Se la salute e la sanità diventano terreno di speculazione e pareggio di bilancio, se le cure non sono organizzate in presidi territoriali ma gestite da aziende e se i cittadini divengono capri espiatori a cui addossare responsabilità e debiti, vuol dire che un cambiamento, profondo e radicale, si sta compiendo.
Oggi, a Roma e nel Lazio sono sotto attacco moltissimi ospedali: il commissariamento, ancora una volta tutt’altro che tecnico, si accanisce su un territorio già stato martorizzato dalla Presidente uscente con una serie di tagli che, in tutto il Lazio, hanno ridotto drasticamente la garanzia delle cure. Tutti i territori della metropoli romana sono alle prese con questa realtà; anche a Garbatella- San Paolo, l’ospedale CTO che è storicamente e visceralmente parte del tessuto sociale rischia la definitiva chiusura.
Per noi rappresenta qualcosa di più di una struttura sanitaria, con camici bianchi, lastre e odore di medicinali; per noi rappresenta il primo punto di riferimento per gli infortuni della squadra di rugby All Reds e i numerosi danni che si producono coscientemente per la scelta di uno sport bello con qualche controindicazione; rappresenta le visite fatte ad un nostro compagno accoltellato dai fascisti dopo un’iniziativa per Renato Biagetti; rappresenta le cure per le emergenze e i mali che nella vita ogni tanto si è costretti ad affrontare.
Ma c’è anche qualcos’altro tra le mura di quell’ospedale: c’è la definitiva scelta di calpestare diritti universali che, la nostra società, è riuscita a conquistare in una trasformazione lunga più di mezzo secolo fatta di grandi lotte piccole battaglie.
L’abbiamo detto tante volte: la precarietà non è una cosa che riguardi solo il lavoro, la precarietà è il sistema di attacco alle nostre vite per metterle in produzione, sfruttarle ed indebitarle ben oltre il lavoro. La nostra generazione sarà la prima ad essere più povera di quella dei nostri genitori, la prima e forse non l’ultima. E non solo perchè il lavoro, appunto, è completamente precarizzato, ma perchè stiamo assistendo alla privazione della ricchezza condivisa, quella rappresentata dai servizi pubblici e dai beni comuni. La ricchezza di stare male ed essere semplicemente curato.
Non c’è nessuna retorica in questo ma la lucida consapevolezza che si sta cucinando una ricetta in cui privatizzazione, speculazione e profitto sono ingredienti fondamentali. Da domani se non ci sarà più un ospedale, un presidio sanitario territoriale, non sarà questione da trattati di politica economica ma una ferita aperta nella vita di tutti/e noi.
Il CTO, e la battaglia per la sanità Ri-pubblica (nuovamente e diversamente pubblica), rappresenta una barricata da cui non scendere e si trasforma in un trampolino per saltare verso qualcosa di diverso e nuovo.
Alle diecimila persone che hanno firmato contro la chiusura, a quelli che si sono incontrati ieri nell’aula magna manifestando con musica e parole la propria degna rabbia, a tutti noi, spetta il piacere e la fatica di riconoscersi in una comunità resistente…
…perchè non abbiamo un presente di precarietà da difendere ma un mondo nuovo da conquistare.