Avviso agli Studenti - Attenti ai pompieri, non lasciate che spengano il vostro incendio

“…la creatività liberata nella costruzione di tutti i momenti e avvenimenti della vita è la sola poesia che potremo conoscere, la poesia fatta da tutti, l’inizio della festa rivoluzionaria”.

La cronaca che il movimento ha fatto della grande manifestazione contro la Gelmini del 30 ottobre a Genova (cfr http://liguria.indymedia.org/node/2074) ha messo abilmente in luce gli aspetti “brillanti” di quella giornata, ma ha tralasciato una situazione meno esaltante, su cui è opportuno riflettere in chiave futura.

Quando il corteo, dopo aver abbandonato l’occupazione di Principe, era in via Gramsci e la massa gioiosa dei ragazzi aveva ormai invaso le intere carreggiate del traffico, ottenendo la solidarietà totale degli automobilisti bloccati, si è verificato qualcosa di imprevisto. Gli organizzatori (di che? di tutto il corteo? dello spezzone degli studenti delle superiori??) avevano deciso che i manifestanti defluissero nella zona pedonale di Caricamento perché il corteo doveva concludersi poco dopo a De Ferrari. Un consistente numero di ragazzi aveva invece voglia di andare avanti, continuare a portare avanti lo spirito di gioiosa riappropriazione delle strade. A questo punto però i sinistri organizzatori del corteo hanno fisicamente impedito tramite cordoni (e boicottato con i megafoni) che le persone scegliessero liberamente e spontaneamente dove andare, lasciando oltretutto soli una quarantina di ragazzi che hanno provato lo stesso a sfilare nel tunnel sotto Caricamento.

Quanto successo può essere letto in due modi:
1) Nella migliore della ipotesi, quella che vuole immaginare la buona fede degli organizzatori, si è trattato di una clamorosa ottusità politica. La storia di sempre, compresa quella recente della protesta in Francia contro il CPE, dimostra che l’unico modo efficace per ottenere vittorie come quella che cerca questo movimento - bloccare una legge dello Stato - è il blocco generale, lo sciopero selvaggio, le manifestazioni che partono con un percorso tracciato e poi tracimano e proseguono ad oltranza, in modo imprevedibile e incontrollabile, con l'inevitabile rischio di qualche denuncia o di qualche manganellata. Se il movimento italiano contro il Decreto Gelmini vuole sperare di ottenere veramente lo scopo che si prefigge non può che seguire le orme del movimento anti-CPE francese: blocco selvaggio e continuato. Le condizioni della manifestazione genovese di qualche giorno fa avrebbero permesso la realizzazione di qualcosa del genere, nel piccolo della situazione locale ma in modo significativo per l’intero movimento, e in linea con quanto sta succedendo in altre città. Un corteo enorme (gli organizzatori parlano di 30000 persone), l’entusiasmo dei ragazzi, la solidarietà totale della popolazione e degli automobilisti, la palpabile elettricità che si respirava nell’atmosfera e la conseguente voglia di andare avanti ad oltranza, rendevano non solo possibile ma anche naturale continuare a bloccare il traffico e la città, rendere evidente che gli slogan del corteo (lotta dura senza paura, bloccare la città ecc ecc) non erano retorica da corteo di qualche militante opportunista ma desiderio reale di migliaia di persone direttamente interessate e coinvolte da quanto stava accadendo.
2) Nell’altra ipotesi, la paura, espressa esplicitamente da qualcuno del servizio d'ordine, che la situazione diventasse “incontrollabile”, traduce una prospettiva ben più sinistra, ovvero che qualcosa di imprevisto rompesse un patto evidentemente concordato con le autorità, che la manifestazione dovesse avere spazi e tempi ben precisi. Come concordata era evidentemente la pretesa “conquista” della stazione Principe, stranamente presidiata da non più di 15 poliziotti (mentre l’intera digos genovese era disposta lungo il corteo) e stranamente mollata nel giro di 5 minuti, quando è difficilmente immaginabile che l’intero traffico ferroviario dell’Italia del nord-ovest possa essere bloccato in così poco tempo, senza preavviso. Questa faccenda richiama situazioni “antiche”, ben conosciute per alcuni militanti, ma sicuramente sconosciute ai più giovani. Negli anni passati (dal 1994 in poi), una larga fetta del movimento cosiddetto antagonista - i cosiddetti disobbedienti/prima tute bianche – ha affinato come propria pratica politica quella di mettersi alla guida delle lotte in atto, garantendo al potere il loro mantenimento entro certi confini ben precisi e innocui e ottenendo in cambio alcuni privilegi, come per esempio la tranquilla gestione di centri sociali che incassano migliaia e migliaia di euro tramite concerti. Una sorta di scambio, in cui il potere ottiene di avere un controllo interno sulle lotte, mentre una fetta di aspiranti politicanti di sinistra si garantisce un reddito, un ruolo sociale, una carriera politica. La dinamica di quanto successo il 30 ottobre a Genova, ancorché in piccolo e forse con la buona fede di una parte dei suoi responsabili, ricorda questa logica: la finta conquista di obiettivi già concordati e l’impedimento di qualsiasi cosa andasse oltre, che fosse appunto “incontrollabile”.

Lasciamo ad ognuno di trarre le proprie conclusioni; l’unico dato certo, per ogni sincero amante della libertà, è che, in situazioni come quella dell’altro giorno, nessuno doveva permettersi di impedire ad altri di fare quello che volevano, qualcosa che era sentito da tanti e che non metteva nessun altro in pericolo. Se gli organizzatori non volevano andare oltre, si fermassero pure, ma che lasciassero andare chi voleva.
Non esiste legittimazione basata sull'esperienza o sul “so io cosa è opportuno fare” che permette a qualcuno di decidere al posto di altri; le lotte le fanno coloro che hanno a cuore la situazione, con il proprio bagaglio di esperienze, desideri e paure. Nessuna delega: assemblee orizzontali, autogestione, e le conseguenze che ne derivano vanno tutte assunte con responsabilità da ognuno.
Ogni persona che ha imparato ad avere il coraggio del proprio desiderio di libertà ha avuto dei momenti in cui ha capito che la propria ansia di rivolta poteva prendere corpo concretamente. Molto spesso questa presa di consapevolezza è coincisa con un momento di libertà vissuta collettivamente per le strade, spesso con qualche manifestazione che ha rotto gli argini e i confini tracciati da qualcuno, donando il sentimento impagabile e indescrivibile della libertà, del riappropriarsi della vita in un momento di rottura nel quale non deleghi più a nessuno e costruisci la situazione del momento insieme agli altri, in libertà. Vivere un avventura, con i suoi pericoli e le sue gioie, è l’unico modo per sentirsi liberi; solo l'autodeterminazione resistuisce il senso della responsabilità e la voglia di andare avanti in una lotta, senza aspettare che qualcun altro ti convochi ad una manifestazione e di dire cosa e come farlo. In tutti questi sensi, il 30 ottobre è stata un'occasione persa; un successo per chi aveva degli obiettivi politici, una sconfitta per chi cerca a tentoni, ma sinceramente, la libertà. I molti ragazzi che si sono trovati per la prima volta in una manifestazione così grande, così entusiasmante, hanno perso quest'opportunità.
Chi glielo ha impedito, può averlo fatto con il buonsenso paternalistico di persone povere di spirito, immaginazione e coraggio, o peggio con la malafede da politicante; in entrambi i casi si è comportato da reazionario.
Che gli studenti riflettano come, quando e soprattutto SE vogliono essere controllati e guidati da qualcuno, e nel caso specifico da chi si è comportato in questo modo lo scorso giovedì.
Speriamo che abbiano il coraggio dei propri desideri, che non lascino che qualcuno spenga il loro incendio, sia che l'obiettivo sia quello attuale di bloccare il decreto Gelmini oppure un domani qualcos'altro.

apaches [at] canaglie.net

Mer, 05/11/2008 – 16:30
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