Copenhagen, Italia, Europa

Rastrellamenti, fermi di massa, voliere per contenere i manifestanti. Il tutto accompagnato dalla squisita cordialità scandinava.

arresti“sfoglia
le pagine del libro dell’inuguaglianza e cogli la sostanza
la mia scelta di coerenza
stanei sogni dei banditi
nel dileggio dei divieti
nell’odio viscerale per vigliacchi e mansueti”

Durante le contestazioni al vertice internazionale sul clima COP15, la gestione delle piazze e dei movimenti ha fatto un passo avanti. anzi indietro: agire preventivamente, impedire ogni forma di protesta che possa essere ingovernabile, pacifica o radicale che sia.
intimidire e sfiancare anche i più determinati tra quant* sono arrivati per essere parte di un appuntamento da cui ci si aspettava un processo di movimento forte ampio e avanzato. una presa di parola collettiva sullo sfruttamnto dei territori e delle risorse, sulle speculazioni e la devastazione ambientale, proporre alternativa alla falsa alternativa del capitalismo verde, che giocando con i numeri produce meccanismi virtuosi in occidente e scarica le responsabilità nel resto del mondo.
invece lo scenario che ci è stato mostrato parla di tutt’altro, il conflitto deve essere controllato e preventivamente azzerato: che la critica apparecchi e serva il tavolo dei grandi, che al tavolo dei pupi indisciplinati non si muova una foglia.

10 anni dopo Seattle, ma anche 10 mesi dopo Londra e Strasburgo, con le architetture dell’economia e della sicurezza globali duramente contestate e messe in difficoltà, nella governance globale l’indicazione è di non rischiare più, specie con la crisi che galoppa. se la posta in gioco è la libertà dei cittadini di esprimere il dissenso, ben venga: che sia pacifico e colorato o radicale e a tinta unica.

E dalle sponde del mediterraneo, dove la tradizione di ordine pubblico è ben più brutale di quella nord europea, e i diritti del cittadino di fronte alle divise sono pari a zero, questo segnale non può che essere colto con inquietudine. Atene che brucia un anno dopo l’omicidio di Alexis è stata desertificata per giorni, gli spazi di aggregazione e i quartieri alternativi razziati dalla polizia prima ancora che si scendesse in piazza.
A Roma, le strade sono interdette alle manifestazioni con le forze dell’ordine in stato d’allerta. A ben guardare non possiamo pensare che la regia di quanto accaduto a Copenhagen sia solo responsabilità danese: l’instaurazione di uno stato di eccezione a livello europeo è pratica ormai condivisa su tutto lo spazio comunitario, e noi stessi attivisti italiani ancora ne paghiamo le conseguenze, da quel g8 di Luglio 2009 in cui qualsiasi manifestazione è stata dispersa, repressa, blindata.

Mettere in discussione la gestione preventiva dell’ordine pubblico vuol dire guardare oltre i sorrisi e la cortesia della polizia danese, e riappropriarci della nostra agibilità anche al di fuori dei margini di tolleranza in cui vorrebbero restringerla e disciplinarla.
troppo angusti per contenere rabbia e sogni.

Leggi anche (se ti va):

Comunicato CJA | Accuses to Police | Voci da Copenhagen | Copenhagen/Movimenti (precaria.org)

Video | Rainews 24

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