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Alberto Ostidich
by nick Sunday October 26, 2003 at 12:41 PM mail:  

Perché dunque a sinistra? Ma perché il mondo va a destra, verrebbe subito da rispondere. Perché, al di là del gusto per la provocazione e della voglia di sfottere perbenisti e benpensanti, c’è qualcos’altro; qualcosa di più del voler andare a tutti i costi controcorrente, contro le masse pecorili che ora si scoprono, belanti, di destra.

Alberto Ostidich

A sinistra perchè

ITALICUM - Numero 9-10 settembre-ottobre 2002

Le considerazioni successive ne riprendono altre, già espresse su Diorama nel marzo ‘91, e quindi su Aurora e su Tabularasa, oltre che in alcuni convegni e riunioni di quegli anni. Se, com’è facile riconoscere ed ammettere, esse non sortirono allora alcun effetto pratico fatta eccezione per un effimero quanto generoso Movimento Antagonista per la Sinistra Nazionale credo non inutile qui riproporle, nella convinzione che le odierne circostanze rendano quelle considerazioni ancora, e forse più, attuali.

Perché dunque a sinistra?

Ma perché il mondo va a destra, verrebbe subito da rispondere. Perché, al di là del gusto per la provocazione e della voglia di sfottere perbenisti e benpensanti, c’è qualcos’altro; qualcosa di più del voler andare a tutti i costi controcorrente, contro le masse pecorili che ora si scoprono, belanti, di destra.

Si, dedico quel che segue a quanti a destra ci sono nati, politicamente parlando. E lì sono rimasti, anche quando ciò non incontrava i favori del pubblico... A quanti, assecondando un personale stile di vita, hanno poi voluto definirsi e collocarsi «oltre la destra e la sinistra», quando fu ad essi chiaro che quella destra, malgrado loro, era tarata dalla conservazione e dal compromesso, al pari di una sinistra ad essa speculare.

Ebbene, quei bastian contrari per indole e vocazione ora si trovano attorniati, dopo anni ed anni di plumbeo conformismo di sinistra, da un nuovo conformismo di segno formalmente opposto al precedente.

Che fare?, ben sapendo che i seminatori di dubbi, quelli che stentano a ritrovarsi nelle verità ufficiali e garantite, le minoranze critiche, gli insofferenti cronici, i dissidenti abituali risultano, da sempre, invisi a Dio et alli inimici sui - e che l’opinione pubblica li ha già in blocco condannati, in quanto non dimostrano il buon senso e la buona volontà di farsi gli affari propri. Anzi, ci riprovano: con le loro eretiche passioni e solitarie indignazioni ... che fare, insomma, per mantenere le distanze dal carro dei vincitori, lontani dalla volgarità e dall’avidità del potere, e difendere così la propria libertà, che è innanzi tutto libertà di esser sé stessi e di lottare, quali che siano le circostanze, per affermarla?!?

* * *

La prima cosa da fare, per intanto assolvere ad un debito di chiarezza e ri-conoscenza verso quei non-allineati, è dichiarare la propria appartenenza. Che non può essere che totalmente estranea a quell’impasto di mentalità comune, fatta di egoismo ed opportunismo, clientelismo e clericalismo, che nei berlusconi-fini-bossi-buttiglioni ha trovato lo sbocco politico più logico e naturale.

E prendere perciò coscienza che, caduto il comunismo, «il nemico rimasto» sono proprio loro: loro, gli attuali referenti di uno stesso, unico progetto globalmente eterodiretto, dai contenuti sfacciatamente filo-padronali e vilmente pro americani. Loro, i rappresentanti politici nel nostro Paese di forze aventi per obiettivo lo sradicamento dello Stato sociale e l’instaurazione di un modello unico liberale, ed uguale : «Privilegiati di tutto il mondo, unitevi!», potrebbe essere lo slogan della loro Internazionale.

Per questi motivi Io scetticismo di chi, per lungo tempo, ha scelto di non scegliere, data l’impossibilità di trovare ragioni più forti di quelle ad esse contrarie, è venuto meno; per questo, soprattutto per questo, l’equidistanza fra questa destra e questa sinistra (che proprio in queste ore si ritrovano appassionatamente assieme nel parlamento italiano, a votarsi il raddoppio del finanziamento - n.d.c.) equivarrebbe comunque ad una dichiarazione d’impotenza, e ad una fatale diserzione.

Non che, è bene sottolinearlo, la sinistra non sia storicamente gravata da madornali errori ed orrori; non che questa timida sinistra non si mostri altrettanto servizievole verso i potentati politico-economici di un’arrogante destra, ma - dopo la manifestazione della cosiddetta Casa delle Libertà, riunita in una piazza romana a sventolare la bandiera dell’occupante come fosse la propria; dopo che quell’infame “USA day” del 10 novembre scorso si è incaricato di affermare una volta per tutte che là non ci sono, né ci possono più essere segnali di vita per gli uomini liberi - noi dobbiamo e vogliamo andare verso la vita, come disse e fece d’Annunzio quando abbandonò clamorosamente i banchi della destra.

* * *

Il brutto è, di questi tempi, che viviamo in una società falsamente pluralista e scarsamente conflittuale, dove le ragioni del configgere sono da ricercarsi non in motivi ideali, o magari fideistico-religiosi (no, qui tutte le parti in gara vogliono la stessa cosa: la democrazia e la libertà e il benessere, l’America e il modello americano, la cultura americana, la merce americana, la pace americana...), ma la lotta si origina e sviluppa unicamente sul piano della gestione del potere, di un potere privo di ogni e qualsiasi riferimento o significato superiore.

Il futuro, per gli oppositori naturali, si presenta perciò quanto mai difficile, e la resa - occorre riconoscerlo - sarebbe la soluzione più logica e ragionevole.

E tuttavia, guidati dalla stessa illogicità e sragionevolezza, con il pessimismo cioè della ragione e l’ottimismo della volontà (per non citare a sproposito A. Gramsci), è solo «a sinistra» e là solo che troviamo, confusi e spesso sommersi dal frastuono del politicamente corretto, quei «segnali di vita» necessari per continuare a battersi...

A sinistra, quindi.

Una sinistra sui generis, certo, che già soffre i forzati futuri apparentamenti con una sinistra radical-borghese, da una parte, e con una sinistra vetero-massimalista dall’altra. Ma una sinistra, la nostra, che a fronte di uno scenario costruito su «negazioni assolute ed affermazioni sovrane», dovrà schierarsi rompendo con gli indugi e le nostalgie del passato, e rischiare in proprio. Rischiando anche, presumibilmente, l’incomprensione di alcuni vecchi amici.

L’involuzione a destra, infatti, cui si è assistito in questi ultimi anni - anche in ambienti e persone che pure niente hanno da spartire (tanto per esser espliciti) sotto il profilo morale, intellettuale e politico con la canaglia neo-alleata di casa nostra - non fa ben sperare, in fatto di reciproca comprensione. E nemmeno sperare in futuri ripensamenti, da parte di chi aveva peraltro saputo esprimere idee, e vivere situazioni, volte alla disintegrazione del sistema, all’anti-mondialismo o al nazional­comunismo, ed adesso si ritrova attiguo al Cav. Berlusconi, ovvero ai settori più visceralmente reazionari e razzistici della sua Casa.

In questo sconsolante quadro vanno lette - più in basso, a destra - le scelte di chi si è voluto autodefinire «forza nuova» e «unica opposizione», ma poi, una volta regolarmente incassato il proprio zero-virgola-qualcosa di bottino elettorale al primo turno, al secondo - con altrettanta regolarità - dà indicazioni di voto a favore del Polo, fosse pure rappresentato dal più impresentabile dei candidati possibili... E che dire di quei gruppi «rivoluzionari» - veneti, nella fattispecie - che, stando a quanto ne scrive una rivista d’area, vanno a fare i piazzisti della premiata ditta Bossi & Borghezio?!... Stendiamo infine un velo su tante di quelle troppe riviste e rivistine: sempre più chiuse e ottuse, sempre più autoreferenti e retrodatate... basta, pietà!

Ed è anche per farla finita, farla finita con questa destra con i paraocchi, patetica e velleitaria, rancorosa e permalosa, che dobbiamo andare in altra direzione. Abbandonando, senza ulteriori rimpianti e torcicolli, i tanti che (a loro dire) in perfetta buona fede e virtuale camicia nera, a destra ancora insistono e resistono, e lo fanno nei circoli e nelle sezioni di partito, nei consigli e nelle assemblee istituzionali «per salvare il salvabile», «per non consegnare l’Italia al comunismo», «per lavorare dal di dentro», «per non rinnegare e non restaurare» basta.

* * *

Ci sono parole, e frasi, che segnano il percorso formativo di ciascuno di noi. Una di queste risale, nel mio caso, alla fine degli anni ‘60 ed appartiene a Per Enghdal, co-fondatore del Movimento Sociale Europeo: « Né a destra né a sinistra. Più avanti».

Ancora oggi, a distanza di anni, non avrei difficoltà nel riconoscermi nell’aforisma del pensatore svedese. Quell’affermazione continua infatti a piacermi, sia per la sua immediata visibilità, sia per la puntuale, orgogliosa dichiarazione di alterità che essa sottende.

Sicché da parte nostra (....se posso insistere con il plurale di rappresentanza) sarebbe semanticamente corretto continuare a situarci al di fuori delle vetuste aree di destra e di sinistra, se non sussistessero - oltre alle accennate ragioni tattico-strategiche - altre, diverse ragioni per una scelta di campo necessaria e diversa.

Riporterò qui per sommi capi alcune di esse, aspettandomi che altri vorranno approfondirle o trovarne magari altre, di ragioni, da tradursi in un comune progetto operativo.

Una premessa: il ripensare anche in termini topologici al proprio ruolo politico - così come si va facendo, ad es., nell’arcipelago no global - non è riducibile a questioni di mero nominalismo, frutto di astrazioni più o meno brillanti. No, il problema dello schieramento destra/sinistra esiste, eccome, e va ben oltre le etichette. E’ un problema che pesa, poiché si tratta di compiere scelte che, non volendo essere incapacitanti, tengano presente l’importanza che nel sistema odierno rivestono l’immagine, il logo, la griffe: che è oggi l’abito, a fare il monaco.

Quanto ciò costituisca un aspetto degenerativo, mi risulta evidente. Ma tale evidenza non sposta affatto i termini del problema: nella «società aperta» (di cui saremo pure «nemici», ma nella quale ci tocca respirare) quel che conta è come e dove ci si presenta. E per contare, pesare, e ...stare in società occorre possedere un’identità propria, forte e riconosciuta. Occorre(rebbe), nel caso nostro, che dal superamento dell’endiadi, destra/sinistra emergesse con assoluta evidenza l’ubi consistam dove fissare il nuovo, più avanzato radicamento.

A favore di un’ipotesi alternativa «oltre la destra e la sinistra» gioca la ben nota crisi ideologica cui sono pervenute quelle due contrapposte categorie, viste ormai da più parti e da varie prospettive quali labili e spesso fittizie linee di demarcazione. Sappiamo anche che una tale bipolarità si palesa oggi insufficiente a spiegare, a comunicare, ad interpretare le complesse realtà del mondo contemporaneo. E si potrebbe persino aggiungere come tutto ciò costituisca una sorta di rivincita per quanti, non da oggi, rivendicano la loro estraneità rispetto a formule mutuate da schematismi ottocenteschi, già di fatto superate dai movimenti politico-culturali in auge fra le due guerre mondiali... Ma non sarebbe - e non è questo, insisto - il punto!

Il punto, il nodo gordiano da sciogliere, è che la naturale attrazione di noi antagonisti verso le

frontiere «al di là» della destra e della sinistra riesce politicamente legittima (e non solo storicamente o dottrinalmente legittima), soltanto se viene reso suasivo il proprio essere altrove. Ma questo altrove, una volta individuato, sarà poi riconosciuto, ed in prospettiva reso sufficientemente aggregante, così da incidere nel tessuto sociale del terzo millennio?

Per rispondere (negativamente) alla domanda, occorre tener presente che qualsiasi prodotto di questa “società dei consumi” resta fuori mercato, se prima non entra in un circuito promozionale ad hoc. Di qui la mancanza d’attrazione per quanti (uomini, merci, idee...) se ne stiano, volontariamente o meno, al di fuori da un simile processo ideologico-commerciale. Possiamo ancora una volta lamentarcene, ma resta il fatto che fuori dagli spazi legali di destra e/o di sinistra non è oggi pensabile assumere ruoli politicamente autonomi e non periferici. Beninteso, agli antagonisti per così dire tradizionali non sono precluse prese di posizione originali, coraggiose, in sé valide ed intelligenti – e perdenti però – ché, nel migliore (!) dei casi, queste verranno inglobate e distorte da chi di quegli spazi e circuiti è controllore e padrone.

…Tanto varrebbe allora riappropriarsi in silenzio, e con la massima discrezione, delle vecchie postazioni di destra, certamente più confortevoli e sicure che in un recente passato.

Sto facendo ricorso (spero non si nutrano dubbi in proposito...) ad un paradosso, ma non c’è dubbio che ribadire e ridefinire un «ritorno a casa», sarebbe un’opzione non solo realistica (a destra c’è posto...), ma non necessariamente priva di una sua dignità. Se non fosse - anche qui - per la presenza di fattori condizionanti ogni possibile scelta in tal senso. Fattori trainanti il termine «destra» - lessicalmente sinonimo di lineare, retto, diritto, in antitesi a una sinistra intesa quale obliqua, deviante, sinistra: appunto - verso significati più vincenti e moderni, che meglio si confanno all’odierna rappresentazione del liberalismo, del progresso, del libero mercato e via dicendo.

Di conseguenza sarebbe teoricamente lecito distinguere tra destra e destra, precisarne i vari contenuti e (tentare di) mettere ordine in materia. Ma quand’anche si riuscisse a dimostrare, documenti alla mano, che i Vandali furono un popolo pacifico, contrariamente a quanto se ne era detto e scritto in tutti questi anni, una tale verità riuscirebbe a far sì che la stragrande maggioranza della gente fosse finalmente indotta ad associare l’immagine del «vandalo» a quella del laborioso borghese svizzero, e a ritenere «il vandalismo» sinonimo di civiche virtù e di quieto vivere?!

Voglio cioè intendere, con questo ragionamento per assurdo, che dirsi di destra (o, anche per via del medesimo principio, «fascisti»), per quante buone ragioni i revisionisti possano idealmente accampare, resta una scelta comunemente equivocabile e impopolare. A meno che, ben s’intende, si faccia parte della ben nota «grande destra» tecnocratica e liberista, moderata e pragmatica, con la quale - per inciso - il Fascismo ebbe in realtà ben poco a che fare, e nemmeno noi, del resto...

* * *

Le scelte di campo si devono dunque compiere, consapevoli che i sofismi dialettici (sulla vera destra, ad es., o i ristabilimenti della verità sul Ventennio), assai poco rilevano in un contesto socio-culturale quale l’attuale, in cui gli onnipotenti media frantumano ed appiattiscono ogni emergenza, ogni potenzialità fuori misura. Pertanto, quanti si riconoscono su posizioni anticonformiste non possono continuare ad abitare luoghi (da altri, dai più) sconosciuti e resi malfamati. O meglio: possono, ma auto-condannandosi ad una polverosa testimonianza.

Il «portarsi non là dove ci si difende, ma là dove si attacca» richiamato da Evola in Cavalcare la tigre varrà allora ad indicare dove, senza cadute di livello o alibi fuorvianti, attestarsi per essere credibili; e credibili per «fare politica», e non solo parlarne.

Dovendoci dunque schierare, pur scettici sull’intrinseco valore degli schieramenti, dovendoci dare dei contenitori, pure nella consapevolezza della loro adattabilità ai contenuti, resta aperta una sola via, «la via della mano sinistra».

Facendoci forti di una debolezza: che qui, nella mega-civilizzazione andatasi stratificando da un paio di secoli, oggi al suo massimo spessore, non è questione di preservare o conservare alcunché. Che i problemi posti dalla globalizzazione e dal Nuovo Ordine Mondiale richiedono a chi non ci sta l’assunzione di responsabilità ben maggiori, e assai diverse, di quelle espresse sinora.

A costituire le ragioni fondanti dell’opposizione, sarà la riaffermazione del primato del politico sull’economico, del sociale sull’individuale. Contro le spinte egoistiche delle destre opulente. Contro l’egemonia tecnocratica e finanziaria sulla nostra vita. Contro la crescita abnorme dell’affarismo e del mercantilismo su tutto e su tutti: popoli, religioni, costumi, etnie.

E - a livello di ipotesi, di ipotesi praticabile - penso ad un’intesa, dapprima strategica e quindi organica, contro e per le ragioni sopra esposte. Penso, restando con i piedi per terra, che il futuro potrebbe riservarci due schieramenti non rientranti nelle obsolete categorie lib/lab, bensì riconducibili a logiche del tutto nuove, trasversali alle destre e sinistre partitiche. Ritengo anche che il discrimine tra «noi» e «loro» dovrà essere l’adesione, o no, alle logiche liberal-capitalistiche: da una parte, un fronte a difesa della solidarietà e della partecipazione, dei valori originari di libertà e di socialismo, dell’indipendenza e della dignità nazionale; dall’altra, lo schieramento degli attuali vincitori, vincitori in nome e per conto dei Padroni della Terra.

Eppure, in quest’epoca laidamente secolarizzata, e, nonostante gli individualismi disgregatori e le omologazioni massificanti, è presente una domanda, ineludibile di radici, di tradizioni, di certezze, di patria.

E non saremmo noi in grado di dare una risposta con-vincente a una tale richiesta, senza l’ancoraggio ad un sistema di valori da sempre attuali, che, unitamente alla riscoperta della «religione dello stare assieme» come amava dire Beppe Niccolai, dia corpo ed anima a una volontà di autentica giustizia sociale.

Nessun timore dunque se, nell’equazione che dobbiamo e vogliamo risolvere, l’incognita «sinistra» è l’unica in grado d’esprimere la nostra volontà di futuro e la nostra volontà di cambiamento. Non abbiamo del resto alle nostre spalle il deserto. Spunti stimolanti e non impertinenti si ritrovano, come sappiamo, in un Sorel e in un Berto Ricci, in Filippo Corridoni e nel d’Annunzio della Carta del Carnaro; in movimenti quali le Croci Frecciate ed il primo Falangismo... E, a voler rimanere nell’ambito del Fascismo italiano, risulta oramai pressoché pacifico sostenere che esso sia stato di sinistra nelle fasi iniziali e terminali della sua storia, ovvero riproporre la ben nota suddivisione defeliciana tra fascismo/regime e fascismo/movimento nei termini bipolari di destra e sinistra...

Tutto ciò credo sia abbastanza noto. E costituisce sicuro punto di orientamento e base di partenza per un’avventura che, per essere vissuta, dovrà trovare altri compagni di viaggio, di diversa provenienza ed esperienza, per i quali - come intitolava Rinascita il 26 luglio scorso - esista «un solo vero nemico: gli USA». Il resto, come si dice e si spera, verrà

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