Perché la Precariomanzia?

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I tarocchi sono considerati soltanto un modo un po’ esoterico di predire il futuro, ma in verità  la lettura delle carte indica tutte le forze, interiori ed esteriori, che determinano lo svolgersi degli eventi. Visti in questa maniera, i tarocchi perdono la banalità  del giochetto magico per diventare un luogo di discernimento, conoscenza di sé e meditazione. Il cammino verso cui dirigersi, la scelta ultima da compiere rimangono una questione che spetta alla volontà  di chi deve affrontare il proprio futuro. Perché legare precarietà  e tarocchi? Non certo perché crediamo che la lotta alla precarietà  abbia dimensioni magiche, esoteriche o extradimensionali. Ma le caratteristiche ambivalenti di ogni Arcano, che può essere letto sia come un problema, sia come un’opportunità , le interpretazioni che nascono dall’associazione fra le varie carte e il loro rapporto con le forze che agiscono su di noi sono un buon pretesto per indurre a riflettere e per suggerire alcune strategie di inter/azione.

Siamo precari perché le nostre scelte sono limitate dai ricatti delle
imprese, che assumono forme sempre nuove. Il problema abitativo, la
mancanza di reddito, la gogna del lavoro, la questione
dell’autodeterminazione piena e consapevole, la formazione, il sapere e
le tecnologie. Ogni nostro gesto, espressione di una scelta, è limitato
da vincoli che ne compromettono il senso e lo sviliscono fino a farlo
diventare banale, prevedibile, consumabile. Siamo precari perché siamo
soli, privi di informazioni e privi di quelle possibilità  collettive
che resero il proletariato protagonista e la fabbrica un luogo di
fortissimo conflitto. Eppure nessuna combinazione di forze nefaste –
economiche, sociali o politiche – può diventare definitivamente fatale.
Se cambiano i modi dello sfruttamento devono cambiare anche i modi per
opporvisi.
La Mayday parla di questo. Nel tempo, chi la anima ha potuto verificare
che il Gioco (con la G maiuscola), inteso come conoscenza e
interazione, formazione e costruzione, risponde perfettamente alle
necessità  di chi cerca di ricomporre la propria esistenza con quelle
dei propri uguali. Questo processo non ha il pregio di generare
conflitto in modo immediato, come alcuni fanno notare, ma ci ha
permesso di sedimentare quelle competenze, relazioni e talenti che
hanno dato incisività  a molti conflitti veraci. Perché la precarietà  è
il frutto di una debolezza conclamata cui non si può ovviare con
declamazioni o propositi duri e puri, ma che deve trovare risposta nel
discernimento puntuale e nella scelta precisa degli strumenti di cui
dotarsi e delle strategie da adottare. La Mayday è questo: uno
strumento di accumulazione e non l’esercizio estetico o verbale del
conflitto. La Mayday non è solo il primo maggio, la Mayday è tutto
l’anno.
Un’ultima nota: a questo ensemble composto dalla condivisione dei mezzi
e delle relazioni, dalle complicità  sempre più estese fra i
precarizzati, dalla ricerca di modi nuovi per combattere lo strapotere
delle aziende che annichilisce le forme di conflitto tradizionali
abbiamo dato il nome di cospirazione precaria. Non è un’organizzazione
ma un’attitudine organizzata. Pensiamo che l’unico modo con cui i
precari possano divinare il proprio futuro con una ragionevole certezza
sia proprio quello di cospirare nel presente.

Da Liberazione del 1 Maggio 2007

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