Morire di galera

Morire di galera.
Tempo addietro qualcuno riportò su un pezzo d’argilla un famoso motto che, in tutti i libri di storia che abbiamo letto, veniva considerato basilare per l’umanità stessa. Esso diceva più o meno così: “occhio per occhio, dente per dente”. Si tratta della prima regolazione scritta di quello che in seguito sarebbe stato considerato il Diritto, ed era la prima rozza epigrafe della cosiddetta Giustizia. Stabiliva che chi provocasse un danno ad un altro, dovesse patire lo stesso danno. Più o meno. perchè il lapidario significato di quel motto, man mano che il tempo passava, si è lentamente trasformato nel senso che i legislatori hanno tenuto via via a specificare che il suo significato letterale andava applicato solo in certi casi e a certe persone: i benestanti, le classi dominanti si regolavano tra loro e nei confronti dei poveri e dei subalterni in maniera diversa. La lettera andava applicata solo nel caso in cui a provocare un danno fosse il cittadino povero, mentre il cittadino ricco poteva tranquillamente risarcire il danneggiato in base ad un tariffario che, se non conteneva proprio tutti i casi, era comunque ampiamente variegato. Gli schiavi rei di danneggiamento, invece, erano sempre messi a morte. Da allora l’umanità ha fatto dei passi avanti, attraversando difficoltà e massacri che nessun’altra specie, a quanto ci è dato di sapere, ha mai affrontato. Fortunatamente per chi ora vive nel mondo civilizzato, questi laghi di sangue che hanno imbevuto la nostra storia sono serviti a far sì che da quel primitivo pezzo d’argilla si arrivasse ai monumentali Codici che variamente regolano la Giustizia e che compongono il Diritto. Una delle conquiste della primissima rivoluzione semi-borghese, ci dicono sempre i libri di storia, fu il cosiddetto “habeas corpus”, il quale impediva al sovrano assoluto di imprigionare e torturare i propri sudditi a piacimento. Tutti i sudditi proprio no, ma sicuramente la parte più ricca e quella più potente, che allora erano i mercanti e i nobili. Comunque sia questo principio ha informato di sé sia le correnti anglosassoni che quelle propriamente europee del Diritto, cosicché esso è ancora oggi un suo caposaldo: nessun potere dello Stato (in occidente sono canonicamente 3: legislativo, esecutivo, giudiziario) può arbitrariamente incarcerare un cittadino, tantomeno torturarlo. Anche nei paesi democratici dove è ancora in vigore la pena di morte, per la sua applicazione è richiesta, almeno formalmente, l’assoluta certezza di colpevolezza. In più “la legge è uguale per tutti”: quanti tribunali si fregiano di quest’altro motto. Anche questo come il Primo motto della Giustizia, ha fatto la medesima fine. La sottigliezza è che le eccezioni rimangono non scritte, ma di fatto hanno più valore della regola stessa: ora come allora la lettera si applica sempre ai più poveri. E visto che gli schiavi di allora sono diventati i proletari di adesso, l’uguaglianza è scontata. In galera ci finisce e ci resta sul serio solo chi non ha mezzi, chi non ha denaro a sufficienza per pagare fior fiore di avvocati che rimandino la sentenza fino al passaggio in giudicato, o chi semplicemente non ha amicizie altolocate o è depositario di segreti inconfessabili. A questi si applica la lettera di un altro motto che tutti conosciamo: “la legge non ammette ignoranza”. Altrimenti, le scappatoie legali per delinquere le conosceresti. Se poi capita che qualcuno di prigione ci muore, se capita che qualcuno si suicidi per la disperazione di una vita in luoghi che, finite le visite parlamentari, ritornano ad essere quello che sempre sono stati ovvero luoghi di annientamento della personalità, dell’individuo e dell’umanità, poco male. Un’inchiesta e un sacco di sabbia e il gioco è fatto. Per coloro che sono invece suicidati basta il sacco di sabbia. Come se ci fossa differenza, come se il fatto di aver costruito un sistema carcerario che ha come unico scopo l’annientamento della ragione, non fosse già di per sé una responsabilità. Ma la colpa è sempre dei morti, mai dei vivi: per cui, tutti suicidi sotto il peso della propria coscienza. Coscienza che non hanno coloro che nelle carceri continuano a torturare e vessare persone inermi, coloro che non esitano a mandarceli per un panino, e coloro che fanno finta che non sia un problema loro.
A tutti i parenti e gli amici dei prigionieri usciti morti dalle galere va il nostro cordoglio.
A tutti i prigionieri, vittime della barbarie e dell’arroganza degli esseri umani, va la nostra solidarietà.
A tutti i compagni prigionieri, vittime dei capitalisti e della loro avidità, va il nostro cuore.
A tutti, il nostro grido: non arrendetevi, non permettete che le bestie che vi controllano e che vi hanno rinchiusi vi facciano rinunciare a ciò che realmente siete. Uomini vivi!

E sigo sempre gai e mai mi rendo
E cando ba bisonzu mi difendo.

comitato permanente contro la repressione-Nuoro

Info e contatti: lasolidarietaeunarma@libero.it ; controlarepressione@autistici.org
Sottoscrizioni: Conto Corrente 000079251989 ABI 07601 CAB 17300 intestato a MANUELA LAI
Appuntamenti: ogni martedì dalle ore 20.00 Vicolo Giusti n° 17

Ciclostilato in proprio Vicolo Giusti n° 17-NU

Mer, 05/12/2007 – 10:52
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