BikeSnobNYC

quartino_bikeEben Weiss, Bike snob. Manifesto per un nuovo ordine universale della bicicletta, 2010, Elliot

Un libro scorrevole e divertente che passa in rassegna il fenomeno del ciclismo urbano e descrive il “sottoinsiemi di ciclisti” a cui il rinascimento ciclistico degli ultimi 10-20 anni ha dato luogo, ormai (finalmente) anche qui in Italia: il corridore, il mountai biker, il ciclocrossista, il triatleta, il ciclista metropolitano, il messenger, la bella godzilla, il brontolone rétro, il ciclista virtuoso, il lupo solitario, il capitan trabiccolo. Eben Weiss, titolare del noto blog bikesnobnyc, qui alle prese con il suo primo libro, è uno che sicuramente ama la bicicletta, la usa e si lascia trasportare da questo mezzo di trasporto per (ri)guardare il mondo con occhi nuovi:

Una volta che sarete entrati nello spitito della cosa […] conoscerete la libertà autentica di una mobilità priva di regole e, quando la sperimenterete, ne sarete conquistati. Scoprirete anche che i vostri amici non ciclisti sono piuttosto fastidiosi, perchè vi renderete conto di quanto ci mettano a spostarsi e di quanto siano soggetti a cose come orari, interruzioni del servizio e disponibilità di parcheggi. E vi farà uscire di testa che non siano in grado di prendere una bicicletta e partire. Vi sentirete come se foste gli unici nati per il volo in mezzo a un mucchio di uccellini senza ali. Quando vi arrenderete alla bicicletta, essa potrà effettivamente cambiare la vostra vita” (p.42).

Dopo una breve ricognizione storica sulla nascita della bicicletta nel XIX secolo – corredata da alcuni piccoli inserti che riportano l’accoglienza che i giornali del tempo riservarono a questo magnifico mezzo di trasporto – il libro passa alla definizione puntuale del ciclista, ad una serie di consigli su come sopravvivere nel traffico metropolitano, ad una divertente descrizione della gentrificazione hipster di Brooklin, poi ad un minimo manuale delle riparazioni indispensabili ed infine ad un “breve manuale di bon-ton per i non ciclisti”. Il libro è insomma un vero e proprio elogio della bicicletta e del ciclismo urbano, che ci permette di “sfuggire al grigiore della vita” e di assaporare un pochino di quella libertà che gli ingranagi del sistema tendono a schiacciare:

E’ estenuante dover guardare l’immondizia e, a volte, l’unico modo per farsi strada è con l’attività fisica. Questo non cambierà mai. si avrà sempre bisogno di usare il proprio corpo in modo produttivo ed espressivo. Mentre si arranca tra i detriti culturali, è di giorno in giorno più difficile perdere il contatto con questa verità. E se la danza contemporanea o lo spogliarello non fanno per voi, allora il ciclismo è un ottimo modo per soddisfare questo bisogno” (p. 157)

La mancanza che salta agli occhi (almeno a me) sta nel fatto che l’autore non si sia soffermato per nulla su alcune delle forme di protesta collegate alla biciclette, ad esempio le critical mass e le ciclofficine, lasciadomi così dedurre che non riconosca la loro qualità di detonatore (principale o no poco importa) del fenomeno “ciclismo urbano” di cui tanto parla. E ciò nonostante a New York esistano 2 critical mass mensili che hanno una lunga – e sofferta – storia, vi siano ciclofficine e associazioni no-profit che promuovono l’azione diretta e lottano per una mobilità dal volto umano (ad esempio: Times’Up).