Come ogni dieci febbraio, anche quest’anno il Giorno del Ricordo porta con sé numerose iniziative e svariate polemiche. A Bergamo sono in programma diversi momenti di ricordo delle vittime delle foibe (il primo organizzato da Fratelli d’Italia, il secondo “apartitico e apolitico”, ma pubblicizzato da Forza Nuova), unitamente a convegni e dibattiti. Infine, il 12 Febbraio è prevista a Seriate la prima dello spettacolo “Rumoroso silenzio”, del diciottenne bergamasco Luca Andreini, sempre sul tema dell’esodo giuliano dalmata. In molti casi, gli eventi prevedono la partecipazione dell’ ANVGD, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, che “fondata nel 1947, è la maggiore rappresentante sul territorio nazionale degli italiani fuggiti dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia al termine della seconda guerra mondiale sotto la spinta della pulizia etnica delle milizie jugoslave e lo spettro delle foibe” (così si legge nella loro presentazione). Proprio tale associazione è stata finanziata dal comune di Bergamo nel 2015 con 2.500 euro (presumibilmente per l’organizzazione di interventi sul Giorno del Ricordo nelle scuole) e insieme al sindaco sarà presente all’incontro pubblico con Romano Sauro presso la Sala Galmozzi di via Tasso, giovedì mattina.
Ma l’operazione portata avanti da questi soggetti, che pure si definiscono apolitici, non può essere neutra, proprio in quanto la ricostruzione storica non lo è mai, per definizione. A maggior ragione non lo può essere se riguarda un evento tanto complesso e variegato come quello delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata.
Il 10 febbraio infatti si ricorda il trattato di Parigi, che nel 1947 sancì la pace in Europa; prima di questa data, si assistette ad un periodo di violenze ed epurazioni, non dissimili da quanto accadde in altri stati; le foibe (due diversi momenti e contesti, il ’43 e il ’45) furono principalmente espressione di una rabbia popolare incomprensibile se non contestualizzata: è necessario infatti ricordare la nazionalizzazione forzata avvenuta durante l’epoca fascista, che in queste regioni fu fortissima e perpetrata con ogni mezzo, dalla violenza squadrista alla bonifica culturale (cambio di cognomi e toponomastica, programmi scolastici ecc.). Lungi dall’essere una “pulizia etnica”, le foibe furono più che altro una reazione, anche violenta, a soprusi e forzature che avvenivano in quei territori da vent’anni.
Il giorno del Ricordo, però, ci consegna un’altra versione di questa storia, per mano di attori non sempre scevri da interessi politici.
Innanzitutto, occorre precisare che l’ANVGD (prima promotrice della giornata del Ricordo) è un’ associazione nata come neo irredentista: fino a quattro anni fa, infatti, sul suo statuto si leggeva che un obiettivo era “agevolare il ritorno delle Terre Italiane della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria, concorrendo sul piano nazionale al processo di revisione del Trattato di Pace”. La retorica dunque era fin dall’inizio molto insidiosa e non è difficile notare come, a dispetto delle pretese di apoliticità, il discorso storico venga subito presentato in chiave nazionalista. La lettura del conflitto presentata dall’ANVGD è infatti marcatamente etnica, mentre le fonti storiche ci parlano di una guerra politica, che assunse anche connotazioni di classe, tra partigiani (comunisti e non solo) e nazisti, fascisti e collaborazionisti. Anche durante la conferenza stampa dello spettacolo di Andreini, presentata in università, il racconto degli esuli dell’ANVGD si è concentrato sui concetti di patria e italianità e su una fantomatica “nostra terra derubata”. Questa visione però è storicamente sconfessata dai fatti: il presupposto che l’Istria e la Dalmazia fossero de facto terre italianissime dimentica che furono annesse all’Italia solo dopo la prima guerra mondiale e che per secoli furono un territorio meticcio e multietnico, in quanto frontiera tra stati diversi, dove la componente italiana (venetofona) rappresentava soltanto una delle anime, spesso indistintamente mescolata con quella croata e slovena.
La ricorrenza storica del Giorno del Ricordo, istituito nel 2004, si presenta dunque come un malcelato tentativo di rinfocolare il nazionalismo italiano, più che un modo di far luce su un periodo effettivamente molto controverso della nostra storia recente; a dimostrazione di ciò, il silenzio sugli abusi e i soprusi perpetrati dalle milizie italiane, parte integrante di un racconto storico che miri a definirsi “neutro”, o per lo meno completo.
In occasione del Giorno del Ricordo, Bgreport ha intervistato Lorenzo Filipaz, che si è già occupato più volte del tema e fa parte del gruppo d’inchiesta “Nicoletta Bourbaki” su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete.