Nei giorni della crisi e della devastazione sociale, della rivolta greca e delle importanti responsabilità che da quelle strade li vengono, dalle veloci allerte lanciate dai nostrani pompieri coscienti del baratro che ci si prospetta, abbiamo dovuto perdere molto tempo ed attenzione per i fascisti.
Non diremo nulla della propensione a fare da sgherri, volontari o meno che siano, né delle loro fantasie di ribellione che si spengono velocemente nelle stanze dei ministeri; vorremo parlare invece di quello che questi giorni hanno significato per noi.
Innanzitutto preoccupazione di fronte ad un processo che da destra a sinistra crea legittimità politica non a un piccolo movimento (300/400 persone in tutta Italia venute a Roma è veramente poca cosa) ma ad una serie di parole e concetti che questi rappresentano.
Del resto non hanno iniziato loro questa manovra partita da Fiuggi anni fa e che negli anni ha costruito molte facciate e doppi petti, ma ben pochi cambiamenti. Si è scelto di far parlare le istituzioni in difesa di un pugno di nostalgici umiliando la memoria storica non solo di Roma ma della Repubblica nata dalla Resistenza; in questo senso le parole del gerarchetto Polacchi sono esaurienti “infami come i partigiani”. Storia messa alla berlina, rivisitazione in chiave sloganistica di un processo politico che ha portato una nazione a rifiutare non solo una dittatura ma quello che c’era dietro.
Ma tutto questo non conta, e dunque il 25 Aprile diventa festa dell’unità nazionale, la resistenza è stata fatta dai soldati in difesa della patria (e poi da qualche gruppo di civili), il fascismo diviene una parte tollerabile non tanto della storia di questo paese ma del presente della sua cultura politica.
Ma più di questo, il revisionismo non diventa storico bensì politico ed ideologico perché brandisce la memoria come una clava, appianando in un grigio sfondo ogni fatto o atto, riducendo il passato ad un quadro misero ed irresponsabile in cui il presente viene annegato. Ma soprattutto cancellando gli anticorpi che provengono da quello che già è accaduto, cancellando quelle barriere dietro le quali sono stati costruiti e conquistati diritti che vengono descritti come parassitari e superati.
In questo si è inserita anche un’interessante querelle a sinistra con personaggi secondari (diremmo i minori del ‘900) di cui faremo a meno di parlare se non che le loro dichiarazioni pubbliche tirano in ballo una parola assai cara a tutti/e noi: libertà.
Ora ci sembra assai strano ma passi che Sansonetti, e tutte le centinaia di amici che lo circondano, non si ricordino gli eventi violenti e nefasti (tipo aggressioni, pestaggi con aggravanti razziste e tentato omicidio per ricordarne qualcuno) che hanno contraddistinto l’ascesa di Casapound e di cui il giornale che ha diretto hanno abbondantemente parlato; passi che non si ricordi quei grandi vecchi, della generazione di Sansonetti, Sofri e soci che si nascondo alle spalle della gioventù del potere, che teorizzavano una terza posizione e da cui ci tenevano a distanziarsi e con cui si scontravano; passi per questa socialconfusione che hanno nel cervello e che spacciano per valori liquidi che più si adattano a questa società senza comprendere che non fanno altro che generare confusione e aprono praterie alle tentazioni neoautoritarie di questa Italia sempre più impaurita.
Però proprio non ci va giù che si riempiano la bocca di verità sulla “libertà” perchè sanno bene che se non viene definita la “libertà” è una parola vuota e strumentale. Perchè, non a caso, il partito della maggioranza si chiama “delle Libertà”. Come quella di violentare i territori, umiliare il futuro di migliaia di giovani precari e precarie in balia della crisi, di fomentare guerre etniche e ronde xenofobe, di distruggere la formazione italiana. E su questo il Blocco studentesco ha delle responsabilità che partono dalla stanza (l’ennesima) del Ministro Gelmini alla grande provocazione/aggressione di Piazza Navona.
Dunque si afferma in questa vicenda la libertà di avallare una cultura di morte e di odio per le diversità (questi erano i cavalli di battaglia delle squadracce nere a cui i giovani fascisti si rifanno con orgoglio); ma se poi qualche ragazzino ci crede e va per strada e distribuisce coltellate a qualche “negro”, “frocio” o “zecca” perchè stupirsi se si guarda a loro, o la libertà è quella di aprire bocca e non assumersi le responsabilità di quello che si dice?
E su questo, proprio sulla questione della morte, vorremo soffermarci. Infatti da un po’ ci assillano con la preoccupazione del morto tra le file dei poveri camerati.
E questo risulterebbe ridicolo e surreale se non lo dovessimo mettere a confronto con la realtà. Infatti, senza andare troppo indietro con al memoria, le nostre comunità, quelle che potremmo individuare con le fila delle lotte sociali, degli spazi occupati, delle culture alternative e multiculturali, hanno dovuto piangere già tre morti. Quella di Dax, quella di Renato e quella di Nicola.
Quelle morti sono figlie di quella cultura che dovrebbe essere libera e tollerata.
Questi giorni hanno assunto ai nostri occhi cartteristiche tristi e cupe, dove si gioca sulla nostra pelle un’irresponsabilità della sinistra. Si gioca sulla nostra pelle un’accettazione delle più becere prospettive politiche della destra. Significa che nel gioco dei significati si tenta di sfondare una cultura e legittimare interventi che giorno dopo giorno assumono caratteristiche autoritarie e repressive. Ma tutto questo passa ben al di sopra dei fascisti del terzo millennio.
Spesso, la differenza e le distanze con i fascisti vengono definite come scontri tra opposti estremismi; ma se la posta in palio è l’accettazione di tutto questo, semplicemente diciamo che è vero. Siamo estremamente opposti nella nostra concezione della società.
Rifiutiamo i loro richiami passati e le loro prospettive future. Lo facciamo responsabilmente, senza giochi, equilibrisimi politici o visibilità personali.
Noi rimaniamo a costruire percorsi pubblici e lotte sociali all’interno delle quali rifiutiamo e rifiuteremo sempre il fascismo non come parola, spauracchio o tabù, ma per quello che rappresenta.
Si dice fascismo ma si legge sopraffazione, sopruso, ingiustizia, morte. Questo per noi ha sempre significato e significa tutt’oggi.
Da questo ci continueremo a difendere, ieri come oggi.