Appello per un incontro anarchico - Altri due giorni...

riceviamo e diffondiamo:

Altri due giorni...

Una sfida, un appuntamento al buio. Questo era per noi l'incontro organizzato a Roma lo scorso 13 ottobre. Supponendone l'esistenza, vi abbiamo invitato tutti quegli anarchici che sono in cerca di altri orizzonti. Orizzonti che oggi hanno difficoltà ad aprirsi un varco in mezzo alla miseria del presente. Non avevamo idea di come sarebbe andata, di quanti compagni avrebbero accolto il nostro invito. È stato davvero un piacere scoprire e constatare come l'esigenza di incontrarsi per discutere insieme, vecchia abitudine andata persa dietro l'impellenza operativa, non sia affatto prerogativa dei soliti quattro gatti.

Il primo passo è stato fatto. Ci sono altri come noi, come voi, stanchi di sentirsi sopraffatti da una realtà che non concede spazio a sogni e desideri singolari, ma che ci immobilizza e ci trascina con il peso materiale dei suoi ricatti collettivi. Ora lo sappiamo, ne siamo consapevoli. Ne abbiamo abbastanza di fare le statue.

Con il primo incontro abbiamo lanciato un grido. C'è chi lo ha raccolto. Ora, se non si vuole che l'incontro di Roma dello scorso ottobre rimanga un momentaneo sfogo consolatorio, si tratta di andare avanti. Di immaginare ed abbozzare possibili prospettive di intervento in ciò che ci circonda. Un intervento che vuole e sappia rimanere autonomo, ovvero scevro da ogni calcolo politico. In un momento come questo, in cui si moltiplicano gli incontri al vertice per salvaguardare la pace sociale, il minimo che dovrebbe accadere è che anche in basso ci si incontri con fini diametralmente opposti. Ma in questo caso un pomeriggio non può bastare. Per continuare il dibattito appena avviato, per affinare la conoscenza, per scoprire eventuali affinità, proponiamo lo svolgimento di una "due giorni". Anche questa volta l'invito non è rivolto agli attivisti ghiotti di scadenze da organizzare, ma solo a chi ritiene che il legame fra pensiero e azione sia indissolubile, a chi si ostina a pensare che l'incompatibilità fra libertà e autorità non conosca né stati di eccezione né periodi di transizione.

Vogliamo prenderci due giorni, per sondare ragioni e passioni che potrebbero fomentare possibili lotte in divenire. Da questo punto di vista molto è cambiato rispetto al passato, anche a quello più vicino. Il movimento anarchico in cui siamo cresciuti, o che abbiamo imparato a conoscere sui libri, non assomiglia in nulla a quello manifestatosi nel terzo millennio. Può fornire qualche ispirazione, ma non può certo farci da guida. Anche qui, siamo soli.

Soli, ma in un mondo che sta perdendo pezzi. C'è chi ne annuncia il crollo finale, c'è chi ne assicura la mera mutazione. Ad ogni modo, le prospettive che si aprono sono in gran parte inimmaginabili.

Ci sembra che LA questione da affrontare sia quella della possibilità di un intervento anarchico nel contesto sociale. Intendiamo un intervento che sia anarchico nella sua metodologia, e non solo nelle buone intenzioni di chi ha invece deciso di fare a meno dell'orizzontalità decisionale. Bisogna quindi interrogarsi su quale sia la natura del contesto sociale in cui si vuole intervenire per provocare o approfondire il conflitto.

Durante gli scorsi decenni di pacificazione sociale, l'ipotesi di un intervento era legata soprattutto ad una lotta specifica, all'attacco contro un progetto o una struttura del dominio. Trovare un obiettivo contro cui eccitare gli animi, per vedere se ne sarebbero scaturite scintille. Negli ultimi anni il dominio ha raggiunto un formidabile successo nell'alienazione dell'essere umano, imponendogli una esistenza a senso unico. Ma proprio questo trionfo lo ha portato a trascurare un piccolo particolare: assicurare la pace sociale. Con l'arroganza di chi è sicuro di aver sbaragliato tutti i suoi nemici, il dominio intende continuare a perpetuarsi mettendo i propri sudditi di fronte al fatto compiuto (si tratti di grandi opere devastanti o di licenziamenti in massa). Il risultato di questa politica è ritrovarsi oggi di fronte ad una diffusione di proteste, tutte rigorosamente prive di qualsivoglia aspirazione radicale. Ciò delinea scenari diversi, per quanto non del tutto distinti. Da un lato, lotte sociali specifiche intrise di cittadinismo, la cui generalizzazione è data dalla convinzione che «un altro Stato è possibile» più che dall'ostilità nei confronti dello Stato. Dall'altro, una serie di mobilitazioni di massa che non prendono di mira alcun obiettivo specifico, ma che al tempo stesso non hanno nulla di "irragionevole". Migliaia, milioni di persone stanno scendendo in piazza per dire no. È un no triste, un no alla sopravvivenza messa a repentaglio, ma è pur sempre un no che provocherà molti mal di pancia alla controparte. Infine, com'è accaduto in alcuni paesi come Francia o Inghilterra, le reazioni alla miseria ambientale hanno assunto i tratti della rivolta, del "riot" imprevisto, caotico, ma in grado di diffondersi a macchia d'olio. Lampi di guerra civile.

Insomma, non è azzardato supporre che ben presto non ci sarà bisogno di eccitare gli animi contro qualcosa: saranno già eccitati contro tutto. Eccitati, ma non per questo furiosi. Spesso disponibili ad una soluzione di compromesso, che tuttavia potrebbe rivelarsi non essere più possibile.

Allora, come intervenire? Davanti ad una lotta specifica, si può solo fare da cassa di risonanza alle rivendicazioni riformiste (contando deterministicamente nel seme piantato sotto la neve) o condannarla senza appello? Davanti ad una protesta di massa, si può solo scontrarsi con la polizia schierata a difesa dei palazzi del potere o organizzare servizi sociali alternativi? Davanti ad una sommossa selvaggia, si può solo andare a saccheggiare supermercati o presidiarli in difesa dei lavoratori? In assenza di questi tre "modelli", si può solo attendere il proprio turno o fare del turismo rivoluzionario?

Evidentemente no. Ma per iniziare a porsi problemi del genere, bisogna anche valutarne ragioni e necessità. Ancora una volta, il come fare non è separabile dal cosa fare, che a sua volta non è separabile dal perché fare. E non è forse questa la questione in generale da affrontare?

Il futuro resta non scritto. In tutta Europa, e quindi anche qui in Italia, permangono aperte tutte le possibilità. Poiché non è possibile sapere in anticipo dove e come si accenderà il fuoco, e tanto meno la direzione del vento, non resta che vagliare tutte le possibilità.

Ecco perché ci vogliamo prendere almeno due giorni. Se siete d'accordo, se siete interessati, se eravate all'incontro di Roma lo scorso 13 ottobre, o anche se avreste voluto prendervi parte, non resta che metterci d'accordo. Sul dove, sul quando, sul come.



altrorizzonte@gmail.com


Mar, 29/01/2013 – 13:25
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