Perchè non aderisco allo sciopero della fame

Dalla mia ‘prigione dorata’ (mi trovo ai domiciliari) vorrei contribuire nelle mie possibilità a questa protesta che riuscirà sicuramente a rafforzare i legami solidali tra rivoluzionari. Lo leggo dai numerosi comunicati in rete, e dalle iniziative che si stanno programmando sia in Italia che all’estero, dalle azioni che ne contageranno altre ancora.
Vorrei quindi aggiungervi il mio contributo, che però non passa dall’adesione allo sciopero. Vi assicuro che non è stata una scelta facile rifiutarmi di partecipare, soprattutto perché dovrò trovare il modo di aggiungere me stessa in questa lotta in un’altra maniera. Ho pensato che forse il primo modo era di riuscire a spiegare perché non ne prendo parte e provare ad attizzare una discussione tra noi anarchici su questi metodi di protesta. Perché essa non si spenga col 1° gennaio ma getti il solco per continuare…

Considero lo sciopero della fame un’arma potentissima, un’arma rivolta a se stessi perché la vita stessa e la sua fine si scaglino contro le mura della prigione. Quando si mette la propria vita in una clessidra, progettando una morte giorno per giorno, si fissa un obiettivo preciso perché si decide che la propria vita vale questo. Lo decisero anarchici e rivoluzionari prigionieri del totalitarismo di Lenin, per ottenere lettere e pacchi dai solidali ancora a piede libero. Lo decidevano due anni fa due prigionieri anarchici della manifestazione del 6 maggio dell'ESF: sono stati liberati dopo che Taras Zadorozni aveva raggiunto il 70° giorno di sciopero della fame e Makis Kyriakopoulos il 54°.
Lo ha deciso Sami Mbarka a Pavia, per ottenere quel riconoscimento che i giudici gli avevano negato; significative le parole del direttore sanitario, che lo ha lasciato morire ‘perché un medico deve rispettare la volontà del malato’.

Un digiuno a scadenza non rappresenta per me che un’arma spuntata. L’efficacia di questa lotta sta nel fatto di aver spezzato l’isolamento, ragione di vita del carcere. Aver dimostrato ancora una volta che la solidarietà tra gli anarchici è la loro arma più forte, che non conosce mura né confini. Ma dobbiamo sforzarci di trovare altri metodi che rivendichino il nostro desiderio di lottare, se non si hanno obiettivi più specifici. Corriamo il rischio di privare il metodo dello sciopero della fame del suo senso più profondo e farne un simbolo vuoto. Come purtroppo è divenuto dopo la sciopero degli ergastolani due anni fa (interrotto dopo due settimane soltanto, dopo che era stato annunciato ‘ad oltranza’) e poi ripreso l’anno scorso ‘a staffetta’. Ogni rivoluzionario che mette in gioco ogni giorno la propria vita sa che questo gioco non è un simbolo, ma, da guerriero, una lotta vera e propria.

Lo sottolineo nuovamente, la forza di questa protesta sta nel riuscire a coordinare le varie iniziative. Senza dimenticare (almeno qui in Italia) tutti coloro che sono morti in carcere e nelle caserme per la brutalità degli aguzzini in divisa. Per non dimenticare tutte i morti senza nome, perché il carcere e quelle nuove in costruzione in tutta Italia accoglieranno sempre più sfruttati senza nome, a cui solo noi e altri pochi (almeno per ora) sta il compito di ricordare.

Ogni azione vada a sostegno di coloro che hanno intrapreso questo digiuno.
Ogni azione si diriga a spezzare l’isolamento del carcere che è stato spezzato dal coordinarsi della protesta.
Ogni ricordo non rimarrà sepolto invano ma continuerà a vivere …
Ogni pensiero che continuerà a farci discutere ci aiuterà a costruire le rivolte future.

Saluti ribelli, Sara

Lun, 28/12/2009 – 16:46
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