Libertà per Jonathan Pollack

Riceviamo e diffondiamo questo ennesimo tentativo di repressione.
JONATHAN POLLAK IN CARCERE DALL’11 GENNAIO

Condannato il 27 dicembre a tre mesi di carcere per aver partecipato nel 2008 a una manifestazione in bicicletta per protestare contro l’assedio a Gaza, l’attivista israeliano di “Anarchici contro il muro” comincera’ a scontare la pena tra qualche giorno.
Free Jonathan PollakRoma, 06 gennaio 2011, Nena News (nella foto Jonathan Pollak con il padre prima della sentenza) – Il giudice della Pretura di Tel Aviv Yitzhak Yitzhak ha giudicato colpevole Pollak di assemblea illegale per aver partecipato nel gennaio del 2008 ad una manifestazione in bicicletta di Massa Critica contro l’assedio di Gaza; lo ha condannato a tre mesi di carcere con inizio dall’11 gennaio 2011. Pollak è stato l’unico arrestato in tale protesta ed è stato accusato di non aver fatto altro che andare in bicicletta, come tutti gli altri manifestanti. La sentenza attiva una più vecchia condanna a tre mesi, sospesa, inflitta a Pollak in un precedente processo per aver contestato la costruzione della Barriera di Separazione. Un ulteriore periodo di tre mesi di carcere gli è stato inferto a seguito dell’attuale sentenza; verrà fatto scontare ora.

A proposito della sua condanna, Pollak, nei confronti della sentenza, ha sostenuto: “In questo caso, mi ritengo incapace di esprimere rimorso [….]. Se Vostro Onore deciderà di procedere infliggendomi la condanna detentiva sospesa, andrò in prigione senza frapporre ostacoli e a testa alta. Ritengo che sarà lo stesso sistema giudiziario a dover abbassare gli occhi di fronte alle sofferenze inflitte agli abitanti di Gaza, proprio come abbassa gli occhi e distoglie lo sguardo tutti i giorni, quando si trova faccia a faccia con le realtà dell’occupazione.”

Il 31 gennaio 2008 alcuni dimostranti avevano partecipato alla manifestazione in bicicletta di Massa Critica per le vie di Tel Aviv, protestando contro l’assedio di Gaza. Durante la contestazione Pollak era stato arrestato dalla polizia in borghese, che lo aveva riconosciuto perchè aveva partecipato ad altre proteste e perché, come avevano affermato in tribunale, avevano dedotto che era lui l’organizzatore e il personaggio a capo dell’iniziativa. Dopo l’arresto di Pollak, alla manifestazione era stato concesso il permesso di proseguire indisturbata; si era conclusa senza ulteriori incidenti o fermi.

L’arresto e la successiva imputazione appaiono essere il risultato di una vendetta della polizia, più che la conseguenza del comportamento tenuto da Pollak durante l’evento; Pollak non era stato l’unico del gruppo dei manifestanti a comportarsi esattamente in questo modo, tuttavia è stato l’unico ad essere preso di mira. Oltre a ciò, le iniziative ambientali di Massa Critica hanno luogo regolarmente a Tel Aviv, ma mai si sono scontrate con una tale reazione. Altre manifestazioni che hanno causato blocchi del traffico di assai maggiore gravità (ad esempio il corteo di protesta di migliaia di motociclisti) mai hanno portato ad arresti. e certamente mai hanno determinato schedature con accuse penali o incarcerazione.

Avv. Gaby Lasky, difensore di Pollak: “La polizia non solo ha preso di mira Pollak in una folla di persone che stavano facendo proprio le stesse cose, ma ha preso di mira l’intera manifestazione di protesta per nessun altro motivo che la posizione politica. A Tel Aviv hanno luogo regolarmente avvenimenti dello stesso tipo, senz’alcun intervento della polizia, figuriamoci poi arresti ed incarcerazioni.”

Discorso di Pollak sulla sentenza:

“Vostro Onore, una volta giudicato colpevole è consueto che l’accusato chieda clemenza alla corte ed esprima rimorso per aver commesso il reato. Comunque non mi ritengo capace di farlo. Fin dal suo inizio, in questo processo non vi è stato in pratica alcun disaccordo sui fatti. Come afferma l’atto d’accusa, ho effettivamente percorso in bicicletta, allo stesso modo degli altri, le strade di Tel Aviv, per disapprovare l’assedio di Gaza. Ed effettivamente, mentre stavamo pedalando sulle biciclette, che legalmente sono veicoli idonei alla strada, possiamo aver rallentato un po’ il traffico. L’unica e banale discordanza in tutto questo caso ruota attorno alle testimonianze udite dagli investigatori della polizia che hanno affermato che ho svolto un ruolo guida durante tutto il giro di protesta in bicicletta, cosa che io, come del resto tutti i testimoni della difesa, nego.

Come detto prima, a questo punto del processo è uso pronunciare parole di rimorso, mentre in realtà preferirei esprimere il mio rammarico per quanto riguarda un aspetto particolare dei fatti avvenuti quel giorno: se ho un rimorso nel cuore, è, proprio come ho sostenuto durante il processo, nel non aver svolto quel giorno alcun ruolo preminente nella protesta, e di non aver adempiuto perciò al mio compito di fare tutto ciò che fosse in mio potere per cambiare la situazione intollerabile degli abitanti di Gaza e porre fine al dominio di Israele sui palestinesi.

Durante gli atti processuali Vostro Onore ha dichiarato, e verosimilmente ancor più dichiarerà in futuro, che un processo non è una questione di politica, bensì di diritto. A questo replico che non c’è quasi nessuna discordanza in questo processo se non di tipo politico. La corte può aver intralciato l’allestimento di un’adeguata difesa quando si è rifiutata di ascoltare le argomentazioni riguardanti la discriminante politica nella condotta della polizia; comunque perfino dalle testimonianze ammesse è risultato evidente che una discriminante di questo tipo esiste.

L’argomento del mio presunto reato, così come ciò che lo motivava, era di tipo politico. Questo è qualcosa di ineludibile. Lo stato di Israele sottopone a un assedio illegittimo, disumano e illegale la Striscia di Gaza che è ancora, secondo il diritto internazionale, un territorio occupato. L’assedio, effettuato in mio nome come pure nel Vostro, in effetti nel nome di tutti noi, è una punizione collettiva crudele che viene inflitta a comuni cittadini, residenti nella Striscia di Gaza, soggetti senz’alcun diritto sotto l’occupazione israeliana.

Di fronte a questa realtà e in opposizione ad essa, il 31 gennaio 2008 scegliemmo di esercitare la libertà di parola concessa ai cittadini ebrei di Israele. Tuttavia, risulta che qui. nella nostra una-delle-molte-false-democrazie del Medio Oriente, perfino questa libertà non è più garantita, nemmeno ai figli privilegiati della società.

Non sono sorpreso dalla decisione del tribunale di incarcerarmi, sebbene non nutra alcun dubbio che le nostre azioni di quel giorno sono conformi alle definizioni più fondamentali ed elementari del diritto di protestare.

Effettivamente, come il pubblico ministero ha evidenziato, una pena carceraria pendeva sul mio capo dal momento della protesta in bicicletta, essendo stato condannato in precedenza per un identico articolo di legge. E, anche se sono tuttora convinto di non aver commesso un qualunque reato, ero consapevole della possibilità che, in base alla giustizia israeliana, mi si comminasse la condanna sospesa.

Devo aggiungere che, se Vostro Onore decide di procedere infliggendomi la condanna detentiva sospesa, andrò in carcere senza frapporre ostacoli e a testa alta. Ritengo che sarà lo stesso sistema giudiziario a dover abbassare gli occhi di fronte alle sofferenze inflitte agli abitanti di Gaza, proprio come abbassa gli occhi e distoglie lo sguardo tutti i giorni quando si trova faccia a faccia con la realtà dell’occupazione.