Missing image

Meglio tardi che mai, la giustizia a Bergamo arriva da lontano

2 Dicembre 1997, è notte. Sull’autostrada A4, all’altezza di Grumello, viaggia un’auto della polizia in direzione di Brescia. Viene superata da una Rover 200, a bordo quattro persone, chi è alla guida parla al cellulare. La polizia li segue, fa segno di accostare. La Rover accosta in corsia di emergenza, inaspettatamente i quattro balzano fuori e si danno alla fuga nel campo a lato dell’autostrada. I poliziotti sono tre, vengono sparati due colpi in aria, per intimare l’alt ai fuggitivi, mentre l’agente Agatino Russo, pistola in mano e colpo in canna, parte all’inseguimento scendendo dalla scarpata che separa il guardrail dai campi. Un terzo sparo, Julian Alikaj, albanese di 19 anni, muore quasi subito colpito alla schiena.


Tredici anni e mezzo fa si consumava questa tragedia, la morte di un ragazzo poco più che maggiorenne, poi le indagini, poi il processo. Il PM Chiaro chiede l’imputazione per omicidio volontario sostenendo che l’agente ha sparato per uccidere o quantomeno mettendone in conto il rischio, l’agente si difende: sono scivolato e ho sparato dalla scarpata e il colpo mi è partito accidentalmente. Omicidio volontario o omicidio colposo, su questo si gioca il processo. Nel 2006 si chiudono le danze: il PM chiede 14 anni, i difensori l’assoluzione, la sentenza è di omicidio colposo, reato a quel punto già prescritto.

Ma la famiglia Alikaj non si arrende, e ricorre alla Corte europea. Arriviamo così al 29 marzo di quest’anno, quando lo stato italiano viene condannato a risarcire i genitori del ragazzo con 155 mila euro.

Secondo la Corte europea tre sono gli elementi che giustificano questa sentenza. L’agente Russo sarebbe colpevole di uso eccessivo di forza rincorrendo al buio e con una pistola carica in mano quattro persone non armate e che non costituivano pericolo imminente. Si scoprì solo in seguito infatti che il motivo della fuga dei quattro era che la Rover 200 era un’auto rubata, ma questo il poliziotto allora non lo sapeva. Inoltre i primi accertamenti furono effettuati dai colleghi dello stesso Agatino Russo, fatto che lascia seri dubbi su come si svolsero le indagini. Infine è stato definito inaccettabile il ricorso alla prescrizione che risparmia la condanna all’agente il quale non fu nemmeno mai oggetto di sanzioni disciplinari per l’accaduto.

Intanto la Corte d’appello di Venezia ha riconosciuto un rimborso alla famiglia di 15 mila euro per la lunghezza del processo (non ancora versati).

Si può dire una storia finita bene, se non fosse iniziata con un ragazzo morto.

Print Friendly, PDF & Email

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.