Lettera di Francesco Gorla

Fonte: Lettera inviataci dagli amici di Francesco Gorla

La mattina del 14 maggio 1999 a Milano avviene una tentata rapina ai danni di un furgone portavalori, a seguito del quale si sviluppa un conflitto a fuoco fra rapinatori e forze dell'ordine.
Resterà ferito mortalmente l'agente di polizia Vincenzo Raiola, prestante servizio su una delle volanti intervenute sul luogo.
Passata alla cronaca come "la rapina di via Imbonati", è l'ultima di una serie di rapine avvenute a Milano,il cui inizio (stando alle ricostruzioni degli inquirenti) risale al luglio 1997.
A detta degli stessi investigatori non furono rinvenute sul luogo tracce utili all'individuazione dei colpevoli, fino a che, poche ore dopo, la conversazione di due pregiudicati (da tempo sottoposti a controllo tramite microspie e apparati G.P.S. sulle autovetture) da la svolta alle indagini. Non appena essi apprendono la notizia della tentata rapina dai mezzi d'informazione, si prodigano in sciorinati oracoli per tentare di capire chi fossero gli autori. Dalle trascrizioni delle intercettazioni si evince chiaramente che tali soggetti non sono assolutamente a conoscenza dei fatti, tant'è che con stupore commentano i particolari della vicenda che i cronisti dei vari radiogiornali si prodigano a raccontare, ipotizzando chi potrebbero essere gli autori del fatto.Vengono fatti dei nomi.... tal "Francesco", tal "Sebastiano", tal " Fabio", tal "Nicola"......
Proprio da questa conversazione prende corpo l'ipotesi degli inquirenti che i due pregiudicati fossero a conoscenza o addirittura facessero parte del "gruppo"che ha commesso il fatto, e che in quell'occasione non avessero partecipato per varie ragioni. Questo è fondamentalmente il teorema centrale dell'"indagine".
Si giunge al 25 luglio 1999, giorno in cui avverranno una serie di arresti (tra cui il sottoscritto).
Per meglio comprendere il "modus operandi" degli "investigatori" torniamo agli eventi del 14 maggio 1999. Durante il conflitto a fuoco i rapinatori esplosero circa 230 colpi con fucili d'assalto Kalasnikov che utilizzano il calibro 7,62 x 39 soviet; le forze di polizia esplosero per l'esattezza 10 colpi con le armi d'ordinanza (Beretta M.12 mitraglietta e Beretta 92 SB pistola semiautomatica), calibri entrambi 9 mm parabellum ossia 9 x 19 ( 9 mm NATO).
L'agente di polizia rimasto ferito fu prontamente trasportato all'Ospedale Niguarda di Milano, e fu sottoposto a T.A.C. preoperatoria per vedere la natura del trauma ed estrarre il proiettile. Almeno da parte dei medici curanti l'iter fu eseguito come il protocollo richiede, il professor Viola eseguì l'operazione di estrazione del proiettile dal cranio ed in seguito redattò la cartella clinica del paziente apponendo in calce la seguente frase: "la lesione presente nel cranio dell'agente Raiola è da attribuire ad un proiettile di pistola". Indubbiamente il medico chirurgo non è uno specialista in balistica, ma crediamo che durante la sua decennale esperienza abbia spesso avuto a cha fare con lesioni causate da proiettili.
C'è da sottolineare che sebbene a riguardo nulla di ufficiale ci sia, immediatamente dopo la rapina le armi in dotazione agli agenti che presero parte al conflitto a fuoco vennero sequestrate e sottoposte ad analisi balistica per stabilire da chi e da quale arma sia partito il colpo quasi mortale, in quanto la morte avvenne dieci giorni dopo il ferimento. I periti balistici della scientifica si resero conto immediatamente da quale arma partì il colpo..... e di conseguenza chi lo esplose.
Il proiettile fu rinvenuto nel cranio del ferito e dopo l'estrazione fu consegnato dai medici del Niguarda al presidio di polizia dell'ospedale stesso (di questo ci sono documenti agli atti).
Da questo punto della vicenda in avanti avvengono i fatti inquietanti, sporchi, miserabili e che inoltre costituiscono illeciti penalmente perseguibili.
Resosi conto che a causarne il ferimento mortale non furono i rapinatori bensì gli stessi colleghi dell'agente Raiola, l'allora questore di Milano Finazzo, il capo della Procura della Repubblica di Milano S. Monelli, funzionari della squadra mobile tra cui il commissario J. M. Falcicchia, il P.M a cui fu affidata l'inchiesta Lucilla Tontodonati, senza tralasciare l'allora Ministro degli Interni Iervolino si accordarono per sostenere la tesi che il ferimento era da attribuire ai rapinatori, ma per fare ciò era indispensabile e necessario commettere un falso, un imbroglio! Come? Semplicemente facendo sparire il vero corpo del reato ossia il proiettile, ben visibile nelle lastre della T.A.C. come
un 9 mm. Parabellum, e sostituendolo con un nucleo di proiettile calibro 7,62 x 39 soviet di Kalasnikov in uso ai rapinatori. Si trattava appunto non del proiettile integro come fuoriesce dall'arma dopo lo sparo, ma bensì del nucleo interno del proiettile (ogiva) ovviamente ben più piccolo di diametro che non il 7,62 x 39 soviet integro. Furono "costretti" ad acquisire solo il nucleo in quanto tra i vari reperti rinvenuti sul selciato stradale adiacente al luogo della rapina non vi erano proiettili rimasti interi ma.... tutti frantumati, sostenendo il ritrovamento dei soli nuclei in acciaio in quanto i proiettili si sarebbero "scamiciati" (lo scamiciamento consiste nella frantumazione della parte esterna del proiettile).
Ma non solo...... secondo la prassi tale reperto sarebbe dovuto essere conservato tra gli elementi probatori come corpo di reato e portato in tribunale. Invece fu tenuto nascosto fino al giorno precedente la sentenza di primo grado e dopo che tutte le difese degli imputati chiesero con molta insistenza di visionare il reperto, fu portato in aula il giorno dopo da alcuni poliziotti (interni all'indagine). Non fu preso comunque in considerazione dal P.M. che sostenne di non sapere nulla di ciò e di dolersene molto. Anche il presidente Luigi Martino non diede importanza alla cosa, fu addirittura negata anche la possibilità di ascoltare la testimonianza del chirurgo che effettuò materialmente l'estrazione del proiettile e che stilò il referto medico, ritenendolo come al solito ininfluente. Era più che evidente che l'unico scopo era condannare all'ergastolo gli imputati e chiudere quanto prima il caso.
In secondo grado riuscimmo a far periziare il falso corpo del reato (nucleo del proiettile di Kalasnikov), ma si riuscì solo ad accertare la natura del "tondino d'acciaio",mentre ciò che le nostre difese richiedevano era di poterlo comparare con la tac preoperatoria, così da stabilirne la compatibilità o meno con l'oggetto mostrato nelle radiografie. Ebbene, ci negarono anche questa possibilità! E la condanna all'ergastolo fu riconfermata.
La difesa del mio coimputato Mazzeo riuscì, dopo il secondo grado e prima della discussione in Cassazione, ad entrare in possesso della T.A.C., pertanto fece periziare da due consulenti il reperto a sequestro confrontandolo con quanto la T.A.C. stessa mostra. Le perizie sono sotto i vostri occhi ed è pleonastico evidenziare quali tipologie di reato si delineano (dal dolo commesso in atti pubblici, al falso ideologico e altro ancora) ..... rasentiamo la beffa! Tutto è stato ed è un susseguirsi di ignobili falsi, il P.M., e chi con lui, hanno pagato i periti del tribunale, (il radiologo Garbagna e il balistico Benedetti), per affermare il falso nella prima perizia, tanto che lo stesso mio coimputato Mazzeo li ha denunciati e conseguentemente l' incidente probatorio è stato spostato al Tribunale di Brescia (per competenza territoriale). Infatti, il Procuratore Generale di Brescia ha iscritto e ravvisato il dolo derivante dal falso affermato dai periti nominati dal P.M. Tontodonati. Purtroppo giudice non mangia giudice...... così il G.I.P. di Brescia ha rispedito tutto il fascicolo al G.I.P. di Milano Paolo Ielo, il quale ha messo sotto chiave la vergognosa vicenda.
Dopo l'esito favorevole e il responso di non compatibilità fra il reperto a sequestro e ciò che è visibile nella T.A.C., il mio coimputato Mazzeo inoltrò una denuncia contro ignoti (eufemisticamente parlando) nel tentativo di accertare i fatti e far emergere la verità. Più di due anni di battaglie verbali e perizie, e un nutrito carteggio tra lui e i vari Uffici della Magistratura, a nulla sono valsi per cambiare la situazione, neppure l'insistenza e le ingiurie che i magistrati hanno dovuto subire. Eppure il Mazzeo per questo non è mai stato denunciato perché i solerti giudici implicati nella vicenda non hanno nessuna intenzione di rischiare la riapertura del caso. Parte del carteggio è allegato alle perizie e si può osservare come il Mazzeo non si sia mai tirato indietro dall'accusarli di falso, di costruzione di prove false, dell'aver compiuto nefandezze sin dalla mattina del 14 maggio 1999 fino ad oggi!
L'impeto mediatico forcaiolo subito dopo l'arresto degli imputati (ci davano per assassini certi) si accanì in maniera inaudita su di noi, per mesi martellarono ossessivamente sui criminali che commisero la rapina di via Imbonati e, come se non bastasse, enfatizzando sul fatto che tre delle persone implicate nei fatti avevano fatto parte, negli anni '80, di formazioni armate di sinistra, per cui si ipotizzava (tra le altre stupidaggini) di un possibile riaffioramento di frange eversive tramite appunto un eclatante azione di autofinanziamento.
L'atteggiamento dei giudici implicati in questa trama delinquenziale si rese ancor più evidente dopo che il sottoscritto fece pervenire al Guardasigilli Clemente Mastella, al Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano e, per conoscenza, al P.M. Lucilla Tontodonati, una missiva chiarificatrice dei fatti oltremodo stigmatizzante le varie nefandezze compiute da questa banda di criminali che include, oltre ai già citati personaggi,anche il collegio giudicante della Corte d'Assise di Appello di Milano, e il presidente della 1° Sezione Penale di Cassazione Mario Sossi. Missiva inoltrata tramite Ufficio Matricola del Carcere di Livorno con numero di protocollo. Tutt'oggi nessuno mi ha chiesto spiegazioni.... probabilmente passerà sotto silenzio com'è stato per il carteggio del Mazzeo.
Ciò che questi criminali temono maggiormente è la cattiva pubblicità oltre alla possibilità di formulare ulteriori perizie con apposta firma in calce le quali riaffermino i principi dell'onestà, della giustizia e del buon senso, come la prima perizia effettuata dai nostri consulenti il Dr. Luca Valvassori e il Dr. Carlo Montaperto, valenti esperti in materia. I periti nominati dal P.M. invece hanno volutamente commesso reati in successione dando atto ad un disegno criminoso.... in teoria non rispettoso delle istituzioni cui essi dicono di appartenere e difendere! Il falso è sotto gli occhi di tutti, cercano di nasconderlo ma non è possibile in quanto quella T.A.C. non si può distruggere, ne manomettere e dirà la verità all'infinito. Se fossero stati onesti, dopo la nostra perizia avrebbero dovuto scarcerarci, ma questo sarebbe costato loro carriera, soldi e quant'altro.
Tutta questa operazione attuata per gettare la responsabilità sui rapinatori e risparmiarsi la grama figura è soltanto l'apice delle infamie compiute da alcuni funzionari della Questura di Milano e da alcuni magistrati del Tribunale di Milano, e quelli di Brescia non sono esenti da responsabilità gravissime. Le cosiddette "indagini" dal 14 maggio 1999 fino agli arresti del 25 luglio 1999 sono infarcite di reati che il codice di procedura penale punisce, anche per gli inquirenti. Per non parlare di come venne usato e "imboccato" il pentito di turno, con una filastrocca mal memorizzata secondo la quale avrebbe partecipato a preparativi e sopralluoghi con Mazzeo e il sottoscritto, ma che ben presto ha rivelato l'infondatezza delle affermazioni del pentito stesso, che nell'arco della sua deposizione in Tribunale è stato smentito una novantina di volte in quanto palesemente in contraddizione con altri testimoni o con ricostruzioni di altre fonti. Tutti i vari gradi di giudizio si sono svolti con la volontà di una condanna certa all'ergastolo, e le violazioni del cosiddetto "giusto processo"si sono rese palesi: ad ogni richiesta delle difese le varie Corti ci risposero con una negativa....persino la richiesta della difesa di poter interpellare l'Ufficio Meteorologico di Milano per verificare se il 14 maggio 1999 in città piovesse o no fu respinta, adducendo che il fatto era di scarsa rilevanza quando è noto invece che la pioggia ed altri fenomeni metereologici sono molto importanti al fine dell'integrità dei reperti (soprattutto organici) per poter espletare successive analisi di laboratorio.
Potrei andare avanti a raccontare cose di questo genere, ma le carte, i documenti sono inequivocabili, parlano chiaro, hanno stravolto ogni diritto alla difesa, dalle intercettazioni infondate, ai riconoscimenti, alle analisi di procedura sui test del D.N.A., agli omissis dei collaboratori di giustizia, alle affermazioni di perizie balistiche firmate e controfirmate dal R.I.S. di Parma poi successivamente smentite in giudizio, testimoni del P.M. che hanno palesemente dichiarato il falso... complici in parte alcuni legali di fiducia degli stessi imputati, quasi mai schierati col proprio assistito ma piuttosto accondiscendenti e servizievoli con gli stessi P.M..
Tale atteggiamento è abbastanza usuale e rende il legale sottomesso ai voleri di alcuni magistrati non conformi ai principi deontologici dell'onestà e della giurisprudenza. Quindi più che la Giustizia della democratica Italia abbiamo provato sulla nostra pelle tutta l'ingiustizia del potere. Fa rabbia constatare che dei palesi criminali con la toga possano commettere qualsiasi abuso: è una mafia! Chiunque può subire la logica del capro espiatorio, ma mai finiscono in questa rete certi magistrati! Sembrano essere immuni dal male, dal commettere reati. Il loro è un Potere di casta, un Potere che supera il maquillage delle Istituzioni, rappresentato da una banda di criminali in seno alla Magistratura, che attua colpi di mano ogni volta che ritiene necessario.
Con questi scellerati abbiamo da scontrarci. Paradossalmente, in questa vicenda, il sottoscritto e il mio coimputato Mazzeo possiamo offendere i giudici implicati nei suddetti fatti e per contro non subire nulla. Due come noi che trinciano con la penna il fior fiore dei magistrati di Milano e Sossi della Cassazione a Roma! Per ora incassano stoicamente ogni sorta di nostro sfogo, sono dei vigliacchi e non hanno altra scelta.
Tutti gli imputati, (compreso il sottoscritto), a cui viene contestata la rapina di Via Imbonati si sono sempre dichiarati estranei ai fatti, sia per il fatto specifico che per i restanti reati contestati.

Francesco Gorla - Livorno 25/03/07

Gio, 31/05/2007 – 16:27
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