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Da quando tre anni fa ci fu il sollevamento in Siria (quale locale materializzazione delle insurrezioni che hanno scosso intere regioni del Maghreb e del Mashrek) la maggior parte delle reazioni, dei commenti e delle critiche da parte di strutture militanti che si dichiarano rivoluzionarie, internazionaliste, comuniste, anarchiche… non hanno fatto che andare nella stessa direzione: esprimere dubbi su cosa sta accadendo, dubbi sulle determinazioni materiali di fondo che hanno dato inizio ai movimenti che sono sotto i nostri occhi, dubbi sulla natura di classe di tali eventi, dubbi sul potenziale sovversivo delle lotte della nostra classe quando non avvengono sotto le “giuste” bandiere, e così dicendo.
Questi dubbi si sono rafforzati da quando il conflitto si è trasformato in “militarizzazione della rivoluzione” (a detta di molti) ed il nostro movimento è stato deviato dalle “forze di opposizione democratica” e da parecchie tendenze di jihadisti, salafiti ed altri islamisti. Ma, come ha scritto un militante palestinese:
“E’ vero, la rivoluzione siriana è stata senz’altro deviata e noi sappiamo che ci sono molti salafiti, molti jihadisti e molti altri gruppi, come pure molti altri gruppi filo-americani e filo-imperialisti che hanno cercato di deviare la rivoluzione siriana. Ma questo non deve gettare ombre sulla rivoluzione siriana e non significa che siccome il movimento rivoluzionario è stato deviato noi dovremmo metterci da parte e smettere di sostenerlo. Naturalmente ci sono ancora tanti rivoluzionari che agiscono sul campo [...] e ci sono anche molte brigate armate non-settarie che non possiamo ignorare. Se la rivoluzione è stata deviata, non è che noi ce ne andiamo ed inizamo a prendercela col popolo che si è fatto deviare. Noi dobbiamo fare di tutto in fin dei conti per stare a fianco del popolo allo scopo di ricondurre la rivoluzione sulIa corretta via. Ed è proprio questo che molti a sinistra non sono riusciti a comprendere.”[1]
Nessuna rivoluzione nella turbolenta e violenta storia della lotta di classe è mai iniziata con le “bandiere giuste”, con le “parole d’ordine giuste”, o con una chiara e predefinita “coscienza” dei fini e delle prospettive. Tutti i progressi pratici e programmatici si sono avuti in un doloroso scontro con la controrivoluzione organizzata in forze.
Come abbiamo già scritto nei nostri precedenti comunicati sulle lotte in Siria[2], non appena le forze governative vengono costrette ad abbandonare una città o una regione e dal momento che il capitalismo non sopporta i vuoti di potere, succede che nuove forze, nuovi partiti e nuovi sindacati cercano di gestire la situazione per evitare che questa possa evolversi oltre un rigoroso quadro riformista. Tra queste istituzioni troviamo innanzi tutto vari gruppi islamisti che si fanno carico della repressione contro le strutture militanti create dal movimento di lotta. Perquisizioni in strada, arresti, incarcerazioni, torture ed esecuzioni sommarie di militanti, severe sentenze emesse dai “tribunali islamici”, implemementazione della legge della Sharia, repressione delle quotidiane manifestazioni contro questi “nuovi padroni”; dalla primavera 2013 i proletari che vivono nelle “aree liberate” hanno puntato il dito contro questi islamisti per dichiararli quali peggiori nemici tanto quanto gli scagnozzi del regime del Baath. Tra questi gruppi jihadisti uno dei più violenti ed odiati dall’intera popolazione è il gruppo che si dichiara essere “Stato Islamico dell’Iraq e Grande Siria” (Islamic State of Iraq and Sham – ISIS) affiliato alla rete internazionale al-Qaeda.
In seguito ai duri colpi inferti alle strutture del movimento (come l’assalto del 28 dicembre 2013 contro militanti della città di Kafranbel – generalmente nota per essere la “coscienza della rivoluzione” alla luce dell’importante azione di propaganda che vi si era sviluppata) molti proletari sono scesi in massa nelle strade venerdì 3 gennaio 2014 nelle province di Aleppo, Idlib, Raqqa (nel nord e nel nord-est del paese) per esprimere il loro disprezzo verso l’ISIS. Il movimento si è persino sviluppato ed espanso in regioni dove ISIS ha una presenza limitata (come nelle periferie di Damasco ed a Dar’a nel sud del paese). La repressione è stata ovviamente feroce: i miliziani dell’ISIS hanno contrastato gli assalti dei proletari contro i loro vari quartieri generali sparando sulla folla furiosa. Il movimento di protesta si è sviluppato per tutta la settimana dopo ed i suoi militanti hanno indetto la “Giornata dell’ira” per venerdì 10 gennaio sia contro Al-Qaeda in Siria che contro il regime.
Nello sviluppo delle manifestazioni di strada, sono sorte parecchie “brigate ribelli”, alcune per difendere verosimilmente gli interessi del movimento, altre per cercare di difendere e promuovere i loro interessi di conquista del potere statale sulle rovine del regime Ba’th.
“A livello militare è in corso una guerra su ampia scala condotta contro ISIS. Il 3 gennaio, gruppi affilitati all’Esercito siriano libero (FSA) come pure al rececentemente costituitosi Fronte Islamico ed a Jaysh Al-Muwahhideen hanno iniziato ad ingaggiare feroci scontri con l’ISIS, spazzando via questo gruppo da molti loro capisaldi nel nord e catturandone un grande numero di combattenti. Già il 7 gennaio, reports su twitter da parte di attivisti davano ISIS scacciato da 10 postazioni ad Aleppo, da 6 postazioni a Idlib, da 3 a Deir el-Zor ed 1 ad Hama. Alcune aree liberate dalla presenza dell’ISIS, come Manbij e Binnish sono state sottoposte al violento bombardamento del regime di Assad dopo la presa dei ribelli, portando nel caso di Binnish al ritorno di ISIS nella città facendo aumentare così i sospetti su una sorta di accordo militare tra ISIS ed il regime. ISIS ha dimostrato di non ritirarsi senza combattere, commettendo un massacro contro truppe del FSA ad al-Rastan. Il 6 gennaio ISIS ha giustiziato 50 prigionieri ad Aleppo tra cui donne ed attivisti come pure ha giustiziato dei prigionieri ad Harem ed a Idlib prima di abbandonare l’area. Ci sono altre preoccupazioni sul fatto che il ritiro di ISIS da alcune aree, mentre riceve rinforzi altrove, possa essere indicativo che stia preparando una controffensiva.”[3]
Va da sé che i bombardamenti aerei governativi sulle aree liberate dall’influenza di ISIS non fanno che rafforzare e confermare le voci secondo le quali da 6 mesi il regime Baath sia la mano nel guanto di ISIS e di altri gruppi islamisti:
“(…) quando il regime ha portato il suo attacco contro al-Raqqa ed Aleppo, gli obiettivi erano sempre i quartieri civili (soprattutto popolari) e mai le basi o il quartier generale di ISIS. Il quale si trovava nell’edificio più grande e meno difficile da colpire della città, invece gli attacchi aerei colpivano le scuole ed uccidevano gli studenti. ISIS ha funzionato come capro espiatorio per l’attacco del regime alla sollevazione popolare. Le prigioni di Assad sono piene di attivisti laici, civili, pacifisti, mentre i prigionieri appartenenti ad al-Qaeda sono stati rilasciati nei primi giorni della rivoluzione.” (Idem)
Il compito dei rivoluzionari, dei comunisti, che non hanno interessi diversi da quelli dei proletari, è sempre quello di puntare alla rottura con lo stato di cose presente, di agire in maniera che il movimento di lotta della nostra classe spinga sempre verso una maggiore chiarificazione dei suoi obiettivi e delle sue prospettive. Non abbiamo nulla da attenderci da un’alleanza con chi difende gli interessi globali del capitalismo organizzato in quanto Stato. Ed in questo senso non possiamo che citare ancora una volta questa militante siriana sulla questione dell’armamento del movimento e sulle illusioni che certi proletari possono nutrire:
“E’ probabile che la maggior parte dei combattenti confluiscano nel Fronte Islamico più per le garanzie di assistenza militare e di quel supporto estero che invece è stato negato all’Esercito siriano libero, che per una condivisione ideologica. Senza dubbio, la formazione del Fronte Islamico e l’unificazione di consistenti e potenti brigate militari può portare dei vantaggi militari nella lotta contro Assad. Ma vincere la battaglia contro il regime (e contro al-Qaeda) non è lo stesso che raggiungere gli scopi della rivoluzione.” (idem)
Una delle grandi lezioni che ci giunge dalla storia del movimento rivoluzionario mondiale è quella dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione nella Spagna del 1936-37 e cioè che un’alleanza con il “male minore” (una fazione più progressista della borghesia, un “fronte popolare”) non accelera la difesa dei nostri interessi di classe, bensì ci porta a prendere parte alla sconfitta della rivoluzione ed alla sua morte.
Ad ogni modo, non possiamo che salutare ancora un volta quei proletari in lotta i quali, ben lungi dal sottomettersi ai diktat dei nuovi governanti, continuano la lotta a dispetto della quasi generalizzata indifferenza del resto del mondo. Questo nuovo sviluppo delle dinamiche della lotta è ciò che questa militante siriana definisce sul suo blog come “rivoluzione dentro la rivoluzione”. (Idem)
Gennaio 2014
[1] Palestine and the Syrian Revolution https://budourhassan.wordpress.com/2013/11/22/palestine-and-the-syrian-revolution/
[2] Again and again more Blood-Baath in Syria https://autistici.org/tridnivalka/again-and-again-more-blood-baath-in-syria/
Airstrikes Threat On Syria! Third World War? No War But The Class War! https://www.autistici.org/tridnivalka/airstrikes-threat-on-syria-third-world-war-no-war-but-the-class-war/
[3] ‘Revolution within the revolution’: The battle against ISIS https://leilashrooms.wordpress.com/2014/01/07/the-battle-against-isis/