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Sull'ultima udienza del processo al sud ribelle
by effewuddi'duepunti Tuesday, Oct. 24, 2006 at 10:31 AM mail:

Riceviamo e pubblichiamo

Dopo qualche giorno, giusto per riprendermi dallo sconforto, intendo esprimere alcune considerazioni sul processo “No Global”, che, se qualcuno ancora lo ricorda, si sta celebrando a Cosenza nella sede della Corte d’Assise e vede sul banco degli imputati alcuni attivisti del movimento, i quali, dopo essere stati in carcere, potrebbero ritornarci, attesa l’enormità delle accuse nei loro confronti.
L’ultima udienza è stata fondamentale per l’accusa; il teste escusso, infatti, era il dott. Cantafora, capo della Digos di Cosenza: sulle sue indagini il PM ha costruito il castello accusatorio. L’aula d’udienza non é la stessa, nel senso che, è sempre quella, ma scordatevi i giornalisti, le televisioni ed il grande pubblico. I riflettori, purtroppo, si sono spenti. Anche il PM è mesto, rassegnato, continua il suo lavoro nell’anonimato mediatico.
Mi ha colpito molto l’esame del dott. Cantafora, diverso dagli altri testimoni, pareva un PM in seconda; uno che ci ha tenuto a sottolineare il fatto che li rappresentava comunque lo stato, l’apparato, la struttura; uno che ci ha tenuto molto a differenziarsi, specie dagli imputati, che con disprezzo chiama questa gente.
Chi pensava di assistere ad un interrogatorio normale e formale, a sentire delle risposte proferite a seguito di domande formulate, si sbagliava: Cantafora è un fiume in piena, parla per ben sette ore a fronte di sette otto domande in tutto che gli vengono rivolte dal PM.
La cosa che ci sconcerta ancora, poi, è il modus operandi: un testimone, in quanto tale, riferisce su circostanze che ha visto o delle quali ha conoscenza diretta; un testimone qualunque, però, non certo Cantafora, che ha parlato di fatti che non ha mai visto direttamente. Ma allora, ci sia consentito, se il dott. Cantafora non è stato a Genova nel tempo in cui ci fu la contestazione al G8, come ha potuto riferire su quanto è accaduto in quel posto? Seguendo questo criterio, una persona qualunque, che per ragioni varie conosce gli imputati e magari li avversa per chissà quali oscure vicende, potrebbe riconoscerli in un video che gli viene mostrato e testimoniare sul loro conto. E’ stato pericolosissimo, specie per i giudici popolari, l’aver consentito al dott. Cantafora di proferire sue considerazioni su questo o quel fatto, l’avergli fatto riconoscere tizio o caio a fronte di immagini video che gli sono state mostrate in aula. Un video è una prova in se; una volta acquisita agli atti, sarà il collegio giudicante ad interpretarla, non certo i testimoni.
Nonostante ciò, siamo sereni, lo dico davvero. Si nota nell’aria una certa insofferenza del collegio giudicante rispetto a certe stravaganze dell’accusa. C’è nell’aria voglia di normalità. Le vicende processuali cominciano a delinearsi. Ci tornano alla mente le parole del caro Peppino Mazzotta: tutto sarà chiarito in dibattimento. Ma su questo ci torneremo in futuro.
Rimangono, tuttavia, gli interrogativi ed i dubbi e ne rimangono tanti su questo processo. Probabilmente non si chiariranno mai; o meglio, noi non riusciremo mai a chiarirli a quanti queste vicende hanno subito, e non mi riferisco solo agli imputati; né vorremmo mai farlo con la stessa violenza che ha utilizzato questa giustizia forcaiola. Ma questa è un'altra storia, ora attendiamo ben altro.

Adriano D’Amico
(Segreteria Provinciale di Cosenza del Partito della Rifondazione Comunista)

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