Quando nell´autunno del 2001 i nostri dubbi sulla prima puntata della guerra
infinita ci rendevano sospettabili di collaborazionismo, affermare
l´opposizione alla guerra in Afghanistan significava anche rivendicare il
diritto a immaginare e partecipare un´alternativa politica.
Oggi che tutte le peggiori previsioni si stanno avverando c’è bisogno di fare
un salto di qualità, mettere in pratica, socializzare saperi, consolidare reti.
Ognuno di noi è impegnato nella costruzione di un piccolo pezzetto, coltiva
sul terreno vissuto quotidianamente il desiderio, si pone il problema concreto
di risolvere un disagio particolare.
Il No alla guerra non è certo il punto conclusivo di un percorso di una
mobilitazione pacifista, ma è soprattutto la grande discriminante a partire
dalla quale si determina un terreno di relazione politica gravido di
opportunità alternative.
È il primo dei distinguo e bisogna essere orgogliosi della responsabilità che
ci si assume prendendo questa posizione di rifiuto,lucidi nel cogliere le
occasioni che la moltiplicazione delle relazioni tra disertori può offrire.
In fondo siamo tanti e quando a Firenze ci siamo contati eravamo tantissimi.
Troppe volte ci siamo interrogati sul terreno adatto per ridare fiato
all´iniziativa politica in Università.
Ora questa situazione ci detta dei tempi: di fronte all´enormità di
un'ingiustizia come questa guerra anche il silenzio sarebbe enorme.
Un silenzio che presto diverrebbe acritica adesione e non permetterebbe più,
dopo questa guerra, all´universita´ di fingersi intelligente.
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