, svela un rapporto di generi che non piace, che si vuole tenere nascosto, ma che è presente in tutti i lavori. Questo, a mio avviso, è l’elemento che rende la prostituzione rivoluzionaria. E se il tuo discorso sul capitalismo che “obbliga” le donne a prostituirsi può essere vero, lo è per tutti i lavori. Il capitalismo ci obbliga a lavorare e ad essere trattat* da schiav*. Se cerchiamo di contestualizzare il tutto, sempre secondo me, ci accorgeremmo che tutto è prostituzione e allora perchè stigmatizzare le/i sex worker come “quell* costrett*”? A chi piace il proprio lavoro? Credo nessun*.

    Comunque grazie per le riflessioni, che sono sempre gradite ^^

    viviana

  3. marco sbandi scrive:

    Io non stigmatizzo affatto chi si prostituisce, ma ammesso che sia un lavoro scelto e non subito, non lo ritengo rivoluzionario, ma casomai uno scegliere tra le forme di violenza. Nessun lavoro in se è rivoluzionario
    se non c’è la coscienza di classe che individua nel capitalismo la causa dello sfruttamento.
    Un conto è aver diritto di scegliere di prostituirsi,
    un conto è ritenere che mettendosi al servizio del peggior maschilismo si fa la rivoluzione.
    Non riesco a credere comunque che esista una scelta di prostituirsi quando le condizioni economiche e sociali
    permettono di non farlo.

  4. jo scrive:

    Purtroppo la scelta esiste perché strane condizioni culturali la presentano come appetibile. Tuttavia anche io credo non si possa parlare di resistenza o addirittura di rivoluzione, sebbene lasciare entrare nel range dei “mestieri possibili” (quindi sfruttamenti possibili, come bene metteva in luce Viviana) quello della prostituzione mette un po’ in crisi la stessa morale borghese che rende “l’andare a puttane” una questione di evasione maschilista dalla famiglia di cui si è padroni. Magari la prostituzione stessa avrebbe un altro senso, meno sproporzionato nel rapporto tra i generi, e consentirebbe a chi la pratica di acquisire quella coscienza di classe di cui parla Marco. Il punto qui è che questi soggetti, esistenti e fortemente perturbanti, non solo non sono rivoluzionari in sé, ma non sono neppure “rivoluzionabili”, cioè non gli è proprio data la possibilità di rintracciare la causa del proprio malessere collettivamente in una matrice chiara cui ribellarsi. Quindi stiamo parlando proprio della base delle basi della coscienza di classe…

  5. order diflucan scrive:

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