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Da una favela di Pisa alla deportazione a Roma
by ................ Thursday, May. 04, 2006 at 7:09 PM mail:

Da Liberazione del 1/5/2006

Da una favela di Pisa alla deportazione a Roma. Storia
di una migrante di 20 anni


«Sono incinta». Ma nel Cpt nessuno crede a Liuba

Checchino Antonini

Quando è arrivata a Ponte Galeria stava male.
Vomitava. Le hanno fatto un test di gravidanza e poi due pasticche per farla dormire. Ma lei - che per “delicatezza” chiameremo Liuba - è stata ancora male.
Perdite di sangue e di un «grumo di carne». Sta ancora male, Liuba, e forse ha perso il bambino che aspettava.

Vent’anni, vivere in un campo rom vicino Pisa, imbattersi nello sgombero sbrigativo di polizia del 20 aprile scorso e finire, un paio di giorni dopo, in un Cpt nella campagna romana. Grazie alla Bossi-Fini, quella di Liuba è una storia che si può racchiudere in una frase. Con un foglio di via che la rispedirà in Romania dopo l’inferno di ferro e cemento del Cpt. Ma poteva finire meglio se il giudice di pace avesse tenuto conto di un certificato medico datato 24 marzo e che le assegnava un’«elevata probabilità di gravidanza in atto». Perché Liuba, e ogni donna nelle sue condizioni, in un Cpt non ci dovrebbe proprio finire.

Probabilmente, all’epoca, era incinta da sette-dieci giorni. Il periodo a maggiore incidenza di aborto spontaneo. L’85% dei casi avviene in questo periodo per anomalie del prodotto del concepimento, per alterazioni cromosomiche, disordini ormonali, infezioni della mamma. O per stress, spesso attraverso l’instaurarsi di patologie intercorrenti. La letteratura scientifica non lascia spazio all’immaginazione. L’accademia nazionale delle scienze comportamentali degli Usa sostiene che, all’inizio della gravidanza, lo stress subito dalla madre triplica il rischio. E stress, nella piccola storia di Liuba, è quel trasferimento in cellulare da Pisa all’estrema periferia tra Roma e Fiumicino dove sono state innalzate le gabbie per migranti di Ponte Galeria. Un lungo viaggio finito nell’ambiente sovraffollato e scarsamente igienico di un “normale” Cpt.

Il risultato del test di gravidanza effettuato nel “lager” romano sarebbe negativo. Francesco Martone, senatore di Rifondazione, ha provato a vederci chiaro recandosi sabato scorso nel Cpt. Ma non ha potuto visionare la cartella clinica di Liuba non si capisce se perché mancava il capitano della Croce rossa responsabile del servizio medico o se perché i regolamenti non consentirebbero l’accesso alle carte.
«Però, neanche la ragazza ha avuto accesso alla certificazione del test», conferma Martone al quale è stato riferito che le pasticche per dormire sarebbero una consuetudine per gli “ospiti” del centro. Anche 60 gocce di Valium al giorno, dice un rapporto dell’organizzazione Medici dal mondo. 60 gocce quando il massimo consentito, senza prescrizione medica specifica, sarebbe un quarto: 15 gocce. «Liuba non sta bene - continua Martone - è ancora stanca, ha mal di pancia e non mangia». Dopodomani Martone tornerà nel Cpt con la collega Elettra Deiana per un’ispezione particolareggiata dell’intera struttura dove, attualmente, sono rinchiuse 225 persone, 125 delle quali donne. La direzione prova a mettere le mani avanti contro le tante «trattenute» che dichiarebbero gravidanze false, condizione che inibirebbe la reclusione nel Cpt. Ma, intanto, il servizio sanitario del centro non prevede visite ginecologiche.

La vicenda di Liuba è arrivata a Roma grazie alla
segnalazione ad Action, agenzia diritti, da parte dell’associazione pisana Africa Insieme. Liuba era seguita dallo sportello Mezclar, ambulatorio migrante. Action ha subito preparato un esposto alla magistratura per chiarire cosa sia davvero accaduto a Liuba dal momento dello sgombero in poi. E di chi siano le responsabilità nella catena di decisioni - di questura di Pisa, giudice che ha convalidato il fermo, questura di Roma e funzionari del Cpt - che ha “trattenuto” una ventenne che risulta incinta da un certificato di una struttura sanitaria pubblica.

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