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Da quando tre anni fa ci fu il sollevamento in Siria (quale locale materializzazione delle insurrezioni che hanno scosso intere regioni del Maghreb e del Mashrek) la maggior parte delle reazioni, dei commenti e delle critiche da parte di strutture militanti che si dichiarano rivoluzionarie, internazionaliste, comuniste, anarchiche… non hanno fatto che andare nella stessa direzione: esprimere dubbi su cosa sta accadendo, dubbi sulle determinazioni materiali di fondo che hanno dato inizio ai movimenti che sono sotto i nostri occhi, dubbi sulla natura di classe di tali eventi, dubbi sul potenziale sovversivo delle lotte della nostra classe quando non avvengono sotto le “giuste” bandiere, e così dicendo.
Questi dubbi si sono rafforzati da quando il conflitto si è trasformato in “militarizzazione della rivoluzione” (a detta di molti) ed il nostro movimento è stato deviato dalle “forze di opposizione democratica” e da parecchie tendenze di jihadisti, salafiti ed altri islamisti. Ma, come ha scritto un militante palestinese:
“E’ vero, la rivoluzione siriana è stata senz’altro deviata e noi sappiamo che ci sono molti salafiti, molti jihadisti e molti altri gruppi, come pure molti altri gruppi filo-americani e filo-imperialisti che hanno cercato di deviare la rivoluzione siriana. Ma questo non deve gettare ombre sulla rivoluzione siriana e non significa che siccome il movimento rivoluzionario è stato deviato noi dovremmo metterci da parte e smettere di sostenerlo. Naturalmente ci sono ancora tanti rivoluzionari che agiscono sul campo [...] e ci sono anche molte brigate armate non-settarie che non possiamo ignorare. Se la rivoluzione è stata deviata, non è che noi ce ne andiamo ed inizamo a prendercela col popolo che si è fatto deviare. Noi dobbiamo fare di tutto in fin dei conti per stare a fianco del popolo allo scopo di ricondurre la rivoluzione sulIa corretta via. Ed è proprio questo che molti a sinistra non sono riusciti a comprendere.”[1] Continue reading