La crisi economica nell’austerity: la grande trasformazione tra la crisi del processo della valorizzazione capitalistica, la nuova composizione sociale al lavoro e i dispositivi di comando e governance politica ed economica.
– Introduce Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax
– Andrea Fumagalli, Prof. Economia Politica all’università di Pavia
Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario internazionale come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal 2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread (tasso di differenza interno alla misura di un valore particolare – che però determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche, politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA.
Oggi l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale, al modello produttivo post-fordista.
Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo “sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle “Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.
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Giovedi 29 marzo-ore 17
Dispositivi per l’indipendenza
presso il LOA Acrobax
Segue la versione integrale della griglia di discussione:
Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della
governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario
internazionale come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del
processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal
2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde
che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario
della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario
tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread (tasso di
differenza interno alla misura di un valore particolare – che però
determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o
interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente
analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto
consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi
ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo
altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro
un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche,
politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo
economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello
olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi
l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto
effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge
inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di
transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da
un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale,
al modello produttivo post-fordista.
Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato
fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del
processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e
della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo
“sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle
“Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla
visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.
Quindi una crisi economica e finanziaria strutturale e sistemica,
dalla quale si pensa di poter uscire a seconda delle declinazioni
politiche o dei diversi interessi geo-strategici, attraverso strade o
canali differenti.
Gli obiettivi dei seminari:
Oggi per dirla con Marazzi la finanza è parte integrante della nostra
vita quotidiana, è pervasiva a tutto il ciclo, e le fonti di
finanziarizzazione si sono moltiplicate in modo che le finanze sono
consustanziali alla produzione stessa dei beni e servizi. Questa
estensione delle “fonti di accumulazione del capitale finanziario,
vanno tenute presente per comprendere le trasformazioni del modello di
sviluppo/crisi post-fordista.
Il peso del debito privato spostato sul debito pubblico (in realtà
comprato dalle banche estere, come nel nostro caso, le banche
francesi, che detengono più del 40% del nostro debito sovrano) in
virtù della nuova crisi che stiamo conoscendo, impone agli stati come
gli USA o alla governance della comunità europea diretta dalla
cosidetta Troika – i cui destini peraltro sono incrociati e uniti sin
dal “patto atlantico” – d’individuare le possibili vie di uscita dalla
crisi, stagnazione e bassa crescita. Oggi come oggi, sostanzialmente
abbiamo due modelli sempre più divaricati tra loro che per
semplificazione potremmo etichettare con la Germania della Merkel da
un lato e gli USA di Obama dall’altro. A partire dall’approfondimento
di questi due modelli di crescita e gestione delle risorse pubbliche
vorremmo ampliare la visuale sulla crisi e sulle strade che vengono
indicate come possibili indicazioni anticicliche di uscita dalla crisi
verso una nuova ripresa economica. Vorremmo capire quali sono i punti
di reale differenza tra i due modelli di politica economica che
sinteticamente rintracciamo tra quello della Germania improntato
all’austerity e alla salvaguardia dei conti pubblici a discapito degli
investimenti sulle risorse dedicate alle politiche di welfare, e che
prevalentemente usa alcuni indicatori economici come rigida guida
quasi religiosa per impostare il governo della società e del suo stare
in comune. E quello degli USA che dall’apparizione di Obama ha
invertito le dinamiche fondative del sistema neoliberista, imposto a
se e al mondo sotto la sua influenza anche con la forza e con
l’ausilio di dittature militari come nel sud America negli anni 70 e
80, e che oggi ha decisamente cambiato la rotta delle politiche
economiche a partire dall’utilizzo delle risorse pubbliche e di un
diverso approccio ai parametri come il deficit o lo spread, dando tale
centralità al ruolo dello Stato nell’economia da far ipotizzare un
nuovo impianto keynesiano per la crescita e lo sviluppo capitalista.
Un terzo modello a cui dedicare un ulteriore momento di
approfondimento è il caso dei cosidetti paesi emergenti, i BRIC che
stanno attraversando il corso della crisi fuori da questo binomio a
partire da tutt’altro contesto e che però stanno conoscendo un livello
di crescita esponenziale e di sviluppo complesso tale da
ri-significare lo stesso concetto di crisi globale, a testimonianza
che non si tratta evidentemente, dal crack della Leman Brother in
avanti, della fine del mondo, ma della decadenza di una parte ben
precisa del mondo. Un altro tema sul quale vorremmo concentrare le
nostre analisi e riflessioni riguardo il contesto economico e sociale
che si respira e si tocca con mano nel nostro paese, a partire dalle
ripercussioni sul MdL come effetto materiale della crisi finanziaria e
della sua ricaduta sul tessuto produttivo e lavorativo – e anche
dell’effetto delle politiche adottate dal governo Monti per seguire le
strade di exit strategy dalla crisi, tutte peraltro concordate
concordate con la UE – sono le liberalizzazioni di alcuni settori
produttivi e le proteste che si stanno susseguendo per contrastarle.
Dopo l’assordante e inaspettato silenzio sulla riforma delle pensioni
a partire dal blocco sociale pensionandi di riferimento (classe
52/53/54) peraltro ampliamente sindacalizzato che si è fatto carico
del costo sociale della riforma delle pensioni, il paese sta facendo i
conti proprio in queste settimane con la caparbia e dura protesta di
alcuni soggetti produttivi ben precisi che sul tema delle
liberalizzazioni stanno costituendo una protesta sociale forte e
decisa – dal movimento dei forconi alla lotta degli autotrasportatori
– sulla quale vorremmo interrogarci a partire da due piani di analisi
inizialmente distinti, due ordini del discorso, paralleli ma
complementari:
Uno riguarda la struttura produttiva: Sergio Bologna per primo aveva
individuato all’interno delle trasformazioni produttive che hanno
costituito il processo di ristrutturazione e trasformazione nel
passaggio di fase dalla grande industria fordista all’economia
post-fordista dei servizi e della conoscenza, proprio nel settore del
trasporto e della logistica, un ambito produttivo centrale,
strategico. In primis come settore privilegiato nella specifica
creazione di valore – centrale nell’economia postfordista – dove la
valorizzazione capitalistica passa dalla produzione materiale delle
merci alla valorizzazione della loro distribuzione e circolazione. E
però il carico di valore aggiunto nei profitti della grande
distribuzione è stato possibile per la nuova organizzazione del lavoro
che ne è conseguita. La riorganizzazione della molecolare struttura
delle sub-forniture ri-articolate dentro le trasformazione della
composizione sociale a lavoro – nei processi di esternalizzazione che
tra gli anni 80 e 90 hanno dato il via al cosi detto esercito delle
Partite IVA – è un tema che vorremmo analizzare oggi alla luce di un
dato sociale nuovo, al netto quindi dell’analisi generale sullo stato
dell’arte dell’economia globale e finanziaria, gettando lo sguardo sul
corpo sociale coinvolto, che porta con sé alcuni elementi di
innovazione e trasformazione radicale anche dell’apparente
rovesciamento del rapporto capitale/lavoro che si delinea nella classe
dei cosi detti padroncini, ovvero delle partite IVA. Su questo blocco
sociale di riferimento a cui sempre per primo Sergio Bologna con
Andrea Fumagalli avevano dedicato la propria analisi relativamente al
lavoro autonomo di seconda generazione, l’importanza appare quindi più
che evidente di dover ancora scandagliare e analizzare in profondità
la vicenda ampliamente annunciata ed intuita della nuova composizione
sociale al lavoro, in questo caso anche in rivolta. E su questo piano
se volete più politivo vorremmo dedicare l’attenzione del secondo
elemento complementare alla comprensione dell’attuale fase, ovvero
concentrare il nostro focus sulla composizione sociale del primo
grande blocco dei flussi nella produzione postfordista o anche sul
primo grande sciopero selvaggio del lavoro indipendente nella crisi.
Vorremmo capire se e quanto può essere considerata una protesta
dettata più da esigenze specifiche o corporative o quanto invece
questo non sia altro che l’inizio per una nuova ricomposizione di
classe – delle nuove classi, o della nuova stratificazione di classe –
che potrebbe portare ad una nuova definizione della rappresentanza
sindacale di interessi produttivi emergenti ma anche alla radicale
messa in discussione dell’intera forma dell’organizzazione del lavoro
e della distribuzione della ricchezza sul territorio.
Bibliografia di riferimento:
Mediterraneo – F. Braudel Einaudi
Lotte operaie e sviluppo capitalistico – R. Panzieri Einaudi
La violenza del capitalismo finanziario – C. Marazzi Ombre corte
Il lavoro di Dioniso – M. Hardt e A. Negri Manifesto Libri
Il lavoro autonomo di II° generazione – S. Bologna e A. Fumagalli Feltrinelli
Testi consigliati:
Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II – F. Braudel Einaudi
La grande trasformazione – K. Polany Einaudi
Comune – M. Hardt e A. Negri Rizzoli
Il comunismo del capitale – C. Marazzi Ombre corte
Ceti medi senza futuro – S. Bologna Derive e approdi
Oltre lo stato assistenziale – Per un nuovo patto tra generazioni – G.
Esping-Andersen Einaudi
I fondamentali sociali delle economie postindustriali – G.
Esping-Andersen Einaudi
L’immateriale – A. Gorz – Bollati Boringhieri