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[Genova] rassegna stampa recente
by inchiesta G8 Wednesday October 22, 2003 at 05:34 PM mail: inchiesta-g8@indymedia.org 

raccolta di articoli sugli ultimi sviluppi di Genova G8

5.10.2003

da lavoro Repubblica

"A Bolzaneto ero il capo e non e' accaduto nulla"

I pm gli contestano soprusi e violenze : "Non li ho visti".

Tra le 43 persone destinatarie di altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari sui soprusi alla caserma di Bolzaneto, dove transitarono oltre 300 manifestanti, insieme a 4 medici, c'e' anche il vice questore Alessandro Perugini che nella notte tra sabato e domencia fu il funzionario piu' alto in grado presente all'interno della struttura e quindi il primo responsabile della gestione. Ai pm che gli chiedono conto delle tante violenze ai danni dei fermati, il funzionario risponde cosi': "Io materialmente non ho fatto nulla, non ho assistito, ne' avuto percezione o sensazione che si siano verificati episodi di questo tipo. Io il 99% del tempo che ho passato a Bolzaneto l'ho passato in una stanza."
E quando e' uscito come erano gli arrestati? "In piedi e ce n'erano molti con la faccia rivolta verso il muro, le mani in alto". Ad un certo punto il pm gli chiede dell'episodio dello spray urticante o del lacrimogeno lanciato dentr ouna cella. "Effettivamente sono andato li' ho constatato
che c'era questo liquido, questa cosa che dava fastidio agli occhi e mi sono reso conto della cosa e ho detto a un tenente di carabinieri: 'Guardi, secondo me forse e' meglio che lei metta un carabiniere a vigilare che non
buttino roba dalle grate.', perche' queste celle essendo al piano terreno avevano delle finestre che pur avendo le sbarre erano molto ampie, quindi arrivavano quasi a terra e quindi le tenevan oaperte, per cui ho suggerito di mettere un carabiniere all'esterno."
Pm.: "Lei di urla non ne ha mai sentito?"
Perugini: "Mai sentito urlare, mai sentito lamentarsi, mai sentito assolutamente nulla."
I magistrati insistono, citando testimonianze di pestaggi, soprusi violenze, insulti. Perugini: "Se queste circostanze fossero state note io avrei fatto il mio dovere." Il funzionario racconta di aver comprato delle bottiglie di acqua ("24.000 lire, ma non e' mica per il denaro... anche se le ho spese di tasca mia") poi distribuite tra gli agenti e anche in una cella, ricorda gli assembramenti e la confusione ("Ci volevano 2 ore per una foto -
segnalamento" spiega che n un'occasione un detnuto lo aveva ringraziato per averlo aiutato a mettersi in contatto con il proprio avvocato. "Io la notte di sabato ero affacendato in altre cose, molto impegnato. Ho appreso di questa situazione c'e' stato un articolo, se non ricordo male su Repubbilca, il martedi: ho fatto una relazione, un'annotazione dove ho
detto che a quanto era a mia conoscenza non mi risultava che quello che riportava l'articolo fosse vero, perche' io non ho assolutamente avuto quella sensazione."

LE CONFESSIONI DI PERUGINI
"Sferrai quel calcio al ragazzino, volevo che si rialzasse"

Alessandro Perugini, il poliziotto piu' indagato per le violenze al G8 genovese. Sferra un calcio in faccia a un manifestante di 15 anni davanti alla questura nel corso di un intervento che portera' ad una manciata di arresti illegali (almeno secondo laProcura). Ed e' il funzionario piu' alto in grado fra quelli che gestirono la famigerata caserma di Bolzaneto. Allora era il numero due della Digos del capoluogo ligurie, oggi gestisce l'ufficio tecnico-logistico e la Divisione personale della questura. Non ha mai commentato quei fatti se non davanti ai magistrati. Repubblica e' riuscita a leggere quei verbali di cui per la prima volta e' in grado di riportare passaggi significativi. Bruno M. e' l'adolescente di Ostia la cui fotografia con quell'occhio gonfio di sangue ed una smorfia disperata mentre viene trascinato via dagli agenti ha fatto il giro del mondo.
Lo pestarono alle 14.30 di sabato 21 luglio 2001. Davanti ai pm Francesco cardona Albini e Monica Parentini, il vice questore Perugini ha sostenuto che il ragazzino insieme a centinaia di presunti black block stava per dare l'assalto alla questura. "(..) siamo in grave difficolta', perche' se
loro ci attaccano in questo momento sono dentro la questura (..) Da questo gruppo si stacca un'avanguardia composta da una trentina di persone che avanza verso di noi, diversi sono travisati, parecchi lanciano pietre, bottiglie, una pietra credo mi abbia colpito."
Davanti ai poliziotti una sessantina in tutto c'era in realta' non piu' di una decina di persone, cosi' testimoniano tanti filmati, che mostrano un gruppo di ragazzi seduti a terra inoffensivi "Ad un certo punto abbiamo det oprendiamoli (..) Mi si e' presentata la
scena di una persona che urlava e si dimenava, diceva parolacce. Allora, mentre altre persone cercavano di bloccare questo ragazzo, io l'ho preso per la giacca e ho cercatodi trascinarlo. Lui era letteralmente assatanato,
molto agitato: si dimenava, urlava, insultava. Lui cade a terra e in quel frangente ho avuto un gesto istintivo, cioe' ho cercato di farlo rialzare facendo i lgesto di dargli un calcio, senza colpirlo peraltro."
Un pm.: "Scusi lei ha cercato di farlo rialzare dandogli un calcio?" Perugini: "No, e' stato un gesto istintivo per quello e' andato a terra in quel momento, mi e' venuto un gesto istintivo e ho fatto quel gesto."
Pm: "Per farlo rialzare. Un calcio?"
Perugini: "No, cioe' dotttore era tutto nella mente in quel momento era difficile distinguere l'istinto dalla ragione e' stato un gesto istintivo in quel frangente li', non ne vado assolutamente orgoglioso.."

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E NELLA STESSA STRADA UNO STRANO PESTAGGIO

precedente sconosciuto e inquietante all'inizio del vertice

I magistrati non contestano a Perugini e a un gruppo di suoi uomini il pestaggio dell'adolescente. Non solo, almeno. Contestano l'arresto di persone che, a vedere dai filmati, non fanno resistenza e tanto meno aggrediscono gli agenti.
"Sembra quasi che l'atto di resistenza del quindicenne sia fatto per mostrare le sue ferite dopo le manganellate" dice un pm. "Se la stessa operazione avvenisse duecentomilavolte andrebbe sicuramente in modo diverso da quello che e' avvenuto." si difende Perugini, spiegando di aver avuto "l'ossessione" che le Tute Nere potessero assaltare la
questura e poi ammettendo "Io vorrei solo aggiungere una cosa, che in quel frangente li' ero molto, molto stanco e provato e non e' che fossi in pieno possesso delle mie facolta' delal mia lucidita'. Erano state giornate molto difficili e dure. In particolare per Perugini che giovedi 19
luglio - mentre prestava servizio in borghese con alcuni uomini dlela Digos - era stato aggrdito da alcuni sconsciuti durante il corto pacifico dei Migranti "Arriviamo in via barabino (piu' o meno dove verra' pestato il ragazzo ndr.) diciamo 200 metri prima di piazza Palermo. A questo punto un
soggetto dal mezzo del corteo improvvisamente si avvicina e tira giu' il passamontagna, ci indica come polizia. In pochissimi secondi altre 10 o 15 persone che noi non avevamo visto si calano il passamontagna, ci circondano e quello che aveva gridato "Polizia" si avvicina a me parlando un in lingua straniera, dice "Documentos, documentos" come a provocare e mi tira uno schiaffo in faccia
Pm. "in spagnolo?" Perugini: "Documentos" dice quello che parla con sfida. A mezzo metro di distanza uno che e' a fianco a lui tira fuori una catena e colpisce un ispettore a un braccio l'ispettore che e' a fianco a me (..) Un altro ispettore cerca di allontanarsi ma questi tentano di aggredirci, quelli che ci erano intorno, io invito i miei a lasciare precipitosamente il luogo perche' eravamo circondati e privi di qualsiasi protezione di personale in divisa almeno in un raggio di 500 metri."
Pm." Quanti eravate?" Perugini: "Quattro o cinque. A quel punto io con un'occhiata faccio capire ai miei di scapapre perche' eravamo in grave pericolo e mentre mi giro e inizio a correre uno mi viene incontro a gamba alzata e cerca di colpirmi con un calcio, io lo devio con un braccio e continuo a correre..."




18.10.2003

dal Lavoro Repubblica

CADE L'ULTIMO MISTERO DELLA DIAZ NEI GUAI UN DIRIGENTE DELLA MOBILE
Uno scarabocchio per due anni risultato illeggibile celava in realta' l'identita' di un quarantenne, con una lunga esperienza in questura.

PRIMA era solo una firma, uno scarabocchio. Adesso il «quattordicesimo uomo» ha un volto ed un nome, in Procura sono comunque riusciti a decifrare il ghirigoro. L'Uomo Scarabocchio è un ispettore della squadra mobile genovese. Quarant'anní, una lunga esperienza di polízia giudiziaria nei diversi uffici della questura. Finirà anche lui nella lista degli indagati per falso e calunnia. Insieme al suo vecchio capo, il vice-questore Nando Dominici, insieme al superpoliziotto Gilberto Caldarozzi e a Spartaco Mortola, allora dirigente della Digos. Quelli che la notte del 21 luglio 2001 firmarono il verbale d'arresto dei 93 no - global della Diaz, «attestando dati e circostanze non corrispondenti al vero», come scrivono i magistrati nel loro atto d'accusa, «attestando falsamente» oppure «non
opponendosi alla rappresentazione del falso», o ancora, «incolpando, sapendoli innocenti, i manifestanti». Quelli delle molotov fasulle, delle fantomatiche coltellate, della resistenza alle forze dell'ordine che non c'è mai stata.
Epperò la storia di` questo Ispettore è impagabile, quasi surreale, se non fosse che in questa vicenda ormai non ci si può davvero più stupire di nulla. L'Uomo-Scarabocchio ha infatti firmato quel pasticciato verbale di arresto in concorso con altre 13 ' persone. Che giurano di aver agito in buona fede, secondo le regole. Proprio come lui.'
Che a sua volta ha diligentemente sottoscritto, accusando ed arrestando come Dio comanda., Ma dal momento che la firma è risultata quasi illeggibile, per oltre due anni si è guardato bene dal presentarsi in Procura. Perché? E nessuno degli altri complici -i 13, evidentemente colpevoli di (sotto)scrivere in maniera più chiara - si è ricordato di lui. «Quella notte c'era una confusione incredibile», è sempre stato il ritornello. Come se il dovere di un ufficiale di polizia giudiziaria non fosse esattamente quello: fare chiarezza dove c'è confusione. Regalare
certezze, agire nel rispetto delle regole. Mica regalare misteri. «non ricordo., e vergogne di questo tipo.
Pensare che forse, subito dopo il G8, l'Uomo-Scarabocchio continuava a tormentarsi: «Ma come: in tribunale hanno chiamato tutti quelli che hanno firmato. E a me, cosa aspettano a chiamarmi?». Impaziente di testimoniare.
Perché all'ínizio nessuno poteva immaginare che calderone la Procura avrebbe finito per scoperchiare. Chi poteva credere che di li' ad un anno si sarebbe smascherata la messinscena delle molotov, che una perizia avrebbe sbugiardato l'agente accoltellato, che neppure la sassaiola contro le auto della polizia - quella che precedette e <<gíustificò» l'operazione
diretta da Francesco Gratteri, Giovanni Luperi e Lorenzo Murgolo era verosimile? Solo un pugno; di pm abbastanza cocciuti e pazienti da venire a capo anche questo mistero. Un mistero píccolo piccolo -capirai, che sara' mai un ispettore da aggiungere ai 73 indagati tra Diaz e Bolzaneto, ma che la dice lunga sul clima che si continua a respirare da queste parti. Due anni e tre mesi per identificare un appartenente alle forze dell'ordine che (salvo sentenza passata in giudicato) non avrebbe fatto altro che il
proprio dovere. Due anni e tre mesi. Non è stato facile, per gli uomini della Questura incaricati dai pm di svolgere le indagini, fare chiarezza. C'era confusione, appunto. Tanta che ancora oggi nessuno sa chi fossero i venti uomini che agli ordini del vice-questore Pasquale Troiani (quello che
avrebbe ordinato ad un agente di portare nella scuola le molotov) parteciparono all'operazione della scuola Diaz.
Una cosa è certa, e i magistrati l'hanno recentemente ribadita: quella notte non furono solo i «celerini» romani a massacrare indiscriminatamente i no-global. Alla mattanza parteciparono anche poliziotti della Digos e delle squadre mobili, il problema è che non si è riusciti ad identificarli.
E così la maggior parte dei picchiatori, al termine dell'inchiesta preliminare è stata indicata con il termine di «ignoti». A pagina 5 dell'avviso di fine indagini si parlava 'invece di «ignoto operatore sottoscrittore dei verbale di arresto». Almeno lui, l'Uomo-Scarabocchio, da oggi non è più un mistero.

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NUOVE INDAGINI SUL LAGER DI BOLZANETO

SI RIAPRE l'inchiesta soprusi e le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 otto indagati tutti appartenenti alla Polizia di Stato o alla Polizia penitenziaria, hanno chiesto di essere nuovamente interrogati dai pm che nei giorni scorsí avevano ufficialmente chiuso le indagini
preliminari. Tra la persone che torneranno in Procura anche Aldo Tarascio storico sindacalista genovese. I magistrati del pool hanno in programma una riunione all'inizio della prossima settimana,quindi gli interogatori dovrebbero partire tra una decine di giorni. La richiesta di rinvio e
giudizio per i 43 indagati (4 sono medici), salvo che dai nuovi incontri in tribunale non emergano altri elementi è attesa entro la fine dell'anno.
A Bolzaneto durante i giorni del vertice internazionale transitarono oltre trecento manifefestanti ferrnati durante i disordini nolla struttura della polizia avrebbero dovuto essere identificati, visitati da un'equipe di medici (molti di loro erano reduci dai pronto soccorso cittadini ed accompagnati nelle diverse prigioni del Nord Italia.
Sulla carta doveva essere una sosta di un paio d'ore per evitare ritardi e complicazioni, la Procura aveva ordinato il differimento dei colloqui tra i fermati ed i loro avvocati - in realta' la maggior parte dei no-global rimase rinchiusa per un tempo interminabile. Nei giorni successivi in centinaia denunciarono soprusi e violenze avvenute aIl'interno del "Centro di temporanea detenzione".
Ad un giovane furono spezzate le dita di una mano, altri furono picchiati, insultati, derisi, costretti a restare per ore con le mani alzate e faccia al muro.
Ma per il Ministro della Giustizia Roberto Castelli giunto in visita in piena notte a Bolzaneto "tuto era perfettamente in regola".

MASSIMO CALANDRI

MARCO PREVE



19.10.2003

UN PM SAPEVA DEI FALSI ALLA DIAZ, i poliziotti passano al contrattacco. Domani sara' presentato in Procura un esposto per chiedere il trasferimento dell'inchiesta

Seguendo quello che rischia di divcentare una sconsolante prassi tutta italiana, anche gli agenti indagati per il famigerato blitz alla scuola Diaz, ed i superpoliziotti in particolare, vorrebbero rifiutare il confronto con i giudici naturali (quelli genovesi) per affidarsi preferibilmente ad un'altra Procura. Ovvero; difendersi «da» e non «nel»
processo. La contraddizione tra chi giura di aver agito nel rispetto della legge e questa manovra, che puzza tanto di fuga,- verrà spazzata via domattina intorno alle dieci, quando al procuratore capo Francesco Lalla sarà consegnato un esposto denuncia da 35 pagine per dire basta agli scomodi pm del pool G8. L'estro di una rovesciata giuridica tanto
spettacolare arriverebbe da una sgangheratissima dichiarazione di un altro indagato eccellente l'ex responsabile della Digos del capoluogo ligure.
Spartaco Mortola . Il quale, in un interrogatorio di un anno e mezzo fa davanti ai pm Monica Parentini ed Enrìcc Zucca, ad un certo punto fa il nome di un altro magistrato del pool, Francesco Pinto. Borbotta, s'incespica con le parole, poi sparacchia: le due molotov maledette molotov .prova fasulla rispolverata ad hoc per incastrarare i 93 noglobal innocenti - furono messe anche su consiglio di Pinto il magistrato di turno quella notte. Me lo disse un collega, Filippo Ferri, che parlò con lui al telefono».
Perché sparacchia, Mortola? Perché se fosse come dice, sarebbe una perfetta quanto clamorosa ammissione di colpevolezza, e cioè: abbiamo preparato una trappola, pur sempre con la complicità del pm, madi falsificazione vera e
propria si tratta. Siamo colpevoli appunto. Invece Mortola ci ripensa e subito ritratta, spiega di essere confuso, emozionato. «Non ci faccìa caso, dottore>> implora. Fa una tale figuraccia che il suo legale chíede di non verbalízzare, ma tanto è già stato tutto registrato. E però, quella figuraccia potrebbe evitarne altre. Vediamo come: secondo gli avvocati della parte degli imputati, Zucca-Parentíni avrebbero dovuto fermare tutto. Trasmettere atti ad un'altra Procura, quella di Torino: sia nel caso
che fosse plausibile l'accusa dì complicità rivola a Pinto, sia in quello che la calunnia: di Mortola fosse evidente. Invece i pm hanno continuato come se nulla fosse. Così non si fa, ° protestano gli indagati. Non è giusto. La conseguenza si chiama articolo 54 quater del codice di procedura a penale: in concreto, istanza perché la Procura si spogli dell'inchiesta o rifiuti con motivazione scritta, ipotesi alla quale gli avvocati ricorrerebbero davanti al procuratore generale della Cassazione.
All'orizzonte, la Procura di Torino. Nelle 35 pagine battute al computer nel tardo pomeriggio di ieri ci sono altre segnalazioni di presunte irregolarità commesse dagli uomini del pool. Mescolare il tutto, ed agitare bene. Qualcosa dovrà pur succedere.
I pm genovesi tacciono, se si esclude una citazione ciceroniana di Pinto («Multa renascuntur, quae iam ceciderunt»_ molte cose rinascono che già furono sepolte). L'indignazione tuttavia è evidente. Sulle fantomatiche
telefonate tra i protagonisti' del blitz alla Diaz e qualche giudice pensavano di aver gia' fatto chiareza da tempo. In effetti un superpoliziotto aveva chiamato un magistrato, ma non appartenente al gruppo che si e' poi occupato della scuola di via Battisti. E Ferri (capo della squadra
mobile spezzina aveva smentito recisamente ("Falso, assolutamente falso") la circostanza della chiacchierata con Pinto. Adesso pero' Ferri ha chiesto di farsi interrogare di nuovo, e' possibile che abbia qualcosa in piu' da dire. Prossimo interrogatorio anche per Francesco Gratteri, capo
dell'Antiterrorismo, che per il momento non si associa allla manovra di domani mattina. Pero', mai dire mai: in questa vicenda abbiamo imparato che c'e' sempre qualcosa di sorprendente dietro l'angolo.

Massimo Calandri

G8, i filmati confermano un particolare importante segnalato da Mortola (digos). I legali: il Ris non se n'è accorto
Senza gradi per piazzare le molotov. Nella Diaz Troiani li tolse dalla divisa. All'uscita li aveva


Genova.
Sono due immagini, fissate dagli obiettivi. E sono due immagini che cambiano la storia dell'irruzione nella scuola Diaz, il blitz delle polemiche e dei feriti che concluse due giorni di violenze di strada al G8. Due scatti e un particolare decisivo sfuggito, misteriosamente, agli esperti del Ris dei carabinieri, che quei filmati hanno analizzato e studiato nei dettagli. Qual è il dettaglio? In alcuni videogrammi Pietro Troiani non ha i gradi sulla divisa. Qualche minuto dopo ricompare, sfilando con il reparto mobile di Roma alla fine della turbolenta perquisizione, con i gradi. Sembrerebbe solo un dilemma petroliniano, se non fosse che Pietro Troiani è l'uomo intorno al quale ruota tutta la vicenda delle false molotov. I due ordigni introdotti nella scuola per essere utilizzati come false prove e giustificare così l'arresto di 93 no global; Troiani li porta all'intemo dell'istituto, e si è sfilato i gradi dalla giacca dell'uniforme di ordinanza. Ricompare più tardi, quando le molotov sono già state portate nel cortile dell'istituto e, come in un gioco di prestidigitazione, i gradi dorati di vicecommissario fanno bella mostra di sé.
C'è anche una consulenza autorevole, che avvalora questa lettura delle immagini. E' quella di Nello Balossino, perito informatico dell'Università di Torino. E' l'esperto che in un altro caso che riguarda il G8, la tragedia di piazza Alimonda con la morte di Carlo Giuliani, individuò il calcinaccio che deviò il colpo esploso dal carabiniere Mario Placanica.
Il "trucco" di Troiani è il punto chiave della memoria che Spartaco Mortola, l'ex capo della digos genovese, ha presentato,,alla procura della Repubblica, al pool di magistrati che indagano sui fatti del G8. Sedici pagine fitte di appunti e considerazioni. Ma anche di critiche severissime agli esami del Ris dei carabinieri. Mortola, oggi capo della polizia postale della Liguria, è assistito dagli avvocati Alessandro Gazzolo e Maurizio Mascia.
La scoperta del dettaglio decisivo (i gradi mancanti) appare come la conferma delle sue dichiarazioni. Mortola, infatti, è l'unico tra gli indagati a non aver mai modificato la prima versione: ha visto le due bottiglie molotov all'interno della scuola, nelle mani di due agenti, e non all'estemo, come nella ricostruzione della procura. Non è un elemento da poco. Perché modifica tutte le circostanze fino a oggi ipotizzate sull'arrivo delle bottiglie incendiarie nella scuola. E avvalora le dichiarazioni che l'ex numero uno della digos genovese ha fino a oggi rilasciato davanti ai magistrati.
Ricordiamo: un filmato immortala un gruppo di funzionari di polizia nel cortile, tutti intorno al sacchetto. Sembra quasi essere, nell'idea dei pm, una riunione organizzativa per preparare la trappola, il trucco per incastrare i no global. Invece non è così.
Nella nuova versione, invece, le bottiglie arrivarono prima nella scuola, portate dallo stesso Troiani e dal suo autista Michele Burgio. Nuova trappola: vengono mostrate a un ignaro Mortola, come appena ritrovate. Perché Troiani si è tolto i gradi prima di entrare? Qualcuno gli ha suggerito questo espediente per camuffarsi tra gli agenti? Sicuramente non è stato uno sbaglio, una disattenzione, una "leggerezza", come il vicequestore romano ha sussurrato davanti ai pm.
Gli avvocati di Mortola insistono: «II nostro cliente ribadisce con veemenza, nel caso in cui qualche falsità sia stata perpetrata, di essere stato turlupinato». Se Troiani è entrato nella scuola togliendo deliberatamente i gradi dall'uniforme, come sostengono i legali di Mortola, può essere proprio lui la persona che l'ex capo della digos vide nella palestra della Diaz. In linea con tutte le sue dichiarazioni.
E se proprio si volesse sostenere che quell'agente non era Troiani, si potrebbe pensare sia una terza persona. Chi? Colui che viaggiò a bordo della jeep che portò le due molotov nella scuola. C'era Troiani, c'era Burgio. Ma c'era anche un altro poliziotto, fino a oggi sconosciuto. «Una lacuna accusatoria», insistono Gazzolo e Mascia. Un ennesimo mistero irrisolto nella notte della Diaz.
Ma la memoria degli avvocati Gazzolo e Mascia critica i Ris, il reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri: «Non è un caso che abbia effettuato accertamenti di tutti i tipi, partendo da quesiti incongrui e pervenendo a conclusioni cassate da prestigiosi periti del giudice terzo e imparziale». E anche sulla vicenda dei gradi di Troiani la staffilata è dura: «Pare che gli attentissimi investigatori del ministero della Difesa, tutti intenti a cercare il
pelo nell'uovo e a spaccare il capello (ma non quello di Cogne) in quattro si siano lasciati sfuggire quell'elemento».

Marco Menduni





I difensori degli agenti: «Processo a Torino perchéè coinvolto anche un magistrato»

Genova.
La battaglia legale è appena iniziata. Finirà a Torino il procedimento contro trenta poliziotti per l'irruzione nella scuola Diaz? Gli avvocati affilano le armi. Sono pronti a sollevare questa eccezione, che verrà depositata domani in procura, come anticipato ieri dal Secolo XIX.
Sono i legali di alcuni alti dirigenti della polizia, che il 12 settembre hanno ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Si sono riuniti l'altro giorno a Roma per decidere le strategie: un summit affollato, ma al quale hanno dato forfait gli avvocati genovesi. «Esiste nei verbali di interrogatorio del dottor Spartaco Mortola ˜ sottolineano i difensori ˜ una notizia di reato a carico del sostituto procuratore Francesco Pinto che i pubblici ministeri genovesi hanno risolto all'intemo del loro ufficio, quando la competenza per legge è della Procura di Tonno perché si tratta di un magistrato».
La dichiarazione di Mortola che, secondo i difensori, costituirebbe la notizia criminis a carico del pm Pinto, riguarda una frase che il magistrato avrebbe rivolto al dirigente della squadra mobile della Spezia Filippo Ferri (a sua volta indagato) raccomandandogli di mettere in evidenza il ritrovamento all'interno della scuola delle due bottiglie incendiarie. Pinto, alla notizia dell'iniziativa delle difese, ha commentato citando Cicerone: «Multa renascuntur, quae iam ceciderunt». molte cose rinascono che già furono sepolte.
Ricordiamo: nel corso di un interrogatorio il pm Enrico Zucca contesta a Mortola che nessuno dei dirìgenti di Ps ha saputo indicare dove erano state trovate le molotov. Mortola risponde di aver saputo dal collega Ferri che il suggerimento sul luogo da indicare nel verbale era arrivato dal pm di turno. Pochi istanti dopo, incalzato da Zucca, ritratta: «Sono in stato emotivo, ho fatto delle affermazioni che non corrispondono al vero, mi sono sbagliato». La procura convoca allora Filippo Ferri, che nega la circostanza. Ma è, per i difensori, un'iniziativa erronea, sbagliata: «A quel punto sarebbero già dovuti intervenire i pm di Torino».
Le indiscrezioni: l'eccezione per spostare il processo a Torino sarà depositata dai legali di Gilberto Caldarozzi, all'epoca vice direttore dello Sco, di Filippo Ferri, e di Giovanni Luperi, vice direttore dell'Ucigos. Il problema della competenza sarà sollevato anche nella memoria difensiva di Francesco Gratteri. all'epoca direttore dello Sco, ma non formalizzato come eccezione in questo frangente. Il difensore Luigi Ligotti ha scelto una linea differente: prima chiedere ai magistrati nuove indagini preliminari e un nuovo interrogatorio per il suo assistito; solo in un secondo tempo vaglierà l'opportunità di sollevare questa eccezione. E si avvicina, per dirla alla Pinto, l'ora del redde
rationem, della resa dei conti.
Marco Menduni






22.10.2003


dal secolo xix

G8, interviene Lalla «Nessun pm coinvolto il processo resta qui»

Genova. «Non esistevano le condizioni minime, indicate
dalla giurisprudenza, per iscrivere una notizia di reato in
danno e nei confrondi di un nostro magistrato. Di conseguenza non esisteva il dovere di trasmettere gli atti per competenza ad un altro ufficio giudiziario». Questo quanto scritto nel testo che ieri mattina il procuratore capo della Repubblica ha consegnato ai giornalisti «per mettere fine a illazioni e strumentalizzazioni», come ha dichiarato lo stesso Lalla.
Insomma, il G8 genovese continua a far parlare di sé.
Dopo due anni è stata chiusa l'inchiesta e decine di fascicoloni sono stati consegnati ai vari avvocati che difendono alti dirigenti di polizia e agenti che stanno valutando le strade da percorrere.
Tra le ipotesi prospettate dai legali vi era appunto quella
di chiedere la remissione del processo a Torino. Sostenendo
l'implicazione nei fatti del pm Francesco Pinto, di turno la
sera del 21 luglio, 2001 durante l'irruzione alla Diaz. Il procuratore della Repubblica Francesco Lalla, nel comunicato
diramato ieri ha sottolineato che «L'uso strumentale dei
mezzi di informazione in atto, da chiunque praticato, nonché
ogni altra iniziativa volta a sottrarre il procedimento al suo giudice naturale, non saranno idonei a turbare la serenità dei magistrati dell'ufficio nel momento di portare a termine le complesse e delicate indagini di questo caso».
Quindi l'inchiesta è genovese, e la procura di Genova non
sembra proprio intenzionata a mollarla. Gli avvocati potrebbero comunque richiedere la remissione del processo, come qualcuno di loro - non però i legali genovesi - aveva anticipato. Di fronte a una risposta negativa potrebbero allora rivolgersi alla procura della Cassazione.
Ma la sensazione è che sulla richiesta di questo trasferimento, vi sia una netta spaccatura tra gli avvocati difensori.

El. V.



Diaz, un'irruzione decisa per caso


Secondo la testimonianza delle forze dell'ordine, pervenuta ai pm, una pattuglia passò per sbaglio dalla scuola, dove avrebbe incontrato una forte resistenza. Da lì, nacque l'idea dell'irruzione
di Alessandra Fava

GENOVA - La Diaz? Operazione decisa dal caso, da una pattuglia che per sbaglio passa dalla scuola per raggiungere via Trento, dove è attesa per rinforzi. E' quanto emerge dalle ricostruzioni delle Forze
dell'Ordine sull'irruzione alla Diaz che provocò 63 feriti su 96 manifestanti e che scosse mezza Italia.

Succede - secondo le testimonianze pervenute ai pm che indagano sull'irruzione - che verso le 20, mentre gran parte dei manifestanti si sta spostando dalla stazione ferroviaria di Brignole, Gilberto Caldarozzi, vice di Gratteri, capo dello Sco, (il Servizio centrale operativo della Criminalpol), arriva in via Trento, al bar le
Piramidi, poco a monte della scuola. I cosiddetti pattuglioni, le squadre miste (Sco, Mobile, Ufficio prevenzione crimine e Digos) stanno infatti girando la città per `'consentire un controllo dinamico del territorio, diretto all'individuazione di soggetti che avevano partecipato alle devastazioni e agli scontri nei giorni del
Vertice e che potevano essere ricondotti alle frange estremiste violente soprattutto al così detto " black bloc ", precisa Franco Gratteri. I pattuglioni servivano a verificare la presenza o meno di gruppi di persone che potevano creare problemi di ordine pubblico anche in vista delle manifestazioni del giorno dopo'', spiega Caldarozzi poi ai magistrati. `'Per scovare anarchici'', sintetizza
ai magistrati Michele Burgio, l'assistente del vicequestore Pietro Troiani.

Dalle Piramidi le forze dell'ordine si spostano a controllare un altro locale, `'dove c'era una situazione significativa'', tanto da chiamare in loco altre pattuglie che stavano girando per la città, al comando di Filippo Ferri (capo della Mobile di Spezia) e Massimiliano Di Bernardini (vice questore aggiunto della Mobile di Roma).
Di Bernardini però per raggiungere via Trento passa, per sbaglio - sembra su indicazione di un agente della Digos genovese - da via Cesare Battisti, la via del Media center della Pascoli e del dormitorio della Diaz, con quattro auto di cui due avevano la scritta polizia e lì i manifestanti avrebbero reagito. `'Eravamo in grande tensione per il pericolo scampato'', dirà Di Bernardini ai pm del suo
arrivo al bar, `'Circa il lancio di oggetti che io non posso
testimoniare direttamente, ho sentito che un agente del Reparto Mobile di Roma che era a bordo del Magnum che chiudeva la fila della nostra pattuglia, appena sceso dalla vettura mi ha detto le testuali parole : "dottore, ci hanno tirato addosso di tutto, bottiglie, pietre". E' l'unica fonte da cui ho tratto l'informazione su quanto è successo.'' (17 giugno 2002).

`'L'errore che è stato fatto è stato quello di passare là.come versare benzina sul fuoco'', si pente il prefetto Arnaldo La Barbera, allora capo dell'antiterrorismo (Ucigos), defunto il 12 settembre 2002, quando viene sentito dai magistrati nel giugno del 2002. La Barbera arrivò a Genova il pomeriggio del sabato per visitare la Sala
internazionale di polizia presso la Questura a cui sovrintendeva Gianni Luperi, ora direttore della divisione investigazioni generali.
Ma quel sabato 21 luglio 2001 il de relato (diventato una sassaiola) arriva in Questura. Di Bernardini riparla con Gratteri e Caldarozzi dei fatti e quindi c'è la prima riunione, poco dopo le 22, nell'ufficio del Questore a cui partecipano anche il prefetto Ansoino Andreassi allora numero due della polizia, il prefetto La Barbera,
Gratteri, Caldarozzi, Nando Dominici (ex capo della Mobile di Genova), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di Genova) insomma i vertici della polizia italiana presenti a Genova. Nasce l'operazione Diaz in base all'articolo 41 del Tulps (la ricerca di armi): `'L'idea forse partì da La Barbera, ma tutti furono d'accordo, senza eccezione'', dice Lorenzo Murgolo, vice questore vicario della Questura di Bologna, il 22 giugno dell'anno scorso in Procura.

Andreassi avrebbe avuto delle perplessità sull'operazione a causa dell'ora, del luogo e del buio. Alcuni attestano, altri smentiscono questo particolare.
Quindi Mortola, il capo della Digos genovese, viene mandato a fare un sopralluogo in zona. In piazza Merani, sopra la Diaz, infatti, individua un gruppetto che beve birra e sembra che sia di vedetta e davanti alle due scuole Diaz e Pascoli un centinaio di persone che `'rumoreggiavano e bevevano birra''. Quindi il gruppo dirigente in Questura si sposta nella sala delle riunioni. Ci sono tutti, anche due Ufficiali dei carabinieri. Manca solo Andreassi, ma al suo posto compare Lorenzo Murgolo, numero due della questura bolognese, allora responsabile dell'ordine pubblico
fuori della zona rossa. Mortola telefona a un referente del Gsf (il Genoa social forum che gestiva gli spazi concessi dagli enti pubblici), Stefano Kovac, che lo avrebbe informato che la situazione non era del tutto sotto controllo. Secondo Mortola avrebbe anche detto che potevano esserci soggetti non graditi, ma Kovac ha smentito tutto.

Nella seconda riunione, questa volta operativa, si decide che servono almeno 200 uomini e vengono reclutati gli 80 uomini del Nucleo sperimentale antisommossa della Mobile di Roma, al comando di Vincenzo Canterini, che stavano mangiando alla Fiera. Pare che il reparto Mobile avrebbe dovuto mettere in sicurezza l'edificio dall'esterno, mentre il personale della Digos e dello Sco avrebbe dovuto procedere alla perquisizione. A loro di aggiungono Squadre
Mobile e Digos presenti a Genova. `'Ovviamente, ogni formazione era organizzata con un suo dirigente e con i livelli gerarchici via via inferiori propri di ciascuna di esse'', precisa La Barbera.

A detta di molti Canterini avrebbe proposto di utilizzare i gas lacrimogeni per far uscire gli occupanti dalla scuola . Ma `'il Questore e La Barbera si opposero decisamente, suggerendo un intervento soft'', sostiene Mortola il 27 ottobre 2001, `'Era comunque stato previste e altamente probabile che ci sarebbe stata una reazione di resistenza da parte degli occupanti dell'edificio scolastico, come era desumibile dagli episodi ai danni delle pattuglie''.
Così alle 23 partono le due colonne di mezzi e uomini verso la Diaz. `'Benché fossero estranee al mio ruolo le funzioni di ordine pubblico e di polizia giudiziaria, per mero scrupolo ho seguito il contingente che poi si è diviso in due'', dice La Barbera. Il resto è pressoché noto: le forze dell'ordine entrano in via Battisti a tenaglia. I manifestanti si asserragliano all'interno della Diaz chiudendo i cancelli e i portoni e nella Pascoli. Il
reparto Mobile romano sfonda il cancello ed entra. Dietro di loro gli altri. In pochi minuti la perquisizione è finita: 62 feriti su 93 manifestanti che vengono tutti arrestati con l'accusa di lesioni, resistenza e associazione a delinquere. Il reato associativo, per la prima volta nelle giornate del G8, era già stato attribuito a 23 arrestati alla scuola Paul Klee nella mattina e `'liberati'' in poche ore dal magistrato.

Intanto Roberto Sgalla, direttore dell' ufficio relazioni esterne del dipartimento di pubblica sicurezza, ha convocato le telecamere delle tv. All'1 di domenica notte l'operazione risultava ancora `'una perquisizione in un covo di black block dove abbiamo trovato una grande resistenza, molotov e armi e un agente è stato quasi accoltellato''. Ma della gente in barella che sfilava in tv, il magistrato di turno Pinto già chiedeva motivazione.
Le molotov sono risultate poi una prova costruita ad arte:
addirittura Troiani le avrebbe portate nella scuola sfilandosi i gradi, secondo una memoria consegnata proprio in questi giorni in Procura da Mortola e rivelata dal Secolo XIX. L'agente fu accoltellato in presenza di altri quattro agenti della Mobile e in cinque non sono riusciti a fermarlo ed è agli atti un incidente probatorio sul giubbotto. Quanto alla perquisizione, i black block si sono volatilizzati e nessun oggetto (lo striscione con lo Smash e le magliette nere) è stato attribuibile a qualcuno.
Dopo due anni e tre mesi, le indagini sono state chiuse. Negli acip (avvisi di conclusione delle indagini) i magistrati ravvisano reati (falso, calunnia, abuso d'ufficio, concorso in lesioni) per i vertici che hanno eseguito materialmente l'operazione. La pistola fumante,
ammette qualcuno in Procura, non è stata trovata. Non è stato trovato documento che chiarisca la scala gerarchica, chi dava ordini a chi, né i ruoli precisi di ciascuno che esulavano da quelli presi per il vertice del G8. I verbali alla fine non dicono quasi niente e furono firmati anche da gradi più bassi che non parteciparono all'operazione.
E nelle conclusioni dei magistrati, figurano solo alcuni
dei `'papaveroni'', come li ha definiti Canterini (`'tutti i
papaveroni che arrivano da Roma perché avevano sfasciato tutta Genova e questo non era andato giù a qualcuno e volevano trovare i Black Bloc'').



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