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Cpt: inferno alle porte di Roma
by l'unità Monday, May. 01, 2006 at 2:24 AM mail:

dall'unità del 30 aprile 2006

Cpt di Roma, nel girone degli «indesiderati»

Andrea Barolini

«Giù dal letto, preparati, ti portiamo via». Francisco ha 22 anni, viene dall’Equador. La sua branda nel Cpt di Ponte Galeria, estrema periferia sud-ovest di Roma, va lasciata libera. Alle 3 di notte. «C’è un aereo che ti aspetta, alla svelta» dice senza fronzoli il personale della Croce Rossa. L’appuntamento è con un volo per risbatterlo da dove è venuto. Da dove è scappato. Stesse storie. viste troppe volte. Sono quelle dei centri di permanenza temporanea. Quella di Francisco è come quella di tanti altri: rumeni, albanesi, sudamericani. Africani. Ponte Galeria, a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale di Fiumicino: la «frontiera» degli «indesiderati».

Sbarre, interrogatori e Valium:
inferno Cpt alle porte di Roma

PONTE GALERIA Immigrati «tranquillizzati», uomini tirati giù dalle brande e destinati ad esser rimpatriati proprio nei paesi da dove sono scappati, donne incinte detenute fuori da ogni regola - una ha perso anche il bambino - condizioni igieniche precarie: poco lontano dalla Capitale uno dei «mostri» della Bossi-Fini.
C
hi arriva qui, aspetta solo di essere rimpatriato. «Uno dei migliori centri di permanenza temporanea d'Italia, meglio gestiti, equipaggiati, organizzati», sostengono i responsabili. Può darsi. Più sinteticamente, una prigione. Come prigioni sono tutti i Cpt del Paese.
Sono le sette del pomeriggio di un martedì di poche settimane fa. Una piccola delegazione, rigorosamente non annunciata, chiede di visitare il centro. Si fa avanti la senatrice dei Verdi Tana de Zulueta. Gli agenti della polizia che sorvegliano il grande cancello d'ingresso conoscono perfettamente le regole: i parlamentari hanno diritto di accedere ad ogni edificio pubblico.
Nonostante ciò, passa qualche minuto. Qualche telefonata concitata e poi, in rapida sequenza, alcuni militari si fanno avanti. Il Cpt di Ponte Galeria è gestito congiuntamente dalla Croce rossa italiana (che si occupa del contatto diretto e della gestione dei trattenuti), dai funzionari dell'ufficio immigrazione e dalla polizia. A loro si aggiungono medici, infermieri, una psicologa e un'assistente sociale.
Al Cpt vero e proprio non si accede immediatamente: prima, in un piccolo labirinto di corridoi, ci sono gli uffici, un ambulatorio, qualche «sala d'aspetto» e una sorta di ingresso nel quale a tutti i cittadini stranieri che entrano nel centro - siano essi ex-carcerati o semplici vittime di disguidi burocratici - vengono fatte le foto e prese le impronte digitali. Poche stanze più avanti, l'ambulatorio: una scrivania, due sedie, un lettino, un bagno e tre armadi pieni di medicine.
La dottoressa di turno spiega che gli stranieri, prima di accedere al centro, vengono visitati dai medici della Croce rossa. A ciascuno, poi, viene consegnata una scheda da compilare, con l'indicazione delle eventuali malattie e delle relative terapie seguite, alle quali si possono anche allegare certificati medici.
Peccato però che agli immigrati, al momento della cattura, non venga dato il tempo di prendere neppure un abito di ricambio, una foto o un libro: figuriamoci una prescrizione medica...
Tutto, insomma, secondo le procedure stabilite dalla legge: minorenni, malati di Aids e donne in gravidanza (nei Cpt non c'è assistenza ginecologica) non vengono trattenuti nel centro ma portati nei vicini ospedali. Per tutti gli altri, è pronta una branda nei dormitori.
«Al momento abbiamo circa 100 uomini e 125 donne», spiega la dottoressa. Si cerca di capire meglio il tipo di controlli sanitari effettuati: alle donne che affermano di essere in gravidanza viene fatto un esame particolare, ad esempio un'analisi del sangue? «Certamente, il prelievo fa parte della routine».
E per chi arriva in condizioni fisiche precarie? «Tutti gli stranieri vengono adeguatamente rifocillati, ascoltati e, se necessario, rivestiti». Alla dottoressa viene poi sottoposto un rapporto dell'associazione Medici del mondo, che dopo una visita al centro sollevava il sospetto di eccessive somministrazioni di psicofarmaci ai trattenuti (in particolare di Valium). La dottoressa ribatte: «A nessuno, mai, vengono date più di 2 o 3 gocce al giorno. Solo in casi rarissimi si può arrivare a 5». E se un trattenuto soffre di insonnia o di forte depressione? «Guardi, se proprio siamo costretti possiamo arrivare a 15 o 20 gocce, cioè il massimo consentito senza prescrizione medica».
Alla fine però aggiunge: «Dovete sapere che sono i trattenuti stessi a chiederci i calmanti. Anzi, se dipendesse da loro dovremmo letteralmente imbottirli. Alle volte arrivano così esagitati che è capitato di dovergli dare 40 gocce di Valium per calmarli». Ma dottoressa, non aveva detto che al massimo venivano somministrate 20 gocce? «Beh, sì, certo. Ma in quei casi infatti c'è la prescrizione medica». Sarà, ma Medici del mondo, nel suo rapporto, parla di «60 gocce di Valium al giorno, più altre 40-45 di Minias».
Superato l'ambulatorio, il corridoio prosegue verso una porta bianca: da lì comincia il Cpt vero e proprio. Quella che sembrava una Asl neanche troppo dimessa si trasforma all’improvviso in una galera. Un cortile di sbarre grigie alte cinque o sei metri, con dei rostri in cima, separa dall'esterno i dormitori degli immigrati: un solo piano, 6/8 letti per camerata. Una tv e un tavolo, niente armadietti né comodini.
Neppure sedie: «Le trasformerebbero in armi». Solo due lunghi scaffali, per posare le cose di tutti, tutte insieme. Anche in cortile non si ha diritto ad una panca: qualcuno ha pensato di trascinare il materasso fuori dall'edificio, per non doversi sdraiare per terra. Il bagno è quello di una stazione ferroviaria: le docce non hanno neanche il diffusore del getto d'acqua, ma i trattenuti si sono ingegnati con delle bottigliette bucate sul fondo e attaccate con del nastro adesivo ai tubi penzolanti per dirigere il getto.
Dopo un'ora e mezzo di visita si arriva al reparto femminile, rigorosamente separato da quello degli uomini. A proposito: e se dovesse arrivare una coppia di coniugi? «Anche loro sarebbero divisi», spiega un addetto alla sicurezza».
Nel dormitorio femminile troviamo donne di tutte le nazionalità. Ci avvicina una ragazza che dice di avere 22 anni, anche se ne dimostra molti di meno: «Sono bosniaca e sono incinta». Ma se aspetta un bambino non dovrebbe essere portata in ospedale? Risposta: «Molte trattenute dichiarano gravidanze false... ». Verosimile. Ma se poi qualcuna è davvero incinta? «Domani sarà sottoposta al test di gravidanza». Domani: cioè al suo terzo giorno nel Cpt.
Il suo, purtroppo, sembra non essere un caso isolato. Secondo una segnalazione dell’associazione «Action», una ragazza rumena di venti anni, prelevata in un campo rom di Pisa e portata al Cpt di Ponte Galeria, avrebbe addirittura abortito spontaneamente all’interno del centro. La ragazza, inoltre, avrebbe inutilmente esibito agli agenti della polizia un referto medico dell’ospedale di Pisa – del 24 marzo scorso – che confermava il suo stato di gravidanza.
Le autorità sanitarie del Cpt rispondono che, secondo i loro test, la ragazza non sarebbe risultata incinta. Nel pomeriggio di ieri il senatore di Rifondazione Comunista Francesco Martone è entrato nel Cpt di Ponte Galeria, chiedendo (invano) di poter leggere la cartella clinica della giovane. Ma i regolamenti, gli è stato risposto, «non lo permettono».
Insieme ad «Action», Martone ha annunciato che presenterà un esposto alla Procura di Pisa per tentare di chiarire la vicenda. Ma la ragazza, che non ha i documenti in regola, nel frattempo potrebbe già essere stata rimpatriata.


di Andrea Barolini

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