Il silenzio è dei colpevoli per un controdispositivo di liberazione dal sessismo

Spesso accade che migliaia di persone attraversino l’ex cinodromo occupato per una serata di musica e socialità. L’autogestione contamina lo spazio e la libertà produce liberazione. Ma a qualcuno di tutto questo non gliene frega un bel niente e, inconsapevole del pericolo che corre, può decidere di usare violenza per avvicinare l’”oggetto” del suo desiderio.

Vogliamo scrivere queste semplici riflessioni per non rimanere in silenzio di fronte ad episodi a cui non possiamo e non vogliamo assuefarci. Vogliamo rompere il silenzio con un urlo liberatorio contro il sessismo e la violenza di genere.

 

Non rimaniamo certo basiti del fatto che spazi occupati e liberati, come il nostro, non siano immuni da eventi di questo tipo. Come compagne e compagni di Acrobax ci rendiamo perfettamente conto (anche perché lo viviamo quotidianamente sulla nostra pelle) che il sessismo è interiorizzato, trasmesso e perpetrato nella società e quindi, purtroppo, anche in quel piccolo pezzetto di mondo che sentiamo nostro e che con impegno ogni giorno proviamo a stimolare, incitare, esortare e spronare verso un’alterità e una trasformazione dell’esistente fatta di autodeterminazione, solidarietà e lotte contro le ingiustizie sociali.

Non serve ricordare la gravità e il numero degli episodi di violenza di genere che si susseguono in Italia come in tutto il mondo. Ce lo ricorda ogni giorno una cronaca affamata di sensazionalismo e buona morale. La nostra rabbia cresce di fronte alle risposte false e ipocrite quali il braccialetto elettronico o l’aggravante del “femminicidio” da parte di una politica integralista che vieta le più banali libertà in tema d’interruzione di gravidanza, coppie di fatto, divorzio rapido per poi battersi il petto di fronte alle conseguenze di tanto oscurantismo.

Non esiste repressione che risolva la questione, non ci culliamo nell’idea che una nuova fattispecie di reato oggi tolga un “femminicidio” domani.

Pensiamo, piuttosto, che anche in questo caso dobbiamo e vogliamo partire dal basso: dai bisogni e dai desideri negati.

Quando occupammo il ministero della piangente ministra Fornero, l’8 marzo 2012, dicemmo chiaramente che “la crisi non è neutra”. C’è una questione di precarietà oggettiva, di vita, di affetti, di ansie e paura, di lavoro e reddito da risolvere. Reddito per tutt*, anche per le donne che denunciano abusi da cui spesso non riescono a staccarsi per le povere condizioni materiali che vivono. Sulla vita delle donne la crisi travolge i falsi miti del lavoro e della carriera come fattori di emancipazione sociale e lascia intorno il deserto, e la famiglia come cattedrale.

In mancanza di forti anticorpi sociali fatti di autodeterminazione e cospirazione, la crisi rischia di produrre, come in altri paesi europei, una deriva di destra, tradizionalista e conservatrice decisamente funzionale al necessario controllo sociale.

Un problema dunque sociale, culturale ed anche economico che attiene alle forme di sopraffazione su cui si fonda la nostra società. Un problema che deve essere messo al centro di quella critica costituente che portiamo avanti ogni giorno sforzandoci con sempre maggiore determinazione nel costruire insieme uno spazio di rottura e di liberazione, una risposta reale, concreta e solidale.

Partiamo da noi, dalle iniziative queer-gay-lesbo-trans, dallo sport popolare antifascista-antisessista-antirazzista, dai corsi di autodifesa femminile organizzati nella palestra La Popolare, fino ai percorsi di lotta per la libertà di movimento e il diritto ad un’esistenza degna oltre il capitale.

Partiamo da noi per organizzare la nostra rabbia…

A me, vittima non lo dici!

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