Trento | G8 Genova - Non è finita

Volantino di solidarietà diffuso a Trento nei giorni precedenti il processo in cassazione per i fatti del G8 di Genova.
 
GENOVA NON E’ FINITA


A Genova nel 2001 in migliaia hanno attaccato il capitale e i suoi difensori. Quelle giornate sono state macchiate dal sangue di Carlo Giuliani e della Diaz, sono state segnate dalla violenza, scientifica e indiscriminata allo stesso tempo, dello stato. Ma quello stesso stato che con una martellante campagna mediatico-terroristica, con migliaia di sbirri e con la blindatura di un’ intera città aveva preparato il terreno alla più sanguinaria repressione, non era preparato all’imprevedibile esplosione di rabbia che ha infiammato le strade. A rimanere spiazzati sono stati anche i burocrati e i recuperatori (di partito, di sindacato, di movimento) a cui lo stato, tramite accordi che peraltro non era tenuto a rispettare, aveva creduto di poter appaltare la gestione del conflitto sociale e il suo recupero mediatico e spettacolare. In molti e diversi hanno disertato la trappola dell’“assedio” (concordato) alla “zona rossa”, consapevoli che il potere e lo sfruttamento non sono palazzi d’inverno da assaltare, ma rapporti sociali che sovradeterminano le nostre vite e i nostri spazi sempre e ovunque, e che le strutture del dominio sono diffuse in modo capillare e quindi vulnerabile all’ interno di quel dispositivo di controllo “di per sè” che è la città. A Genova nelle giornate del G8 migliaia di insorti hanno cercato lo scontro con la polizia, hanno espropriato la merce, hanno attaccato banche, negozi, aziende, caserme, dispositivi di sorveglianza. Un carcere è stato assaltato, le strade sono state sovvertite: il selciato è diventato un’arma contro la polizia, l’arredo urbano uno strumento di autodifesa dalla cariche. Ma ad essere stata infranta e rivoltata è stata soprattutto la pace dei ricchi, la serenità assassina di un mondo di immagini, di merce e di polizia. Dopo due decenni di guerra di classe combattuta solo dalla parte dei padroni, le giornate di Genova sono state le prime avvisaglie che fosse possibile non solo cambiare le carte in tavola, ma proprio rovesciare il banco. A Genova la rabbia è esplosa, non si è fatta trovare impreparata, ha saputo passare all’attacco. Quelle esplosioni ci appartengono, sono le stesse del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma, del tre luglio in Valsusa, di anni di deriva insurrezionale in Grecia. Sono la nostra storia e la nostra lotta. Genova 2001 è stato un punto di rottura, per le nostre vite e per gli anni che sono venuti dopo. Per quelle fiamme di gioia e di rivolta un ribelle è stato ucciso dalla polizia, e oggi altri dieci si trovano ad affrontare l’estremo rigurgito repressivo di quelle giornate: con l'accusa di devastazione e saccheggio lo stato li vuole condannare in cassazione a pene che vanno dagli otto ai quindici anni di carcere. Non ci interessa disquisire sull’entità delle pene o sulla “giustizia” del processo: il significato di questa rappresaglia è che lo stato non può permettersi di far passare l’idea che si possa attaccarlo senza che qualcuno paghi. D'altra parte, parlando di "devastazione e saccheggio" vengono in mente più i disastri del capitale (TAV, grandi opere, sfruttamento intensivo di territori e popolazioni) che delle vetrine infrante.

Il fuoco di Genova necessità tutt’ora di essere alimentato.

Facciamo sentire a processati e (ai loro repressori) che non sono soli, che la rivolta e la solidarietà non si fermano né con la celere né con i tribunali.

Che quel luglio torni ad essere una minaccia, che i padroni del mondo e i loro sbirri tornino a tremare, che vengano presto altri giorni meravigliosi di gioia e di insurrezione.

 

 anarchici e libertari
Mer, 18/07/2012 – 11:44
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