fabbriche recuperate

Scritti da noi

Contributo alla discussione sul tema le fabbriche recuperate

8 apr , 2015  

Contributo alla discussione sul tema le fabbriche recuperate

Se la sperimentazione sociale fosse possibile, l’universo eterogeneo delle
imprese recuperate sembrerebbe un campionamento casuale di aziende di
tutti i tipi, dimensioni, categorie e condizioni, distribuite in tutto il Paese
seguendo il modello della struttura industriale preesistente, con imprese
abbandonate dai capitalisti, recuperate dalle mani dei loro lavoratori e
messe alla prova nelle circostanze più difficili: senza padroni, ma anche
senza capitali e, a volte, quasi senza mezzi di produzione. Ma le “cavie
sociali” non esistono più e questi lavoratori stanno operando veramente
una trasformazione della realtà e, contro ogni previsione, stanno
scrivendo una pagina della storia dell’autogestione che ci può insegnare
molto sulle sue difficoltà ed i suoi limiti, ma anche sull’enorme potenziale
di creazione di una nuova logica di gestione collettiva dell’economia”.

Il contributo che vorremmo dare a questa discussione è quello di fornire una serie di elementi di
discussione tratti dal libro di Andrés Ruggeri, Le fabbriche recuperate, che racconta l’ esperienza
argentina delle ERT dal 2001 a oggi. Il libro affronta temi centrali quali quelli dell’autogestione e
del cooperativismo, del rapporto fra autogestione e mercato capitalista e autogestione e movimento
operaio, dell’economia delle imprese recuperate e della loro relazione con il sindacato e con la
politica.
Ma ancora di più ci interessa stimolare la discussione su argomenti fin troppo accantonati da parte
dei movimenti: E’ possibile un’economia differente da quella del capitalismo o da quelle tanto
sbandierate economie sociali o terzo settore?
Come è possibile praticare nuove forme di economia in un cosi stretto contatto con il sistema
capitalista? Possiamo ancora accantonare il problema posticipandolo ad un “utopico” post
capitalismo?
Noi come TerraRivolta pensiamo che sia giunto il momento di ascoltare, confrontare e praticare
nuove forme di relazioni e di scambio delle merci, al di fuori dalla logica della creazione del
semplice surplus economico e puntare direttamente alla creazione e sperimentazioni di relazioni di
scambio che portino a generare un surplus sociale in grado di cambiare le pratiche e i paradigmi
dell’ esistente. Lungi da noi indicare soluzioni o modelli di gestioni del lavoro pianificate a
tavolino, come pure indicare il modello della fabbrica come un modello ancora praticabile secondo
il modello corrente.
Non vogliamo fabbriche comunitarie con “giusti salari” e non vogliamo più neanche le fabbriche,
capaci solo di creare sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del pianeta, nascondendosi dietro il mito
del progresso. Chiaramente non vogliamo neanche più il lavoro inteso come produzione di surplus
economico per poi comprare le nostre libertà con gli spiccioli accumulati e rimasti. Auspichiamo e
cerchiamo di praticare una via o meglio un sentiero che ci permetta di rispondere alle esigenze
basilari della vita quale il mangiare, dormire, studiare e lavorare ecc. al di là del lavoro salariato e
del sistema di relazioni capitalistiche basate solo sulla pratica della sopraffazione e dell’
affermazione attraverso la forza e il potere.
Contro il lavoro come forma di schiavitù democratica, per l’ autonomia e l’ autogestione.
Né pubblico né privato ma Comune!

TerraRivolta
Venerdi 3 Aprile 2015
Pianeta Terra

Il libro

Le “fabbriche recuperate”, abbandonate dagli imprenditori e poi occupate e rimesse in moto
direttamente dai lavoratori, sono una delle esperienze più interessanti dell’Argentina uscita dalla
grande crisi del 2001. Da allora più di 300 imprese fallite sono tornate in funzione, salvando oltre
15.000 posti di lavoro e dando vita ad un processo di autogestione inedito che continua e che,
sull’onda della crisi globale degli ultimi anni, è divenuto esempio di resistenza anche in Europa. In
Italia troviamo la RiMaflow a Milano e le Officine zero a Roma, ma si contano esperienze anche in
Francia, Grecia e in altri paesi del vecchio continente.
Andrés Ruggeri, grazie ad un lavoro di ricerca di oltre dieci anni, indaga questa realtà senza
idealizzarla ma provando a comprenderne la complessità, i sacrifici, le difficoltà e le sconfitte nella
costruzione di unità economiche che non solo devono fornire lavoro e sostentamento per coloro che
le portano avanti, ma anche contribuire a creare forme di gestione collettiva, democratica e,
soprattutto, senza sfruttamento. L’autore approfondisce così l’ipotesi dell’autogestione, sequestrata
nel Novecento dalle burocrazie e dagli errori di un movimento comunista internazionale dominato
dallo stalinismo e da tendenze socialdemocratiche, e che oggi può offrire un terreno prezioso per
impostare un nuovo inizio per le sinistre in crisi.

L’autore

Andrès Ruggeri, antropologo presso la Facoltà di Filosofia e lettere dell’Università di Buenos Aires
oltre a studiare l’esperienza delle “fabbriche recuperate” è anche il promotore degli incontri
internazionali “L’economia dei lavoratori” e l’ispiratore del programma “Facoltà aperta” presso
l’Uba.

Riportiamo qui di seguito il testo di un intervista fatta all’autore del libro:

Che cos’è un’impresa recuperata dai lavoratori?
Un’impresa recuperata dai lavoratori è un’impresa a gestione collettiva dei lavoratori. Allo stesso
tempo, però, con quest’espressione si è soliti riferirsi a un processo, più che a uno stato di cose, a un
processo che è in molti casi tuttora in corso di svolgimento. Un’impresa autogestita dai lavoratori
deriva infatti generalmente da un’impresa precedente che era un impresa capitalista della quale quei
lavoratori erano dipendenti. Fra l’altro, il gruppo dei lavoratori non necessariamente rimane lo
stesso nel corso di questa trasformazione. Molte imprese recuperate sono occupate, ma non tutte lo
sono per forza. La maggior parte di esse, inoltre, si trasformano in cooperative dei lavoratori ma,
anche qui, non stiamo parlando di una regola che non ammette eccezioni, dal momento che esistono
Ert che non si sono costituite in cooperativa.
Come si è arrivati al movimento delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina e in che
modo esso si è sviluppato a partire dai drammatici eventi che il paese ha vissuto alla fine del
2001?
In realtà, in Argentina esistevano delle imprese recuperate dai lavoratori anche prima della crisi del
dicembre 2001. Ce n’erano già alcune che si erano formate, in condizioni difficilissime, negli anni
dell’egemonia assoluta del menemismo e del neoliberismo. La crisi del 2001 ha più che altro fatto
da moltiplicatore di casi di questo tipo, oltre a dare il là a tutta una serie di manifestazioni di
solidarietà attorno alle imprese recuperate che hanno cominciato a far parlare di “movimento” delle
imprese recuperate stesse. La grande differenza fra l’Argentina e altri paesi, infatti, non consiste
nella presenza o meno di imprese recuperate dai lavoratori ma nel fatto che in Argentina queste
sono state all’origine di un vero e proprio movimento. Non saprei dire quanto esso sia stato forte ed
efficace, ma di sicuro è stato molto visibile, molto capace di esercitare una pressione anche sul
potere politico soprattutto nei primi anni, e cioè nel 2002, 2003 e 2004. Quando poi la situazione
economica del paese si è stabilizzata, nel movimento sono comparse delle divisioni, delle fratture,
per cui oggi non c’è un solo movimento ma varie organizzazioni che includono imprese recuperate.
Di fatto si tratta per lo più di divisioni fra dirigenti politici, che coinvolgono meno la base dei
lavoratori, eppure sono presenti. Va anche detto che, nonostante questa frammentazione, il
movimento è cresciuto molto e ci sono oggi molte più imprese recuperate e gestite dai lavoratori di
un tempo.
Che ruolo ha svolto nel movimento delle imprese recuperate argentine la solidarietà sociale
che si è creata intorno ad esse? Mi riferisco soprattutto al rapporto con la comunità e con il
quartiere circostanti, ma anche a quello con altri movimenti sociali e, perché no, con i
consumatori, visto che un’impresa vive solo se c’è qualcuno che ne compra i prodotti…
Questo è un aspetto fondamentale, perché nessuna impresa è stata “recuperata” dai soli lavoratori.
Un ruolo importantissimo ai fini del recupero e della messa in produzione è stato sempre svolto
dalla solidarietà sociale e dalle mobilitazioni che si sono create attorno all’impresa stessa. Nel 2001
questo era molto evidente: ad interagire con le Ert c’erano le assemblee popolari di quartiere, il
movimento dei piqueteros, il movimento studentesco eccetera. C’era un ampio movimento di
solidarietà che ha avuto un ruolo imprescindibile nel far vivere alcune esperienze. I casi più famosi
sono quelli della Zanon e della Chilavert ma lo stesso è successo in molte altre circostanze. Col
passare del tempo, e col mutare della situazione del paese, tutto ciò è un po’ cambiato. Oggi c’è più
solidarietà, ad esempio, tra imprese recuperate, e più solidarietà verso quest’ultime da parte di altri
tipi di movimenti comunitari, in alcuni casi anche da parte del potere politico e da parte dei
sindacati, che inizialmente non vedevano di buon occhio il fenomeno.
Tuttavia, questo è solo un lato della questione. L’altra faccia della medaglia è data da una situazione
odierna nella quale i lavoratori di una fabbrica recuperata sono in grado spesso non solo di ricevere
solidarietà ma anche di darla. Negli ultimi anni si sono andate formando delle attività di solidarietà
che partono dalla fabbrica e che rappresentano in qualche modo un’evoluzione della solidarietà
ricevuta precedentemente dalla comunità. È così che, nello spazio fisico dell’impresa, vengono
create iniziative, ad esempio centri culturali, scuole popolari eccetera, che non rispondono a un
logica di razionalità economica, che non servono cioè a creare reddito per i lavoratori dell’impresa,
ma che vengono comunque considerate da quest’ultimi come una parte essenziale dell’impresa
recuperata. Per quanto riguarda invece il ruolo dei consumatori, la questione è un po’ diversa
perché, in generale, le imprese recuperate non producono per la vendita al dettaglio ma per il
consumo intermedio, cioè per la distribuzione, anche se esistono esempi isolati in cui si fa vendita
al dettaglio e anche in questo caso si è instaurato un rapporto di solidarietà con chi compra per far
vivere l’impresa.
Un altro aspetto importante è quello della forma che assume la proprietà dell’impresa gestita
dai lavoratori. Storicamente si danno vari esempi: cooperative (la cui esistenza isolata nel
mercato capitalistico pone com’è noto dei problemi), imprese che lottano per essere
nazionalizzate mantenendo però il controllo operaio sulla produzione, semplici imprese “di
Stato” eccetera…
In realtà il tema della proprietà non passa per la forma cooperativa. La cooperativa è una forma
legale che viene adottata per consentire all’impresa di essere un soggetto che ha un suo status
giuridico nei confronti dello Stato. Il problema della proprietà, invece, nasce dal fatto che la
maggior parte delle imprese recuperate dai lavoratori erano anteriormente imprese in fallimento ma
proprietà di alcuni capitalisti, per cui c’è un procedimento legale in corso per stabilire di chi sia la
proprietà che, di fatto, è soggetta a disputa. La cooperativa dei lavoratori spesso non ha ancora
ereditato la proprietà, perché in genere questa è oggetto di una battaglia legale e c’è in corso una
mobilitazione per l’espropriazione, ovvero una campagna di pressione affinché il Congresso
espropri l’impresa per ragioni di utilità pubblica e la dia ai lavoratori stessi. Ma si tratta di un
processo che, nella maggior parte dei casi, è lungo ed è tuttora in corso, per cui la proprietà delle
imprese recuperate è spesso in una situazione di ambiguità giuridica: i lavoratori spesso hanno il
controllo dell’azienda, la usano, ma non ne sono ufficialmente proprietari.
Il tema della proprietà è separato da quello del rapporto fra cooperativa e mercato. È vero che se la
cooperativa detiene la proprietà ha anche accesso a linee di credito che altrimenti non ha; d’altro
lato, se la cooperativa non detiene la proprietà, è in uno stato di precarietà giuridica permanente. Ma
il problema del rapporto fra cooperativa e mercato è un altro problema.
Qual è il senso dello slogan “occupare, resistere, produrre”?
Si tratta di uno slogan che in realtà il movimento delle imprese recuperate ha ripreso dal movimento
dei sem terra brasiliani. La sua virtù sta nel fatto che riesce a sintetizzare il momento iniziale del
processo di recupero: prima l’occupazione, per evitare che vengano portate via le macchine, per
evitare che il luogo di lavoro cessi di fatto di esistere; poi la fase di resistenza, perché molto
probabilmente dopo l’occupazione ci sarà un tentativo di sgombero, un tentativo repressivo da parte
della polizia; e poi infine, per far vincere veramente la resistenza, si tratta di far funzionare
l’impresa, di produrre e di dimostrare che produrre si può anche senza il padrone. Si tratta di tre
momenti successivi, che tuttavia si possono dare anche simultaneamente: ci sono diverse imprese
recuperate in cui si è occupato lo stabilimento cominciando subito a produrre e allo stesso tempo
tentando di resistere. Nella realtà, quindi, i tre momenti possono essere separati o congiunti,
dipende dalle circostanze.
Che rapporto intrattiene il movimento delle imprese recuperate dai lavoratori con il
sindacato?
Il problema del sindacato rispetto al movimento delle Ert consiste nel suo percepirsi
tradizionalmente come l’organizzazione che rappresenta i lavoratori contro i padroni, o comunque
come un’istituzione che svolge un ruolo di intermediazione. Tuttavia, qui il padrone non c’è… Senza
il padrone, il sindacato tradizionale perde interesse a una situazione in cui sembra superfluo. Anche
per questo alcuni sindacati, inizialmente, si sono opposti alle imprese recuperate. Ce ne sono poi
stati anche altri che hanno invece capito meglio la situazione e hanno cercato di integrare – e allo
stesso tempo di contenere – i lavoratori all’interno delle rispettive organizzazioni, riconoscendo
contemporaneamente di aver a che fare con cooperative senza padrone. Ad ogni modo, si tratta di
una relazione conflittuale, perché le imprese recuperate mettono in discussione molte cose, e una di
queste è proprio il sindacato.

(Intervista del 30 settembre 2014 tratta da repubblica)

Notizie dal web:

http://www.workerscontrol.net/it

http://comune-­‐info.net/2014/07/imprese-­‐autogestite-­‐reinventare-­‐la-­‐vita-­‐dal-­‐lavoro/

http://comune-info.net/tag/fabbriche-recuperate/

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