Accecate» banche, metropolitana e anche la casa del premier. L’assalto notturno rivendicato con un comunicato su Internet.
MILANO - Uno spruzzo di vernice spray. Nera. O una martellata secca: «Stoc». Fuori una, due, tre. E via così per tutta la notte. Alla fine Milano si sveglia con 69 occhi accecati: telecamere che sorvegliavano banche, condomini, ingressi della metropolitana, la casa di Silvio Berlusconi in via Rovani, il teatro «Strehler». Oscurate o distrutte nella notte. Da chi rifiuta le «politiche di controllo sociale» fondate sulla videosorveglianza. E il giorno dopo racconta il blitz notturno come fosse una fantascientifica ribellione delle macchine: «69 occhi hanno deciso di chiudersi sugli orrori di questa città». Lo «sciopero delle telecamere». Notte milanese. Giubbotti, guanti, caschi in testa. Bombolette di vernice. Lunghe spranghe di ferro per gli obiettivi troppo alti. Scorribande dal centro alla periferia. La cronaca del blitz anti-«Grande fratello» compare in mattinata su Indymedia, il sito che raccoglie le voci dell’area antagonista, centri sociali e case occupate. Ci sono anche 3 foto che ritraggono un uomo aggrappato a una telecamera, fuori da una filiale della «Banca Intesa». E c’è la messa in scena della tecnologia che si rivolta all’uomo. Primo, la consapevolezza: giorno e notte «svolgiamo il noioso incarico - spiegano le telecamere, che parlano come personaggi in una favola - di creare una rete di tracce su te e chi ti sta attorno, anche se siamo descritte come paladine della vostra sicurezza». Secondo, l’azione: «Questa notte abbiamo fatto in modo di disattivarci, di spegnere la luce rossa che brilla nel nostro occhio voyeur ». Terzo, il proclama: non vogliamo più essere «Video a Circuito Chiuso, ma Videocamere Contro il Controllo». Toni da burla per un blitz vandalico. Programmato da giorni e scattato con puntualità sistematica. Una sfida alla città che ha fatto della videosorveglianza uno dei capisaldi del suo sistema di sicurezza. Trenta telecamere in stazione Centrale. Una cifra iperbolica di contravvenzioni agli automobilisti rilevate dall’occhio elettronico: 989.326 solo nell’ultimo anno. «E grazie alle telecamere - aggiunge il vice sindaco, Riccardo De Corato - abbiamo bonificato il parco Sempione, il parco delle Cave e il parco delle Basiliche, che in passato erano tre supermarket della droga. Sono i cittadini a chiedere più controlli». La rivendicazione dello «sciopero» arriva con un comunicato all’agenzia Ansa . C’è l’elenco delle vie. A scorrerlo, si immagina una Milano costellata di occhi spenti. Non c’è zona che si sia salvata: viale Monza, Porta Romana, città Studi. Intorno a una delle case milanesi di Berlusconi, che il premier usa solo per rappresentanza, al mattino due tecnici riparano le telecamere: una imbrattata, l’altra frantumata. Appena offuscato l’obiettivo che scruta l’esterno del teatro «Strehler». E per tutta la giornata sono gli investigatori della Digos a ripercorrere l’itinerario cittadino dei danni. Secondo le loro verifiche, le telecamere distrutte sono la metà di quelle proclamate dagli antagonisti. La polizia indaga sul percorso telematico della rivendicazione. Acquisisce le registrazioni della notte. In tre o quattro filmati si vedrebbe «qualcosa di interessante». Se dovessero essere scoperti, i responsabili sarebbero accusati di «danneggiamento aggravato». Scovarli sarà difficile. Lo testimonia il fatto che lo sciopero delle telecamere ha già un precedente. Notte del 22 ottobre scorso, si spengono 101 occhi elettronici (meno di 20 secondo la questura). La notizia passa quasi del tutto inosservata. Anche se è una tappa del turbolento mondo antagonista milanese: «Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre - recita ancora la rivendicazione - Milano è scossa da molteplici eventi. A sud una crew multimediale e casa di produzioni indipendenti dà lumi a uno stabile dismesso: nasce lo spazio autoprodotto 40/42» (via Quaranta, civico 42). Oggi alle 15 un corteo attraverserà il centro, da piazzale Cadorna: «Per contrastare la precarietà del lavoro, per il diritto alla casa», recita il volantino. Sopra, la foto di un dinosauro dai colori psichedelici che cerca il luogo di partenza della manifestazione. «Dov’è il centro?», chiede la bestia in un fumetto. Protesta dura e immaginazione fervida. I giustizieri di telecamere tradiscono vanità narrative. Raccontano le loro gesta. Descrivono con immagini alate la città che provano a sconvolgere: «fortezza Milano», la definiscono, «scatola dalle sbarre invisibili». Un gigantesco ingranaggio di uomo e macchina. Cui lanciano un appello: «...non importa che tu sia milanese o telecamera. Inizia a romperti».
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