Roma, 14 dicembre. Riprendiamoci il futuro!

“Mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno

mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e

per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. E la

verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.”


Giovani e studenti senza futuro, precari, senza casa, cassaintegrati, immigrati, ricercatori e personale della scuola e delle università, popolazioni devastate dai rifiuti, dalla TAV, dalle basi militari, dalle inutili grandi opere, hanno finalmente preso parola, stanchi dei giochi di palazzo e di un potere che ormai si attorciglia su se stesso incapace di dare risposta a chi è stanco di essere sfruttato, cancellato, emarginato.

Cosa vi aspettavate dai bamboccioni? Era ovvio che prima o poi avrebbero fatto i capricci! Cosa vi aspettavate da coloro ai quali si dice che non avranno mai una pensione e se l’avranno non raggiungerà la soglia di povertà? Cosa vi aspettavate da chi vive senza una casa o con un mutuo che l’obbligherà ad indebitarsi per il resto della sua vita senza neanche sapere come lo pagherà? Cosa vi aspettavate? Una piazza del popolo sorridente e piena di palloncini e fischietti con i quali avete assopito i lavoratori italiani negli scorsi decenni?

Una nuova soggettività dentro la crisi sistemica della globalizzazione economica capace di ricostruire se stessa e ricomporsi sul terreno delle lotte, ha espresso la sua rabbia. Non saranno le inutili chiacchiere di chi si illude di rappresentare questa moltitudine che riusciranno a fermare la sua rabbia. Fino a che siamo rimasti sul tetto, fino a che ci si suicida, fino a che si sta su una gru la nostra volontà di essere ascoltati, di rivendicare il nostro diritto, si tramuta nel vostro pietismo. Giornali, tv e politicanti vari fanno la fila per salire su tetti e farsi intervistare.

Ma a quanto pare è quando si scende dal tetto e si occupano le strade e le piazze, è quando si esce fuori dalla logica della vostra falsa pietà e si rivendica la dignità che allora vi spaventate. Siamo scesi dai tetti,  abbiamo ripreso il cammino nelle strade, ed abbiamo urlato più forte. I nostri corpi si sono mossi ed in movimento hanno agitato i vostri giorni tristi, la vostra politica calcolatrice, il vostro pietismo necessario ai vostri fini politici.

Ora è facile per voi trasformarci da precari, disoccupati, senza futuro, in black block, facinorosi, frange estremiste. La vostra miopia è pari alla vostra indifferenza verso le questioni sociali, ed è pari alla vostra astuzia per gli affari di famiglia.

Il passaggio da precario a facinoroso è tutto qui: finchè vi facciamo pietà non vi facciamo paura, è quando vi facciamo paura che non vi facciamo più pietà!

In queste ore stiamo assistendo ad un patetico tentativo di interpretare la giornata di ieri attraverso gli stereotipi e le categorie del passato che è miseramente destinato a fallire. Ieri si è affacciata nel panorama politico una nuova generazione del dissenso, non un gruppo di provocatori e di violenti. Que se vayan todos c’era scritto sui nostri striscioni e nei volti dei tanti giovani ribelli che ieri hanno costruito la cartolina da mandare in giro per il mondo di una Roma meticcia, Indipendente e Ribelle.

I movimenti quando si manifestano hanno come sbocco naturale l’autorganizzazione, il processo attraverso il quale possono costruire la propria storia e la propria identità, chiunque stupidamente cerca di “cavalcare” tali esperienze al massimo può svolgere un ruolo di “calmieratore” appositamente ricercato e voluto da chi, per conto dei padroni e del potere, gestisce l’ordine e regola i conflitti.

I movimenti indipendenti frutto delle contraddizioni e delle trasformazioni sociali e di classe debbono e possono trovare le proprie strade, i percorsi, immaginare una nuova fase del conflitto e dell’organizzazione sociale. Alla nuova soggettività in rivolta dovrebbe rimanere la capacità e la curiosità di confrontare le proprie idee, le proprie lotte sui livelli di un nuovo conflitto sociale che può e deve costruire la propria storia travalicando l’esistente e spazzando via le forme più o meno istituzionali della politica, così come le banalizzazioni attraverso gli stereotipi del passato che ad uso e consumo dei media ripropongono vecchi accostamenti con gli anni 70 che furono. La distanza dai partiti, dalle istituzioni, l’indipendenza e l’autonomia, è questo che fa paura e si deve criminalizzare, isolare e neutralizzare. Una nuova generazione precaria si affaccia dopo anni di trasformazioni del tessuto produttivo, dopo gli ultimi due decenni dove ogni istanza sociale e rivendicazione di nuovi diritti ha trovato davanti a sé il muro di gomma del potere, chiudendo ogni termine di mediazione, ogni spazio di avanzamento sociale.

Grida e rivendicazioni per troppi anni inascoltate producono la rabbia che ieri si è espressa. Cosa vi aspettavate? L’Italia è il penultimo paese in Europa per occupazione giovanile ed il 44% dei giovani occupati sono precari. Uno dei pochi paesi dove non vi è nessuna forma di protezione sociale per i disoccupati. Uno di quei paesi con il più alto tasso di mortalità sul lavoro e dove il lavoro nero è prassi di sfruttamento. Un posto in cui se sei disoccupato e ti dai fuoco forse ti fanno un trafiletto sul giornale locale. Un posto in cui la violenza alle donne, spesso in famiglia, è diventata prassi quotidiana. Uno di quei posti dove le carceri esplodono, con i morti sempre più giovani per mano delle forze dell’ordine, con veri e propri lager in cui stipare vite umane solo perché aventi un altro passaporto. Un posto in cui si muore di cancro perché si vive vicini ad una discarica, in cui il territorio è solo un altro luogo di affari e macerie, in cui si abbandonano città storiche all’incuria e alle macerie in attesa di una nuova cricca che dovrà fare i suoi affari per ricostruirla. Un luogo, il più ricco del mondo, in cui il patrimonio culturale va di pari passo al degrado delle periferie. Un luogo in cui per farsi ascoltare bisogna salire su tetti, sulle gru, occupare isole o piloni senza avere poi,  come sempre, una soluzione ai problemi posti.

Ieri richieste chiare, necessarie come quella per il diritto alla casa, al reddito garantito, all’accesso alla cultura, alla formazione e alla libera condivisione dei saperi, ad un altro mondo in costruzione si sono espresse ed è per questo e contro questo che il potere politico vuole criminalizzare un mondo intero, un pezzo intero di società.

Queste parole, questi sogni e questi bisogni ieri hanno incendiato le barricate romane. Non i professionisti della violenza, ma quella fetta di società che subisce la vostra idea di comando e di mondo, ieri ha vomitato in massa, riempiendo di significato uno dei giorni più orribili di questo paese, a prescindere da come è andata in Parlamento. Il rigetto è nato nella pancia di questo paese schifosamente distrutto dalla politica di palazzo e dagli affaristi.

LA CRISI NON LA PAGHIAMO, LA CRISI VE LA CREIAMO è questo il nuovo confine, la strada del non ritorno tra chi vorrebbe proporre ulteriori sacrifici a difesa dell’attuale sistema economico proponendo fantomatici governi di transizione e chi si organizza giorno per giorno a difesa dei propri diritti e si ritrova con le nuove soggettività espressione di questa crisi epocale, nella mobilitazione gioiosa cosi come nella rabbia spontanea.

Chi riesce a seguire i mille rivoli attraverso cui si può esprimere questa nuova soggettività diffusa, così come si espressa nella giornata di ieri può contribuire a costruire una nuova stagione di conflitto. Chi si affanna a mettere bandierine o ad elargire commenti idioti sui “teppistelli”, “borgatari”, “ultras”, è destinato, pur sopravvivendo, a scomparire nel naturale flusso della storia.

Ed ora dunque è il tempo, di mettere insieme le forze, di riprendere il cammino…

Rete degli indipendenti * Acrobax Project * Coordinamento Lotta per la Casa

Immagini della manifestazione del 14 dicembre a Roma

Forze dell’ordine si accaniscono sui manifestanti:

Prese di parola:

Anonimo manifestanteSanprecario.infoDal presidio di ChiaianoMondo del lavoroCobasInfoautPrecaria.org – “I tamburi di piazza del popolo

News:

DenunceHanno detto – Agenzie stampa

Prima del 14 dicembre

QUE SE VAYAN TODOS!

Il paese nell’abisso

Sull’orlo del baratro. Questa è la foto del nostro paese, della sua economia, della gestione delle sue poltiche economiche e sociali, delle proposte per affrontare i prossimi mesi, della quotidianità di migliaia di persone.

Uomini e donne che si trovano a sopportare la crisi che, da due anni a questa parte, è divenuta la narrazione del potere; la sua arroganza e i suoi muscoli sono rappresentati dalle mimetiche per strada, i manganelli alle manifestazioni, le porte chiuse in faccia delle istituzioni, ogni mediazione negata.

Chi rimane in questo paese si deve accontentare delle briciole: cassa integrazione, qualche bonus e tante parole. Chi rimane sono migliaia di giovani con contratti precari e nessuna garanzia, i più anziani con contratti indeterminati che diventeranno velocemente precari.

Lo stato sociale viene eroso giorno dopo giorno, taglio su taglio, infamità su infamità. La disoccupazione è arrivata a percentuali allarmanti, la crescita è ferma ad un decimo delle previsioni, il debito è inversamente proporzionale. Queste sono le macerie che dovremo portare sulle spalle

Que se vayan todos

Che succede il 14 Dicembre?

Si vota la fiducia di un governo responsabile in buona parte di tutto questo.

Si vota non per quell’ometto che rappresenta l’Italia peggiore e il peggioramento dell’Italia; si vota per un governo che ha demolito le garanzie nel lavoro, che taglia lo stato sociale, che chiude gli occhi davanti alla crisi. Un governo che sta distrugendo la formazione e la cultura e che somiglia tanto all’argentina degli anni ’90. E allora come dall’altra parte dell’oceano accadde qualche anno fa vogliamo dichiarare il nostro “Que se vayan toso”, “se ne vadano tutti, oggi”. Chi ha le responsabilità di questa situazione se ne faccia carico e vada via.

Governo di unità nazionale: lacrime e sangue

Ma il 14 vorremmo anche che un messaggio fosse chiaro. Un messaggio alle ipotesi di governo di unità nazionale, di solidarietà nascosta dietro ad una pretesa di moralità e legalizzazione istituzionale. Non siamo disponibili alle lacrime e sangue mentre le imprese si fanno scudo dietro alla crisi licenziando e precarizzando, ad una risposta per cui far pagare milioni di cittadini e cittadine precarizzando, ancor più la nostra vita; le proteste di questi ultimi mesi di lavoratori, migranti e studenti non sono uno spot elettorale ma rappresentano la richiesta di una trasformazione delle politiche economiche e sociali, la richiesta di garanzie sociali che garantiscano diritti e redditto per tutti/e.

Ci difenderemo dalla violenza del mercato, subdola, quotidiana e costante.

Esploda l’indipendenza: la nave dei folli.

Proviamo ad immaginare una narrazione che ci traghetti, in un tempo ed in uno spazio. Da sponda a sponda.

Una nave su cui imbarcare tutti i nostri sogni e desideri; tutte le nostre immaginazioni e analisi. Una stiva con molte storie di giovani e meno giovani, di migranti e nativi, di precarietà e diritti, di sfruttamento e ribellione, di partenza ed arrivo. Una nave dei folli.

Perhè la follia è il nostro stato per rivoltare la pazzia dello Stato fatto di politicanti e forti poteri imprenditoriali che con le parole descrivono un cielo sereno e celeste e che, in realtà, è solo un fondale che nasconde un buco nero: il futuro.

Ed è questa porzione temporale che non possiamo immaginare, semplicemente perchè si costruisce qui ed ora, nel presente.

E questo nostro presente è fatto di precarietà, di diffidenza, di battaglie collettive trasformate in grida solitarie; chi riesce con le unghie e con i denti a garantire diritti erosi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ipocrisia dopo ipocrisia lo fa spesso nella solitudine, sotto la minaccia del tribunale e del manganello. Mentre le parole strumentali creano un sipario che nasconde le nostre vite.

Nasconde, dietro parole forgiate nel tempo del “moderno e post-industriale”, una tensione reazionaria, un ritorno agli ’50 (fate voi se del ‘900 o dell’800), senza reti né di salvataggio, né di solidarietà, né di lotta. Costruiscono paure sociali, capri espiatori su cui scaricare frustrazione quotidiane.

Ma la paura, quella vera, ce l’hanno loro: perdere il controllo, il profitto, il potere.

Per questo trasformano noi in pazzi che accettiamo di lavorare in condizioni di merda, con paghe irrisorie, spesso a rischio della vita stessa; noi che paghiamo affitti e mutui da capogiro; noi che facciamo ipotecare dal ghigno beffardo di qualche centinaio di amministratori delegati il sorriso di milioni di persone.

Ci trasformano in pazzi ancor più quando prendiamo parola, alziamo la testa, ci organizziamo. E a quel punto ci ospedalizzano, ci mettono in quarantena, ci rinchiudono perchè lontani dalla loro idea di democrazia e società civile.

Ed allora noi ci imbarchiamo: una nave dei folli che prendono in mano la propria condizione e rivendicano nuovi diritti. Che costruiscono la propria indipendenza come un percorso da conquistare.

Costruiamo il nostro vascello che si allontanerà dai porti del capitale e dello sfruttamento ed approderà in un territorio di conflitto e rivendicazione. Sogni che si fanno forza collettiva e indipendenza. Battaglie reali che conquistano metro dopo metro un’uscita dalla crisi che il sistema neoliberista ha costruito e continua perpetrare e, soprattutto, che vuole farci pagare.

Affermiamo la nostra carnevalesca follia per sovvertire la natura mortifera di un sistema.

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