14 dicembre: comunicato Infoaut

da infoaut

É istruttivo ricostruire la giornata del 14 dicembre 2010 attraverso le
convulse e affannate cronache del sito di Repubblica. Fin dal primo mattino,
fiduciosi nella sfiducia all’ormai impresentabile bubbone Berlusconi,
l’attenzione si è concentrata sull’aula parlamentare, sul frenetico
inseguimento delle voci di corridoio, sulle ultime compravendite di voti. Le
manifestazioni di piazza, dopo essere state accarezzate e coccolate per
settimane, sono relegate a metà pagina, eco di contorno di un popolo pronto a
inneggiare alla caduta del tiranno. Si capisce: ora, a un passo dall’auspicata
uscita di scena del malvagio di Arcore, il problema è ricondurre tutto alla
soluzione istituzionale. Ma poco prima dell’ora di pranzo prendono corpo i
fantasmi del colpo fallito: al gruppetto capeggiato da Calearo, ultima perla
lasciata in eredità dal geniale Veltroni, si aggiungono le futuriste Siliquini
e Polidori. Quest’ultima ci restituisce l’immagine simbolo non solo della
giornata, ma di un’era politica: la proprietaria del Cepu ha venduto il proprio
voto per salvare un’impresa in cui da oggi, oltre alle lauree, si possono
comprare anche le fiducie parlamentari. Ecco l’investimento in formazione e
ricerca, ecco l’idea di università che agita i sonni della maggioranza e delle
opposizioni! Non si capisce più chi ha tradito chi, semplicemente perché la
posta in palio non è un progetto politico, ma la sopravvivenza di ceti
politici. Tra cavaliere e cavallo non c’è differenza. Tutto il resto è storia
nota: il badogliano Fini è sconfitto (evviva!), Berlusconi – mischiando Pirro e
Romolo Augusto nell’avanspettacolo – prolunga la propria agonia da animale
braccato e consegna i suoi ultimi mesi nelle mani della Lega, lo spettatore
Bersani contempla la propria impotenza, i mercenari dell’Italia dei Valori
dimostrano di che pasta è fatto il partito giustizialista.

Allora lo scenario cambia rapidamente: bisogna ridare la parola alle piazze.
Dal sito di Repubblica rispuntano ovunque cortei e mobilitazioni, il messaggio
è che il popolo protesta contro la mancata caduta di Berlusconi. Come tutti i
popoli, è anche questo disincarnato, surrettizia unità di individui privi di
voce e soggettività, dunque in attesa di farsi rappresentare. Ecco che, però,
il reale squarcia il reality show. Non c’è più piazza del popolo, perché il
popolo si spacca: studenti e precari si riprendono ciò che è loro, da Londra
all’Italia le fiamme illuminano la strada verso una nuova Europa. Il sito
impallidisce terrorizzato: dov’è finito il popolo educato dell’anti-
berlusconismo, dove sono andati gli immaginari bravi ragazzi che piacciono a XL
e che si difendono con la cultura e i libri? Scomparsi, e al loro posto ecco
calare da chissà dove i black bloc. Il sapere non è più la sacra icona del
pubblico da difendere, ma è una mostruosa arma con cui fare male al nemico. É
l’intelligenza collettiva di organizzarsi nello spazio metropolitano, di
rendersi imprendibili, di farsi sciame e di attaccare nei punti migliori.

I buoni e i cattivi, storia nota si potrebbe pensare. E invece, qua c’è una
grande novità. A prendere parola, collettivamente e in modo giustamente
furioso, è una generazione di studenti, precari e operai che ha una percezione
assolutamente corretta della propria condizione: mobilità sociale bloccata,
indebitamento per il welfare, assenza di reddito e garanzie, declassamento come
orizzonte permanente. L’assenza di futuro è, innanzitutto, insopportabilità del
presente. Sono passati due anni dall’Onda, dall’illusione che mettendo in
galera i corrotti si risolvesse la propria condizione di precarietà. La crisi
ha scavato a fondo. Le lotte hanno determinato la crisi, la crisi ha lavorato
per le lotte: nelle assemblee di scuole e università i discorsi sulla
meritocrazia si indeboliscono, non si sentono quasi più quelli sulla legalità o
la giustizia. La linea discriminante non corre più tra violenza e non-violenza,
ma tra violenza dei governi, della polizia e delle banche, e forza costituente.
Studenti medi e appena entrati all’università, i veri soggetti nuovi del
movimento, sono radicali nei comportamenti e nell’espressione di piazza perché
hanno afferrato la radice della questione: o si trasforma tutto, o la crisi la
pagheremo noi. Insomma, a bruciare sulle barricate dei palazzi assediati è la
fiducia non solo in questo o quel governo ma nella speranza, che – come
Monicelli ci ha insegnato – è una trappola dei padroni.

É questo il motivo per cui i cortei studenteschi incontrano questa diffusa
solidarietà, perfino quando bloccano gli snodi centrali della comunicazione e
del traffico metropolitano nelle ore di punta. Non perché sono i giovani bravi
ed educati che sogna Repubblica, ma perché a partire dalla loro parzialità
parlano il linguaggio della generalizzazione contro l’interesse generale –
quello del paese e dunque dei Montezemolo e dei Marchionne. Perché parlano il
linguaggio della lotta alla precarietà permanente, della riappropriazione della
ricchezza comune, dell’autonomia e della libertà – quella senza popolo e contro
l’imposizione del futuro. Perché parlano un linguaggio di classe. Chi pensa di
poter ricondurre i conflitti e questo processo di soggettivazione nei codici
della compatibilità rappresentativa o alla difesa dell’università pubblica, chi
pensa che finita la battaglia si ritorni allo status quo ante ha sbagliato i
propri conti, né più né meno delle odierne maggioranze e opposizioni. Lo
avevamo detto: il Ddl Gelmini è un casus belli, la guerra vera inizia ora. Dove
qualcuno tifava per un 25 luglio, si è aperta la strada di un 25 aprile. In
serata, allora, il quadro istituzionale si ricompone unanime intorno alla
condanna degli studenti e dei precari. Vuol dire che hanno paura. Era ora.

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Londra chiama, Roma risponde: va in onda la rivolta degli studenti

La giornata di oggi ci consegna alcune indicazioni di fondo rispetto alla
forza del movimento degli studenti e la sua capacità di rispondere alla crisi
che ci avvolge. Oggi, davvero, “noi la crisi non la paghiamo” si fa programma
tradotto in atto.
Ancora una volta, bisogna fare qualche fermo immagine per raccontare la
giornata di lotta di questo ben-venuto 14 dicembre romano.
Da un lato le rissette in aula dei parlamentari, un po’ papponi, un po’
venduti al soldo infame; dall’altro una piazza che ben conosce la distanza tra
la rappresentazione di Tg e quotidiani e la nuda realtà.
Da un lato chi dice che la crisi ce la stiamo lasciando alle spalle e che può
continuare a governare perché ha dietro un “governo saldissimo”; dall’altro chi
vede di fronte a sé un futuro nero senza prospettive e i primi effetti di tagli
che atterreranno ogni possibilità di futura mobilità sociale.
La sfiducia a Berlusconi non c’è stata nei palazzi del potere ma la si è
conquistata nelle strade e nelle piazze di Roma. Il governo “saldo e fermo”
dovrà fare i conti – da domani – con queste soggettività e le loro insorgenze a
venire.
Londra chiama, Roma risponde!
Neanche una settimana fa era l’auto dei reali a incrociare – per sbaglio, come
un errore di sistema – uno dei tanti sciami che attraversavano le strade della
capitale inglese. Oggi qualche auto blu in uscita da Montecitorio ha faticato
ha portare a casa il politico di turno.
E così, col passare delle ore, le diatribe auto-referenziali dei parlamentari
hanno lasciato spazio alla materialità di un reale che oggi ha fatto la sua
irruzione sulla scena politico-mediatica, con tutta le sue asprezze e le
salutari paure per chi sta lassù in alto.

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