Si chiamava Andrea, ma i compagni, per offenderlo, lo chiamavano il “ragazzo dai vestiti rosa”.
Andrea è morto. Si è ucciso.
Non ce l’ha fatta più a sopportare quegli insulti che lo perseguitavano da troppo tempo. I compagni lo denigravano da quando si era iscritto al liceo Cavour, in una zona centrale della capitale. Un tormento quasi quotidiano. A scuola.
Ma anche sul web: avevano persino creato una pagina facebook, in cui lo prendevano continuamente in giro per i suoi modi di fare e anche per l’abbigliamento, per il suo colore preferito, il rosa. Quella pagina era là, visibile a tutti, da tempo.
E questo Andrea lo sapeva bene, forse si era anche rassegnato. E la settimana scorsa, giovedí 22 novembre, quando si è presentato a scuola con lo smalto alle unghie, lo hanno deriso ancora e apostrofato “frocio”, “ricchione”. E dopo che una professoressa lo aveva ripreso per lo smalto, dicendogli che “non era il caso”, è tornato a casa e si è impiccato con la sua sciarpa poco dopo le 17. A 15 anni.
Il fatto che parenti e compagni, dopo la sua morte, neghino a tutti i costi che Andrea potesse essere omosessuale ritenendo la cosa una diffamazione, fa capire il clima di intolleranza in cui viveva il ragazzo. Quel che è certo e che Andrea voleva solo essere se stesso. Voleva essere semplicemente Andrea, un ragazzo con i pantaloni rosa.