Join The Invasion! #14N invadiamo la città

Il 14 Novembre scenderanno in piazza in tutto il paese migliaia di studenti, precari, lavoratori, disoccupati, rispondendo all’appello europeo dei movimenti internazionali che dal basso hanno spinto all’indizione unitaria del primo sciopero sociale transnazionale formalizzato poi dalla CES in uno sciopero europeo coordinato dalle centrali sindacali, che qui in Italia, è stato raccolto anche dalla CGIL. Adesione del sindacato Camuffo giunta con una vergognosa e meschina proclamazione di quattro tiepidissime ore di sciopero e manifestazioni dislocate. Questo dopo mesi di silenzio o di qualche moderato ululato alla luna, dopo anni di reiterate politiche di austerity dettate dalla Commissione europea, nella piena voragine della crisi finanziaria dentro i nuovi processi della valorizzazione capitalistica che nella crisi tenta di trovare la sua nuova misura sulla nostra pellaccia precaria. I sindacati nel tentativo di co-gestire d’imperio la crisi, il risanamento del debito cosi detto sovrano, complici attivi del disegno neoliberista, si presentano oggi in difesa della loro retorica e del ruolo di filtro e tappo del conflitto sociale. Del resto non ci pare d’intravedere grandi spazi di avanzamento e di lotta anche nel mondo del sindacalismo di base, troppo spesso impegnato più nell’auto-rappresentazione delle proprie organizzazioni e molto meno nella disponibilità al conflitto per la ricomposizione sociale di quel precariato metropolitano, sempre più lontano dalle mediazioni speculari al ribasso che la logica sindacale riproduce. Sindacati che non possono e non vogliono difendere i precari, perché  nn fanno tessere, perché non li riguarda più l’elemento della contrattazione collettiva tradizionalmente costituita, non ne difendono la vita e i suoi bisogni. Sono, siamo i precari di una nuova composizione sociale in tendenza maggioritaria, segnata nella sua esistenza dall’esclusione e frammentazione sociale e spesso dal lavoro nero.

Negli interstizi della precarietà, del sindacato, non se ne vede l’ombra. Purtroppo nemmeno nel mondo del lavoro tradizionalmente inteso oggi indebolito, precarizzato, attaccato in ogni dove, è presente un’opzione sindacale realmente conflittuale che sappia rappresentare degnamente spunti reali di insubordinazione sociale e operaia che negli ultimi mesi pur taluni sussulti e fiammate di rabbia li aveva espressi. Oltre agli studenti autonomi per fortuna già scesi in piazza lo scorso 5 Ottobre, pensiamo al mondo del lavoro, alla lotta di Taranto e del Sulcis quest’estate, ma anche alle tante vertenze nella Fiat e in Fincantieri, o dell’indotto dei trasporti e logistica del nordest o come a Piacenza i lavoratori dell’Ikea. C’è una disponibilità al conflitto sociale nel nostro piccolo paese. Non c’è invece, ancora, un soggetto autonomo e indipendente del nuovo precariato sociale per dargli nel corpo, più testa e più gambe. Potremmo dire forza, densità, più potere per il contropotere, parole attualissime in giro per il mondo, almeno nuovamente, dal 2011 in avanti, almeno in ciò che e’ risuonato nell’ultimo incontro internazionale di Madrid  pochi giorni fa che del toma la huelga aveva già assunto la sua parola unificante  per la giornata del 14 novembre. 

Quella forza che abbiamo respirato, certamente a tratti, come dimensione sociale diffusa nella lotta No TAV in Val di Susa e in qualche giornata di rabbia e insubordinazione precaria, come nell’ottobre dell’anno scorso e nel dicembre del precedente. E già, una data utile da ricordare quella del 14 dicembre 2010 quando un’ondata di movimento studentesco scosse alle fondamenta la governabilità – il potere della ricomposizione del precariato, per l’appunto, si gridava, tutti insieme facciamo paura! – e che però troppo in fretta si volle congelarlo con strette di mano presidenziali e letterine a Napolitano di cui il movimento non ne sentiva certo il bisogno. Non a caso l’anno seguente seppur nella complessità della giornata del 15 Ottobre un elemento risulterà evidente a tutti e che oggi ancora si deposita nel dibattito del movimento. In quella piazza non c’eravamo tutti, non eravamo più gli stessi, e qualcuno si è trovato da un colle ad un altro di Roma, perdendo per intero un anno politico a capire come rimettere insieme i cocci ormai frantumati dell’ennesimo errore che i movimenti avrebbero commesso, questa volta con l’etichetta degli indignados: declinare la responsabilità storica della fase odierna, ovvero di farsi carico nelle macerie del neoliberismo dell’intelligenza e della rabbia di chi la crisi la sta pagando da anni, pensando che la sinistra di governo e le primarie di massa invertissero le politiche di dominio e di comando che stiamo invece subendo nella piena continuità di governi di destra, tecnici e di sinistra, in ogni angolo della comunità europea. Noi vogliamo andare avanti, senza la paura del futuro da costruire con le nostre mani, con lo spirito dell’umiltà e con lo sguardo trasparente, con la migliore attitudine alla ricomposizione sociale, quel tutti insieme facciamo paura! Può tornare a rimbombare la sua eco nel centro di Roma, lì dove lo Stato non ci vorrebbe, lì dove dobbiamo saperci misurare consapevoli del livello alto dello scontro, politicamente, storicamente, culturalmente ben oltre quindi la contrapposizione estetica, con chi peraltro prepara piani da sempre per fermarci, picchiarci e condurci delle volte nelle patrie galere. Lasciamogli il “primato maschio”dello scontro militare se necessario. Li coglieremo di sorpresa, con l’intelligenza collettiva. Saranno accerchiati da una moltitudine che si farà corpo in un’agile massa critica che assedierà il fortino dei tecnici e banchieri che per difendersi dovranno ancora una volta blindarsi, con i loro eserciti, con i cannoncini e le baionette. Tutti insieme famo paura!

Invaderemo le strade e rivendicheremo reddito riappropriandoci dello sciopero come sciopero sociale come blocco della produzione socialmente prodotta nella metropoli, perché siamo noi che produciamo la ricchezza e siamo sempre noi che paghiamo il debito e la crisi tutti i giorni. Solo noi possiamo riappropriarci delle forme del conflitto all’altezza dei tempi, nella riappropriazione e nel desiderio collettivo, chi l’ha detto che non c’è.

Nodo redazionale indipendente

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