Contributo sulla deriva assistenzialista

riceviamo e pubblichiamo:

In questi giorni mi è capitato tra le mani il numero 0 del foglio rivoluzionario KNO3 in cui sono stati posti alcuni problemi in seno al “movimento anarchico” (che per comodità chiamerò così).
Successivamente c'è stato un botta e risposta telematico tra chi si è sentito direttamente chiamato in causa dagli articoli apparsi su KNO e uno dei realizzatori del foglio.
Adesso, fare polemica su fatti che centrano poco con le questioni sollevate è solo un modo per evitare il problema.

Una delle questioni affrontate su KNO riguarda la deriva assistenzialista del “movimento anarchico”.
Infatti pare quasi che in contrapposizione al mito dell'operaio rappresentato nell'ideologia comunista come figura rivoluzionaria in sé, sia stato creato il mito del carcerato anch'egli soggetto rivoluzionario in quanto tale.

L'esempio della lotta degli ergastolani per l'abolizione del “fine pena mai”, a cui molti anarchici si sono accodati non è che il più lampante. Una lotta di una parte dei detenuti, che nulla a che vedere con la distruzione delle carceri e neanche con un miglioramento effettivo delle condizioni di prigionia: si chiedeva (per alcuni) una durata minore della pena.

Non che queste iniziative siano sbagliate o non meritino la solidarietà di tutti/e, ma non vedo la differenza con gli scioperi operai per condizioni migliori di lavoro (cioè di sfruttamento).
Certo, il carcere è un luogo decisamente peggiore rispetto alla fabbrica, ma non siamo tutti convinti che tutta questa società di cui vogliamo la distruzione sia un'enorme prigione e che all'interno di questa vi siano celle più piccole e altre più grandi?
Perché allora appoggiare le lotte parziali di alcuni detenuti e non quelle dei lavoratori che pretendono migliori condizioni di sopravvivenza?
Sbagliano i lavoratori? Non credo. Sbagliano i detenuti? Neanche.
Allora l'errore viene da qualche altro soggetto o comunque nel modo di rapportarsi a tali situazioni.
Ci sarebbero altri esempi da fare e ci sarebbe molto da scrivere su certi presidi sotto le carceri: canti, balli e tornei di calcetto... peccato solo che i carcerati non possano divertirsi insieme a noi.

Bisogna, a mio avviso, recuperare una certa intransigenza.
A volte non è molto chiaro quale sia il ruolo effettivo degli anarchici, o se ne abbiano uno.
Sul foglio viene posto solo uno dei tanti problemi e spero che nei prossimi numeri non ci si soffermi solo sulla deriva assistenzialista.

Credo, anche se è solo una mia impressione, che ci sia una generalizzata esigenza di antiautoritarismo, di soppressione di ogni autorità ed ogni forma di oppressione. Un'esigenza che rimane inespressa (voglio ricordare che partiti e associazioni hanno preso in prestito, negli ultimi anni, slogan e concetti nati dalle esperienze prodotte nella storia delle lotte anarchiche).
D'altro canto l'azione per l'azione, perché qualsiasi attacco contro lo stato è giusto e auspicabile, funziona solo per gli anarchici (ed evidentemente neanche per tutti).
Ma a meno che non vogliamo una società di soli anarchici (e a questo punto sarebbe più conveniente creare un partito), dobbiamo mettere in conto che si deve fare affidamento anche su altre forze (e non mi riferisco a nessun tipo di organizzazione politica, sia chiaro!), ciò significa che le azioni (di qualsiasi tipo) devono essere in grado di produrre risultati concreti sulla realtà, condizione necessaria per rompere un certo isolamento.
Scriverlo è facile, pare banale. Nella realtà, ovviamente, non lo è. Non sempre la strada migliore è la più comoda.

Spero che queste poche righe non contribuiscano a far affogare il tutto in un mare di chiacchiere.

Uno qualunque

Mar, 06/05/2008 – 17:31
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