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http://italy.indymedia.org/news/2006/04/1037111.php Invia anche i commenti.

ULTIME SULLA CRISI KURDA
by asssociazione nazionale Azad- Tuesday, Apr. 04, 2006 at 1:27 AM mail: ass.azad@libero.it

AGENZIE E ARTICOLI DELLA RASSEGNA STAMPA DELLA ASSOCIAZIONE NAZIONALE AZAD SULLA CRISI CHE STA ATTRAVERSANDO IL KURDISTAN TURCO

Ricordiamo per chi e’ a Roma mercoledi’ 5 aprile che l’appuntamento e’ alle ore 16 nei pressi dell’ambasciata turca in Italia di via palestro per protestare contro le violenze perpetrate al popolo kurdo di Turchia.
Se potete ascoltarlo oggi martedi’ 4 aprile sulle frequenze fm88.900 di radio citta’ aperta alle ore 14.30 un intervento dell’ufficio di informazione del Kurdistan.
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m.o.: Giovane Palestinese Ucciso Dai Militari Israeliani

Ramallah, 3 apr . (Adnkronos/Dpa) - Il soldati israeliani hanno ucciso un ragazzo palestinese di 16 anni e ne hanno ferito un altro questa sera durante gli scontri che hanno opposto un gruppo di giovani dimostranti ai soldati in prossimita' di un checkpoint a sud di Ramallah. A riferirne sono state fonti palestinesi, secondo cui i giovani stavano protestando al checkpoint Qalandiya tra Ramallah e Gerusalemme ed avevano preso a lanciare pietre contro i militari. Questi hanno risposto aprendo il fuoco. Secondo quanto riferito da una portavoce dell'esercito israeliano i soldati di guardia lungo il Muro in Cisgiordania vicino al checkpoint hanno notato due guovani che tentavano di oltrepassare la barriera, hanno loro intimato di fermarsi e quindi aperto il fuoco.

(Ses/Ct/Adnkronos)-
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03 apr 16:01 Turchia: 15 i morti nella rivolta curda
ANKARA (Turchia) - Peggiora il bilancio della rivolta curda, scoppiata a Diyarbakir, nel sud-est della Turchia il 28 marzo dopo le esequie di alcuni militanti del Pkk uccisi dall'esercito turco: i morti sono diventati 15 dopo che un anziano e un diciottenne sono deceduti in seguito alle ferite riportate durante i disordini. I feriti sono 360 e 354 persone sono state arrestate. Il Partito democratico della Societa' (Dtp), la maggiore forza politica curda, ha condannato le manifestazioni "non democratiche" ma ha accusato il governo e il primo ministro, sottolineando che "in uno Stato di diritto non si possono usare armi contro una protesta disarmata". (Agr)
03 apr 12:25 Turchia: scarcerato giornalista curdo in prigione per critiche a Barzani
DIYARBAKIR (Turchia) - Scarcerato dal governo autonomo del Kurdistan Kamal Karin, giornalista iracheno con passaporto austriaco, condannato a 18 mesi di reclusione per alcuni articoli scritti contro il leader del governo curdo. Karim era stato arrestato nell'ottobre del 2005, dopo aver pubblicato, su un sito internet curdo, alcuni articoli in cui criticava Massud Barzani, del partito democratico curdo. (Agr)
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Turchia: Proteste Curde Nel Sudest, 12 Morti e 350 Arresti

Ankara, 3 apr . - (Adnkronos/Dpa) - E' di 12 morti e oltre 350 arresti il bilancio di sei giorni di scontri nella Turchia sudorientale tra la popolazione curda e la polizia, scontri iniziati martedi' scorso in occasione dei funerali di due terroristi del fuorilegge Partito dei lavoratori curdi (Pkk) a Diyarbakir. Solo in questa citta' nei giorni scorsi sono morte nove persone, un bambino di tre anni e' rimasto ucciso nella citta' di Batman e altre due vittime sono state registrate a Kiziltepe.

(Ses/Ct/Adnkronos)
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GLI ARTICOLI USCITI A FIRMA DI ORSOLA CASAGRANDE SUL MANIFESTO DEL 2 APRILE SULLA REPRESSIONE IN KURDISTAN
PAGINA “EUROPA”

LA UE NON CONDANNA L'ASSALTO AI KURDI
Turchia nell'ombra di Kemal
Lo ritiene un problema «interno turco» attinente al «terrorismo»?
In Kurdistan ormai è guerra ad «alta intensità». L'esercito, vera potenza politica in Turchia, tenta un braccio di ferro, e il governo di Erdogan non lo contrasta, anzi cerca di minimizzare le operazioni militari in corso
ORSOLA CASAGRANDE
In Kurdistan è riesplosa la guerra. O meglio, dopo un periodo di combattimenti a bassa intensità, l'esercito è tornato con operazioni su vasta scala. La reazione della popolazione, la rivolta che ormai si è diffusa in ogni angolo e villaggio del Kurdistan forse non era prevista. Certo è che il governo di Recep Tayyip Erdogan sta facendo di tutto per minimizzare. Complici media asserviti (e non solo quelli turchi), pochissime sono le notizie che trapelano. La bomba a Istanbul, venerdì, che ha provocato un morto e una ventina di feriti è stata l'unica notizia che Ankara è stata costretta a dare, perché sotto gli occhi di tutti. In Kurdistan invece non c'è nessuno. Non ci sono corrispondenti esteri, non ci sono televisioni, non ci sono osservatori stranieri (partiti dopo il Newroz). Quindi ciò che accade in Kurdistan può essere taciuto. Ma fino a quando?
Finalmente, venerdì, al quarto giorno di rivolta popolare e dopo undici morti (tra cui quattro bambini dai tre ai nove anni) e centinaia di arresti, l'Europa ha sentito il dovere di dire qualcosa. Gli Stati uniti lo avevano fatto al secondo giorno di scontri, richiamando il premier Erdogan ed esprimendo preoccupazione (il Kurdistan turco confina pur sempre con quello iracheno). L'Europa l'ha fatto due giorni dopo, per chiedere a Erdogan di continuare sulla strada intrapresa lo scorso settembre quando, proprio a Diyarbakir aveva detto che «la questione kurda è un nostro problema e va risolto».
I pudori di Bruxelles
La Ue ha dunque chiesto di cercare di risolvere con mezzi pacifici la questione kurda. Nessuna condanna esplicita delle operazioni militari di questi giorni, né dell'uso 'facile' delle armi. L'occupazione militare di molte città non ha suscitato condanne e non ci sono state neppure parole di solidarietà per i sindaci e i militanti del Dtp, il partito fondato da Leyla Zana (che pure invece in Europa quand'era detenuta godeva di una certa simpatia).
Questo 'pudore' negli interventi Ue rimanda a una 'riservatezza' quasi uguale: negli anni della guerra anglo-irlandese l'Europa (complice un muro di gomma costruito ad hoc dalla Gran Bretagna) non si è quasi mai espressa per condannare il potente ex impero, giustificando il silenzio con la non opportunità di intromettersi in 'affari interni della Gran Bretagna'. Affari di 'terrorismo', come per i baschi e adesso, sembrerebbe, per i kurdi. Perché la tendenza sembra essere quella di accettare la linea del governo di Ankara, che sostiene di avere un 'problema di terrorismo' da gestire.
In realtà il premier Erdogan (a capo di un governo islamico moderato, come viene definito) ha tentato una forzatura sulla questione kurda, a Diyarbakir in autunno. Ma la reprimenda dei militari è stata durissima. Il potere dell'establishment militare - custode dei valori del kemalismo - rimane molto forte. Perché l'esercito in Turchia non è solo forza militare ma anche potenza economica, sociale e politica. Non è un caso che tra gli obiettivi della folla in rivolta in Kurdistan ci siano le banche di proprietà di Oyak.
Oyak, il potere dell'esercito
Oyak infatti è il braccio economico dell'esercito. Controlla, oltre alle banche, una quarantina di compagnie, nella finanza, nell'industria e nei servizi. E' partner, per esempio, della Renault. Fondata nel 1961 come fondo privato pensionistico per l'esercito, è diventata una delle più importanti potenze economiche del paese. Ha oltre 220mila soci e dà lavoro a circa 18mila persone. E' presente in Francia e Germania, con Omsan che opera nel settore dei servizi. Quanto ai profitti, basti pensare che Oyak Bank ha chiuso il 2005 con un incremento del 40% nel volume di affari rispetto al 2004, raddoppiando i profitti.
L'esercito non nasconde i suoi malumori nei confronti di un ingresso in Europa. Fondamentalmente perché teme di perdere potere. La Ue per il momento sembra più interessata a concludere affari in Turchia che ad affrontare in maniera determinata la questione dei diritti umani e della questione kurda. Così all'audizione del 23 marzo scorso con il presidente della commissione per i diritti umani turca, hanno partecipato pochissimi deputati. Eppure sul tappeto c'erano questioni importanti e il presidente in alcuni casi ha dimostrato che rispetto ad alcune questioni c'è chiusura pressochè totale. «Mi sembra di poter dire - sostiene Vittorio Agnoletto che all'audizione è intervenuto - che su Cipro e sulla sorte di Abdullah Ocalan ci sia un tabù difficile da spezzare».
Mentre su altre questioni, in particolare sugli omicidi d'onore e sui diritti delle donne, sembra esserci una disponibilità a migliorare la situazione, su Ocalan, nonostante la corte di Strasburgo abbia ordinato un nuovo processo, la commissione turca ha risposto che «Ocalan è un terrorista, killer di 30mila persone: in nessuna parte del mondo un simile terrorista sarebbe trattato bene. Non ha problemi di salute perché è costantemente monitorato e può ricevere visite dai legali e dai familiari».
Ma la Ue pensa agli affari
Chiusura sul caso Ocalan. Stessa chiusura su Cipro. E in parte anche sul Kurdistan, visto che per il deputato dei 358mila profughi interni (ma i dati parlano di 1milione e 400mila almeno, costretti a fuggire dai villaggi dati alle fiamme), 200mila sono tornati grazie a investimenti pari a 14milioni di dollari. La realtà, come la rivolta di questi giorni dimostra, è assai diversa. Ma senza una reale presa di posizione da parte dell'Europa la questione kurda rischia di rimanere 'un problema di terrorismo interno'. E questo per il popolo kurdo e per la stessa Turchia sarebbe una vera tragedia.
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Lotta per la libertà di parola
Intellettuali turchi si autodenunciano di «insulto alla patria e alle forze armate»
O.C.
Instancabile, Sanar Yurdatapan, musicista, scrittore, poeta rientrato in Turchia dopo tanti anni trascorsi in esilio in Germania (era fuggito dopo il golpe del 12 settembre 1980) è l'animatore della «Campagna per la libertà d'espressione». A Istanbul nei giorni scorsi Yurdatapan e altri dieci 'volontari' si sono presentati al tribunale della città e si sono autodenunciati per aver infranto la legge 301 del codice penale che prevede il carcere per chi «insulta la patria o le forze armate».
E' l'articolo che ha fatto finire sotto processo (procedimento archiviato subito) anche lo scrittore forse più noto all'estero, Orhan Pamuk. Ma di Pamuk in Turchia ce ne sono migliaia e non tutti raggiungono l''archiviazione'. Anzi. La presidente dell'associazione diritti umani di Istanbul, l'avvocata Eren Keskin è stata condannata qualche giorno fa a dieci mesi di carcere per aver «infangato l'onore delle forze armat». Keskin ha detto che non è in grado di pagare la multa di 6mila lire turche che le eviterebbe il carcere e quindi attende di essere prelevata e messa in galera. La sua colpa? Aver denunciato nel 2002 in una conferenza di donne in Germania, la sistematica violenza sulle donne arrestate: stuprate e torturate dagli ufficiali dello stato.
I dieci volontari che si sono autodenunciati sono avvocati, scrittori, giornalisti, attori. Tra loro, la scrittrice e giornalista Perihan Magden, l'attore Mahir Gunsiray,il giornalista di Millivet Dogan Ozgunden, le sociloghe Oya Baydar e Pinar Selek (che rischia l'ergastolo per una «bomba al mercato» delle spezie di Istanbul: esplosione attribuita al Pkk ma che la stessa polizia ha poi dichiarato essere stata provocata da un corto circuito). L'azione di disobbedienza civile, come sottolinea Sanar Yurdatapan, dovrebbe servire anche a sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale - perché per per quello che dicono e scrivono ogni giorno in Turchia decine di persone subiscono processi, e spesso il carcere. Gli intellettuali chiedono l'abolizione degli articoli contro la libertà di pensiero e di opinione: «contraddicono la legislazione europea e violano lo stesso articolo 90 della costituzione turca» che dichiara (dopo l'adeguamento alle norme europee in vista dell'ingresso nella Ue) la priorità della legislazione internazionale su quella nazionale in caso di contrasto.
Il livello di censura e di persecuzione che ancora esiste altissimo in Turchia è ben illustrato dal procedimento penale delle scorse settimane al tribunale di Kars. Il tribunale ha deciso che le lettere di invito al Newroz (il capodanno kurdo celebrato il 21 marzo) spedite dal partito di Leyla Zana non potevano essere confiscate e mandate al macero, nonostante recassero la dicitura Newroz con la 'w', lettera che in turco non esiste e in kurdo sì. La corte ha stabilito infatti che tutte le altre parole erano in turco e quindi non c'era violazione dell'articolo 81/c sui partiti politici. La lettera 'w' sembrava dunque 'liberata'. Sbagliato. L'ufficio del governatore di Kars ha presentato ricorso e la seconda corte ha ordinato la confisca degli inviti.
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I pingui affari europei, e italiani, con Ankara
Strasburgo snobba l'incontro con i turchi sui «diritti umani». Il business, anche militare, attira Roma e le altre
O. C.
Turchia, Europa. I tavoli di trattativa per l'ingresso di Ankara nell'Unione europea sono tutti aperti e già ben avviati. E forse è sintomatico che all'audizione di Mehmet Elkatmis presidente della commissione parlamentare turca per i diritti umani, il 23 marzo, abbiano partecipato soltanto una decina di eurodeputati. I soliti noti. Cioè quelli che hanno qualcosa da chiedere ai turchi soprattutto in materia di diritti umani. Gli altri, la stragrande maggioranza, non hanno ritenuto interessante sapere né dei progressi compiuti da Ankara né tantomeno di quello che invece non è stato fatto e difficilmente si farà. «Perché l'Europa, o tanta parte di essa, ha già deciso - commenta amaramente Vittorio Agnoletto - eurodeputato di Rifondazione, uno dei pochi che all'audizione ha assistito - la Turchia è troppo importante economicamente per la Germania, ma anche per l'Italia». E in effetti Ankara è un boccone troppo ghiotto per le malandate economie europee. Un partner che si cerca avidamente, come dimostrano le decine di missioni compiute negli ultimi mesi. E come dicono i contratti già chiusi con aziende europee. Il presidente della Repubblica Ciampi ha accompagnato in Turchia, lo scorso novembre, seicento industriali nostrani, piccoli, medi e grandi. Perché tutti vogliono afferrare un pezzetto di torta. Una torta che Ankara è più che disposta a offrire.
In Turchia ci sono già 200 aziende italiane (più 300 turche di proprietà italiana), da Fiat a Pirelli, da Eni a Tim, a Indesit, Bialetti, Benetton. E naturalmente l'industria delle armi. Oltre alla Beretta, l'Alenia e l'Agusta. Interessante il resoconto di un seminario tenuto lo scorso ottobre in Confindustria sulle opportunità economiche in Turchia. Ne scrive, sul sito dell'esercito italiano, Andrea Tani. Dopo aver ricordato che l'Italia è il secondo partner commerciale di Ankara, Tani sottolinea che «il lavoratore medio turco ha uno skill di poco inferiore a quello del suo collega italiano e costa un decimo, mentre un ingegnere è professionalmente del tutto equivalente e costa la metà. Il commercio con l'estero complessivo è di 115 miliardi di dollari; con l'Italia è a 7.1 miliardi, il che fa del nostro paese il secondo partner dopo la Germania». Chiaro che i diritti umani (compresi quelli dei lavoratori) non sono la priorità per l'Europa economica.
Tani si sofferma poi sull'industria militare. «Le forze armate turche sono poderose, - scrive - soprattutto perché ancora disposte a combattere la guerra vera chiamandola col suo nome, e non con pudici gerundi anglofoni declinanti il suo contrario (peace-keeping, enforcing, mantaining...). La marina turca è in crescita e già si trova su livelli quantitativi eguali se non superiori a quella italiana. L'aviazione dispone di velivoli da combattimento F-16 prodotti in loco ed esportati, con un grado di quasi completa autonomia. L'esercito è una formidabile macchina da guerra che schiera quattro armate e dieci corpi d'armata che mettono in campo 400mila uomini, più 800mila riserve. I soldati fanno quindici mesi di solida naja in oasi di tranquillità come i confini con l'Iraq, la Siria, il Caucaso o il Kurdistan».
Ma c'è un ma, ed è qui che entrano in gioco l'Italia e la sua industria di guerra. «Le stesse forze armate - scrive Tani - sono arretrate sul piano tecnologico e hanno un'estrema necessità di modernizzazione. Per una serie di ragioni storiche e contingenti, il corrispondente comparto italiano è oggi visto con molto favore per modernizzare la dotazione dei reparti operativi, adeguandoli in particolare agli ambienti Network-centric moderni. La preferenza è determinata dal patrimonio di alte tecnologie in possesso del medesimo comparto, che si accompagna all'assenza di condizionamenti politici di qualsiasi genere da parte del governo di Roma. L'attuale governo islamico di Ankara vuole svincolarsi il più possibile dalla esclusiva dipendenza dalle forniture high-tech americane e israeliane (molto imbarazzante per gli islamici al potere) che caratterizza il procurement delle sue forze armate».
Insomma, Turchia per l'Italia vuol dire business e in tanta parte business militare. I più recenti esempi dell'attivismo dell'imprenditoria italiana sono rappresentati dall'acquisizione da parte di Unicredito della banca Yapi Kredi, dalla presenza di Telecom nel consorzio che ha acquisito la privatizzata TurkTelekom e da Imi che ha acquisito il 20% del gruppo Gayrimenkul Degerler. Senza dimenticare Tim che controlla Avea, la terza società di telefonia mobile del paese.
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Servizio a cura della ASSOCIAZIONE NAZIONALE AZAD- per la liberta’del popolo kurdo
ROMA
J.C.

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