Quando si osserva l’area del potere, si può constatare che lo spazio dell’intrigo tende a crescere a dismisura. La storia di John Kennedy e del suo assassinio, al culmine della sua fama, è un mistero che non è mai stato chiarito sino in fondo. E che cosa pensare quando, sotto Stalin, fu sventato un complotto dei «camici bianchi»? Più recentemente, come spiegare la caduta del presidente rumeno Ceausescu, brutalmente contestato sotto l’occhio delle telecamere in un raduno all’aperto? Eppure era a capo di un regime dittatoriale nel quale fino ad allora la polizia vigilava per soffocare sul nascere ogni incidente. Più indietro nel tempo, rivive il fantasma di Napoleone, che dettava le sue memorie nell’esilio di Sant’Elena, in balìa dei sarcasmi del suo carceriere inglese, spesso sospettato di aver assassinato a poco a poco l’imperatore con cibi avvelenati.
La storia, da parte sua, si sforza di comprendere e di raccontare il passato degli uomini e delle donne di primo piano; parlando degli avvenimenti di ieri, non sfugge facilmente al complesso dell’intrigo. A partire dai suoi interessi, dalle esigenze del tempo, dalle immagini che lo popolano, si scontra sempre con la difficoltà di collegare i fatti e di coordinare gli avvenimenti; così non incontra la realtà, ma ciò che si sforza di raggiungere. In quelli e in quelle di cui pretende di scoprire il mistero, nella trama degli avvenimenti che si propone di conoscere e di valutare, si imbatte in una zona oscura: l’immaginario che affolla non solo la sua ricerca, ma anche la testa e il cuore delle persone che indaga. Quando vuol fare chiarezza, incontra una serie di interpretazioni possibili. Un bambino lancia un sasso contro un vetro: il risultato è un vetro rotto, la causa è il gesto del bambino. Ma, come nota argutamente lo storico Paul Veyne, si può parlare anche della fragilità del vetro, della scarsa resistenza del materiale, dei motivi di tale gesto, dell’aumento delle facciate di vetro nell’architettura, dei tempi infausti che spingono i bambini a lanciare sassi contro i vetri, della cattiva educazione dei bambini e dell’incoscienza dei genitori che lasciano compiere ai giovani tali gesti e via dicendo(1).
Potenza dell’immaginario. Poiché il potere è il cuore della politica, il complotto è sempre l’ombra del sole splendente del potere. È la faccia nascosta dell’ascesa, l’abisso sotto i piedi dei conquistatori, il contrario minaccioso della riuscita. È il luogo per eccellenza di maschere celate nella penombra, di miti stereotipi. Il periodico ritorno della tesi del complotto è come la fenice che rinasce incessantemente dalle sue ceneri, dopo che sembrava addormentata per sempre. Se la descrizione dei fatti varia all’infinito, la teoria del complotto, invece, sembra ripetere attraverso i tempi le stesse spiegazioni sui motivi delle manovre tortuose dei poteri e dei contropoteri, sulle operazioni occulte e dissimulate di torbidi agenti nel labirinto dei luoghi strategici. Questa teoria ritorna sempre sulle stesse figure, concatena le stesse spiegazioni e usa gli stessi schemi. Essa ricicla incessantemente gli stessi codici nel corso del tempo; circonda i poteri con una sorta di oscuro alone che non li abbandona mai completamente; preferisce l’ombra alla luce troppo abbagliante dei poteri, la potenza dei sogni all’evidenza dei fatti, l’apparente coerenza dell’irrazionale alla fragile solidità delle costruzioni razionali.
La nostra ricerca tenta di scoprire i mimetismi che si moltiplicano, le spiegazioni che si ripetono, i materiali incessantemente reimpiegati in dosi diverse ma sempre combinate. Spiegare gli avvenimenti con il complotto è frutto di una costruzione su base ideologica. Essa diventa più ampia quando la diceria le dà una mano o quando la propaganda se ne impadronisce; trova nuovo ascolto quando il mondo dei mezzi di comunicazione prolifera e incontra la credulità degli spettatori. È anche un modo di protestare contro il mistero che circonda il potere; è l’insoddisfazione creata dalla sua azione e il desiderio di ritornare a una presunta purezza originale, che sarebbe sempre tradita dalla mediocrità presente.
Dicerie nell’attualità
Partiamo da un’attualità recente. Ci sono voci che si gonfiano, poi svaniscono, poi ricompaiono in un altro modo, offrendo spiegazioni nelle quali il complotto occupa un posto d’onore. Viene in mente la costruzione di un falso, «Il Protocollo dei Saggi di Sion»: diffuso in Occidente, in particolare in Francia, era opera della polizia dello zar all’inizio del secolo XX. Questo libello descrive gli ebrei come portatori di tradizioni settarie, che si aiutano reciprocamente per complottare contro i poteri costituiti, per difendere meglio i loro interessi economici e le loro ambizioni politiche. È importante rilevare che questa tesi riaffiora periodicamente nell’ultrasinistra o tra gli estremisti di destra, e recentemente anche nel mondo arabo in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 sul territorio statunitense. È una tesi in linea con la posizione attribuita sempre agli ebrei nella spiegazione dei complotti orditi nella storia dell’Occidente.
Una diceria più effimera si è diffusa nella valle della Somme, in Francia, nell’aprile 2001, quando gli abitanti sulle rive di questo fiume, che abitualmente è calmo, furono vittime di una catastrofica inondazione. La diceria mirava questa volta ad accusare una tecnocrazia parigina giudicata poco sensibile ai drammi della provincia. Parigi, per salvarsi, avrebbe «volutamente» diretto la corrente dalla sua regione verso la detestata Piccardia, deviando le acque della Senna e il corso dei canali. C’è voluto un discorso tenuto sul posto dal primo ministro per frenare il diffondersi di «sospetti alimentati dalla falda freatica del malcontento»(2). La crescita del malcontento è infatti un altro fattore che induce ad accogliere la teoria del complotto.
Il violento accesso di febbre in Piccardia richiama un’altra diceria, più limitata ma più inquietante, che tempo fa aveva invaso la città di Orléans. Edgar Morin cercò di decifrarla con un’inchiesta sociologica(3). Nel maggio 1969 nasceva, si diffondeva e dilagava la voce che uno, poi due, poi sei grandi magazzini di abbigliamento nel centro di Orléans organizzavano una tratta delle bianche. Secondo le dicerie, quei locali erano di proprietà di commercianti ebrei. Nei negozi le ragazze venivano drogate con iniezioni nelle salette di prova, poi fatte scendere nelle cantine e nella notte trasportate in luoghi esotici di prostituzione. Al termine della sua inchiesta il sociologo parla di un «mito polimorfo», di una «costellazione mitologica», dove si mescolano arcaismi e affascinanti modernità. Prima di sgonfiarsi per mancanza di prove — poiché non ci fu alcun sequestro di ragazze nel periodo incriminato — il mito cercava di trovare un capro espiatorio per trasformarsi in uno di quei complotti orditi nell’ombra, che si comunicano parlando all’orecchio. La diceria di Orléans, a sua volta, prende a prestito un materiale impiegato spesso nella storia per alimentare il tema del complotto: sessualità disordinata, denaro ebraico, bersagli femminili, fascino e timore della modernità, chiaroscuro delle salette di prova, movimenti notturni nell’ombra dei sotterranei…
La svolta del 1789
Questo modo di presentare gli avvenimenti, queste fiammate dell’immaginario, queste ondate di irrazionale, unite a una forte mobilitazione della credulità popolare, costituiscono infatti la trama di una storia che si può ritrovare da oltre due secoli; fu la Rivoluzione francese del 1789, carica di dicerie, a segnarne un nuovo inizio. I rapidi sconvolgimenti, la rottura dell’ordine costituito, l’epopea napoleonica, hanno esaltato gli spiriti e alimentato la parte del sogno che è in ciascuno. Di fronte a tali mutamenti del corso della storia, insigni pensatori sono alla ricerca di una spiegazione globale. Da allora il ricorso alla mano invisibile del complotto entra con forza con tre bersagli favoriti: l’ambizione smisurata dei gesuiti, l’avversione dei massoni contro l’ordine antico e il culto della sovversione negli ebrei. Se ne possono trovare gli aspetti principali in un libro molto interessante di Raoul Girardet, da cui ricaviamo le notizie che seguono(4).
La sovversione gesuitica. Nel 1764, dopo l’interdizione dei gesuiti contenuta in istanze dei Parlamenti di Parigi, Rennes e Tolosa, il re Luigi XIV firma un editto di espulsione dei gesuiti residenti nel regno «cristianissimo» di Francia. Essi entrano nella clandestinità, si recano in esilio o passano nel clero secolare. Poi il Papa Clemente XIV, mantenendo la promessa fatta agli ambasciatori delle monarchie cattoliche, con il breve Dominus ac Redemptor sopprime l’Ordine in tutto il mondo. Ma la Russia di Caterina II e la Prussia di Federico II si rifiutano di applicare il decreto sul proprio territorio; così la Compagnia di Gesù, per sopravvivere, si trasferisce dall’Ovest all’Est. Il ristabilimento universale dell’Ordine avviene nel 1814 grazie al Papa Pio VII e con il consenso dei sovrani cattolici. Molti gesuiti, che hanno conosciuto l’esilio, ritornano in Francia con mezzi di fortuna; la Rivoluzione li ha privati della cittadinanza, mentre gli ebrei l’hanno ottenuta grazie alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino; ciò ha come effetto un nuovo distacco tra la religione e l’appartenenza alla nazione. Il cattolicesimo perde il monopolio nel momento in cui scompare un regime fondato su tre pilastri: una fede, una legge, un re.
L’ex gesuita Augustin Barruel si lancia allora in un’interpretazione delle cause della Rivoluzione francese nella quale vede agire ovunque il lavoro di scavo compiuto dai giacobini e dalle diverse obbedienze della massoneria. Questi empi infedeli si rifiutano di credere nella divina Provvidenza e presentano ormai la religione, secondo la concezione illuministica, come una opzione facoltativa. I tre attori principali della tesi del complotto sono ormai sulla scena: gli ebrei, i gesuiti e i massoni si scambiano le posizioni e i ruoli in un immenso intrigo permanente, che cresce lungo tutto il secolo XIX e dura fino ai nostri giorni. Ad essi è dedicata un’abbondante letteratura popolare.
Le invarianti e le costanti
Per i tre gruppi scelti come bersagli, si rileva una stessa trama dei racconti e un medesimo tipo di struttura. L’architettura, che è simile nelle sue linee essenziali, alimenta fino a oggi una quantità di racconti di avventure e di romanzi di spionaggio, grazie alle oscure trame attribuite al dottor No e smascherate da James Bond. I racconti dedicati ad essi descrivono un’organizzazione implacabile, che impone il silenzio ai congiurati e minaccia severi castighi ai trasgressori. Per assicurare meglio la lealtà dei propri membri, il gruppo dei presunti congiurati esige un giuramento di fedeltà, prevede riti di iniziazione, usa messaggi cifrati, moltiplica i segni di riconoscimento. Il potere è di tipo piramidale, con barriere interne e una stretta gerarchia; l’autorità visibile ne nasconde un’altra, più segreta, più invisibile e più implacabile. Tutti i mezzi sono buoni quando servono a realizzare i disegni di questa «macchina» che opera nel segreto. Per rimanere nascosti agli occhi dell’opinione pubblica, converrà servirsi della delazione e del ricorso a un efficace spionaggio, specialmente attraverso le donne, i bambini e i domestici. I mezzi d’informazione devono essere controllati per moltiplicare il potere. Il denaro è necessario. Bisognerà assicurarsi eredità, fare incetta di beni, servendosi della corruzione favorita dai vizi altrui. Per il trionfo della propria causa, questi uomini dell’ombra hanno bisogno dell’oro e del sangue altrui; le loro azioni possono essere compiute soltanto nelle tenebre, lontano dalle luci abbaglianti. Le loro sedi abituali sono cantine, sotterranei, camere chiuse, antri oscuri. Gli abiti non possono essere che neri, e i muri grigi. All’inizio del secolo XX si leggerà pure, nella stampa antisemita, che la metropolitana di Parigi è stata scavata nel sottosuolo con l’intento di esporre la capitale a una minaccia permanente di distruzione. Ciò spiega, secondo il racconto, il moltiplicarsi di sotterranei, di muri lisci, di botole, di porte sbarrate.
È nota la canzone di Béranger sui gesuiti: «Uomini neri, da dove uscite? - Noi veniamo da sottoterra». I congiurati descritti dagli autori di successo sono ombre non identificabili, senza radici, una sorta di eterni nomadi, viaggiatori della notte, vagabondi. E Edmond Michelet, parlando dei gesuiti, dice: «Chi siete? Da dove venite? Dove siete passati? Le sentinelle di Francia questa notte non vigilavano bene alle frontiere, perché non vi hanno visti. Uomini che viaggiate di notte, io vi ho visti di giorno; mi ricordo bene di molti di quelli che vi hanno condotti: era il 1815; il vostro nome… è straniero». Perciò l’inevitabile bestiario che accompagna la descrizione del complotto presenta tutto quello che è sinuoso e vischioso: topi, serpenti, rospi, sanguisughe, piovre. Soprattutto è sempre presente l’immagine del ragno, che tesse le sue tele, prepara le sue trappole, avvolge le vittime con i suoi fili per inghiottirle con calma, lentamente.
Insomma, leggendo i racconti di Augustin Barruel sui complotti del 1789, di sir John Readcliff e di François Fournaud sugli ebrei, di Edmond Michelet e di Eugène Su sui gesuiti, di Alexandre Dumas sui massoni, si scopre che il materiale usato serve a riempire il vuoto tra la banalità dei fatti da cui si parte e l’interpretazione che ne viene data. La mitologia esplicativa si insinua in questo spazio, accentuando le distorsioni e moltiplicando le polemiche. Essa ha una grande possibilità di essere accettata, poiché risponde a una minaccia comunemente recepita e deliberatamente esagerata: si tratta di trovare qualcuno o un gruppo responsabile del male da cui si è colpiti, servendosi, consapevolmente o inconsapevolmente, del ricorso al capro espiatorio.
Il bisogno di una spiegazione
Il mito del complotto per riempire una casella vuota tende insomma a svolgere una funzione sociale, che è quella della spiegazione: una spiegazione che, per essere convincente, dev’essere semplice, globale e priva di sottigliezze o di sfumature. Tutto è ricondotto a una stessa causalità, tutto è inserito forzatamente in un unico quadro, specialmente gli elementi più sconcertanti e penosi. Per rispondere alle inquietudini e dare una soluzione al malcontento, si costruisce un sistema di evidenze semplici, più rassicuranti del persistere di incoerenze e di problemi non chiariti. Il destino è addomesticato, inquadrato, giustificato; il caos è riordinato; eppure nessuno ignora che bisogna diffidare di una chiave unica che apra tutte le porte.
Il nostro tempo è più tranquillo dei precedenti circa la spiegazione degli avvenimenti con la tesi del complotto? Certamente non siamo più ai tempi di Blanqui; ma le costanti descritte prima possono rinascere in altri àmbiti, privilegiando altri tipi di bersagli di cui bisogna spiegare i misfatti. Il comunismo, i gruppi di destra, l’estrema destra, le multinazionali saranno di volta in volta gli accusati, più spesso gli accusatori, approfittando del segreto e lavorando nell’ombra con molte risorse e con un’organizzazione gerarchica impenetrabile. Il potere occulto dei gesuiti, oggi allontanato dal campo politico, può essere riciclato per alimentare una polemica contro l’Opus Dei, scelto come nuovo bersaglio: ricompare così il ragno che tesse la sua tela.
Il tema della sovversione, preparata su scala mondiale, può passare benissimo dai gesuiti ai comunisti e agli ebrei «dominatori». Si parla volentieri di potere delle «200 famiglie», oggetto di forti polemiche al tempo del Fronte Popolare, in Francia, per denunciare oggi il potere delle multinazionali. Il tema della plutocrazia trionfante può essere investito ugualmente in una lettura rapida della globalizzazione. In questo campo una letteratura antisemitica potrà a sua volta denunciare l’accresciuta influenza di una minoranza ebrea sull’organizzazione economica mondiale. Quanto ai massoni, si dice che agiscano all’ombra dei poteri politici (fedeltà di eletti o di ministri) o che siano implicati in affari economici sospetti (ad esempio, nel settore immobiliare), e a volte sono accusati di mescolare a piacere le due realtà, come nel sud-est della Francia con Nizza città faro.
Sul settimanale Marianne un giornalista si interrogava sulle evoluzioni in corso, e osservava che le vecchie teorie del complotto, che abbiamo descritto sommariamente, non hanno perso nulla della loro forza: «Jean-Marie Le Pen si è specializzato nel denunciare l’internazionale cosmopolita e apolide che esalta “la sudicia età della mescolanza di razze”, il métissage, secondo l’espressione di Paul Morand. I superstiti dell’anticlericalismo non se la prendono più con i gesuiti, la “guardia nera” del Vaticano, ma con l’Opus Dei, la nuova “guardia bianca” di Giovanni Paolo II, colpevole di operare in favore della restaurazione dell’ordine morale, dell’abrogazione delle leggi sull’interruzione volontaria della gravidanza e delle molte concessioni alla scuola detta libera. Diversi scandali politico-finanziari hanno messo in rilievo la parte svolta negli “affari” da certe reti massoniche, confermando gli ingenui nell’idea che essi siano ancora uno Stato nello Stato. E se si parla meno delle mitiche “200 famiglie” e del Comitato delle ferriere, è per attaccare la World Company, un aggregato di dirigenti di multinazionali e di fondi pensione che invadono le nostre città e le nostre campagne, con l’oscuro intento di chiudere le nostre fabbriche, di condurre le nostre donne e i nostri figli alla disoccupazione e di distruggere le nostre migliori tradizioni»(5).
L’attentato contro il Pentagono
In questo tempo di globalizzazione sospetta era inevitabile che la tesi del complotto, con i suoi consueti semplicismi, venisse un giorno a spiegare i presunti segreti della «superpotenza americana». Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 ne hanno offerto l’occasione sognata. Naturalmente alcuni hanno chiamato in causa — secondo una tradizione ben consolidata — il ruolo svolto dagli ebrei, sotto forma di un’operazione-commando attribuita al Mossad, la punta dei servizi segreti israeliani. Poi si è cercata la spiegazione da parte di un machiavellismo sommario, attribuendo la colpa a talpe nascoste nello stesso territorio americano. E la diceria di un complotto intra-americano è riuscita ad attraversare l’Atlantico con la compiacenza dei mezzi di comunicazione.
Per questo preteso complotto americano contro il Pentagono, bisogna dunque rilevare alcuni cambiamenti rispetto ai modi di dire e di fare del secolo XIX, di cui parlavamo prima. In una società ipermediatizzata come la nostra, i giochi di immagini, una specie di partita a nascondino permanente, tendono a sostituire i libelli infiammati. Il triangolo d’oro (ebrei, gesuiti, massoni) può deformarsi senza scomparire del tutto. Sono sempre i potenti che vengono sospettati di oscuri progetti, di cui bisogna rendere conto con una spiegazione sommaria: padroni, militari, accoliti di un clericalismo rinascente, agenti segreti... Perciò la tesi del complotto interno applicata all’attacco al Pentagono scivola in un folle chiacchiericcio, scandito dai tamburi di certi mezzi di comunicazione senza scrupoli.
«Un complotto interno antiamericano». Nei primi mesi del 2002 il presidente della Rete Voltaire, Thierry Meyssan, contesta la presentazione dell’attacco contro il Pentagono dell’11 settembre 2001. Su internet, l’autore — che non fa onore al patronato illuministico a cui si rifà riferendosi a Voltaire — presenta una strana tesi con il sostegno di fotografie. Secondo lui, il Pentagono non è stato attaccato da un aereo nemico, ma, al contrario, si tratta di un «complotto interno americano» che ha devastato l’edificio dall’interno. Il «falso attentato al Pentagono» è stato per alcune settimane un argomento di discussione per le reti collegate. Poi Meyssan pubblica un libro, L’effroyable imposture (La terribile impostura) con un sottotitolo allettante: Nessun aereo si è schiantato sul Pentagono. Il 16 marzo Thierry Ardisson invita l’autore alla sua trasmissione su France 2. È l’«elettroshock» che permette all’informazione di diffondersi tra il grande pubblico. Alla domanda del giornalista: «Lei crede alla verità di quello che dice?», T. Meyssan risponde: «Credo che il Governo americano menta e che la verità sia molto vicina a quello che ho raccontato io»(6).
Con questa accusa scioccante, con questa verità insinuata, diluita nelle acque del battesimo mediatico, la diceria può diffondersi come una spiegazione plausibile. Il libro prende il volo nelle graduatorie delle vendite: 60.000 copie nelle settimane successive. Esistono certamente frammenti dell’aereo raccolti dai soccorritori e nascosti in sacchi di plastica nei minuti che seguirono alla tragedia, come si può leggere in un articolo del Washington Post del 13 settembre, firmato da un giornalista, Arthur Santana, che aveva partecipato ai primi soccorsi; ma è anche vero che le fotografie e le registrazioni della scatola nera dell’apparecchio sono oggetto di un’inchiesta giudiziaria; il risultato è che, finché dura l’inchiesta, gli elementi di prova non possono essere diffusi. Il procedimento di Thierry Meyssan ricorda quello dei «negazionisti», che negavano la realtà dei campi di concentramento nonostante le testimonianze dei sopravvissuti e le prove ufficiali, con un successo mediatico minore per la mancanza di una complicità televisiva, ma con il sostegno di ricerche universitarie per «scientifizzare» il prodotto.
* * *
La tesi del complotto come unico fattore esplicativo di tutta la realtà ha, dunque, ancora molta vita davanti a sé, e i materiali che fa circolare da più di due secoli possono essere ancora riciclati a buon prezzo. Bisogna farne un nuovo oggetto di storia? È l’argomento di uno studio recente di un giovane storico, Frédéric Monnier(7). Il tema del complotto — egli osserva — è un aspetto storico sinusoidale; spesso è in secondo piano; riguarda problemi poco chiari, azioni giudiziarie talvolta dimenticate; non è soltanto la storia movimentata delle repressioni contro i nemici dello Stato o i divisori della nazione. Non c’è soltanto un aspetto politico: le minacce di complotto, reali o immaginarie, tornano regolarmente in superficie da parte sia delle forze dell’ordine sia dei sostenitori della distruzione dell’ordine esistente. Attorno a fatti poco chiari si forma una nebulosa che trascina discorsi polemici, ipotesi avventate, tentativi di propaganda.
Essendo legata fin dall’inizio al potere, la tesi del complotto si sviluppa sempre nell’ombra dei poteri esercitati o rivendicati o vacanti. Tradizionalmente, la cospirazione è pensata come un conflitto legato a una profonda crisi e intorno a qualche avvenimento significativo. Ma, a volte, alcuni cercano di passare dall’avvenimento materiale alle rappresentazioni collettive che esso ha prodotto, dalla crisi alle paure che l’accompagnano, dalle forme di lotta politica alle mentalità che esse rivelano, dai fatti riconosciuti alle dicerie che li circondano, dalle cause intraviste alle mitologie esplicative, dal popolo cittadino ai gruppi che ne prendono le distanze. Parlare di complotto è allora tentare di rendere conto dell’immaginario sociale e politico, che in ogni tempo si mette al seguito di razionalità che, a torto, si credono sempre vittoriose nella storia.
1 Cfr P. VEYNE, Comment on écrit l’Histoire, Paris, Seuil, 1978, 182, citato in A. GROSSET, L’explication politique, Paris, Complexe, 1984, 83.
2 B. FRAPPAT, «Vallée de rumeurs», in La Croix, 21-22 avril 2001, 17.
3 Cfr E. MORIN, La rumeur d’Orléans, Paris, Seuil, 1969.
4 Cfr R. GIRARDET, Mythes et mythologies politiques, Paris, Seuil, 1986. Si vedano in particolare i pittoreschi racconti popolari sulle «strategie dell’ombra» e sull’organizzazione di una sovversione universale ad opera di ebrei, gesuiti e massoni (pp. 23-31).
5 P. GIRARD, «Le grand retour des pouvoirs occultes», in Marianne, 6-12 novembre 2000.
6 In Libération, 31 mars 2002.
7 Cfr F. MONNIER, Le complot dans la République, Paris, La Découverte, 1998, 342.
© La Civiltà Cattolica 2003 I 132-141 quaderno 3662
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