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PUTIN PRENDE A SCHIAFFI L'EUROPA
by rivoluzionario/Stalinista Tuesday, Oct. 24, 2006 at 5:07 PM mail:

Nel corso del recente incontro finlandese di Lahti Putin agisce sulle divisioni dei venticinque e alza la voce per sottolineare l'importanza strategica per l'Europa della fornitura energetica russa, mettendo un fermo anche poco diplomatico al dibattito sul rispetto dei diritti umani nel suo Paese.


Un'Europa divisa ha incontrato la Russia a Lahti, in Finlandia. E questa Europa divisa è stata presa letteralmente a schiaffi dal presidente russo. Alla Spagna, che lo aveva “provocato” con il discorso del presidente del Parlamento Europeo, Borrel, Putin ha ricordato la corruzione dilagante nelle amministrazioni locali.


Al premier italiano Prodi è stato ricordato che mafia è parola italiana. Agli altri, che chiedevano alla Russia di rispettare le regole del mercato, Putin ha ricordato chi scontri inter-europei in materia di telecom, di autostrade, di banche, dove più delle regole del mercato ha giocato la politica. A tutti, indistintamente, Putin ha ricordato il modo in cui gli europei e la Nato hanno trattato il popolo serbo, applicando due pesi e due misure secondo il loro comodo. Per quanto la cena fosse buona, i bocconi sono risultati difficili da trangugiare.

Gli europei, giunti alla cena finlandese con idee disparate su come affrontare la Russia, non si aspettavano un contr'attacco di tale durezza. Se Philip Borrell dice che “il gas non lo si può mangiare”, intendendo con questo dire che la Russia deve pur venderlo a qualcuno, Putin ha fatto capire che la Russia non ha il problema del compratore, perché può venderlo a est, se l'ovest non compra. Ma può l'ovest non comprare? Ecco il punto. E in Finlandia l'Europa ha dovuto misurare il fatto che la Russia non intende più farsi fare la lezione.

Tanto più che l'Europa è davvero divisa: tra “falchi” e “colombe”, come si usava ai tempi della Guerra Fredda. Ma il significato dei due termini è oggi profondamente diverso da allora. I falchi sono di due tipi: quelli che vogliono un linkage molto stretto tra affari e diritti umani, e volevano mettere Putin sul banco degli accusati per l'assassinio di Anna Politkovskaja, per i metodi duri contro la Georgia, per il referendum in Transdnistria sulla adesione alla Russia e sul referendum prossimo venturo in Ossetia del Sud, per la legge che vieta l'attività delle miriadi di organizzazioni straniere, culturali e politiche sul territorio russo. Diciamo che questi sono i falchi “puri”, che ne fanno una questione di principio.

Ma insieme ai falchi “puri”, ci sono quelli “spurii”, o misti, che utilizzano il pilastro dei diritti umani come merce di scambio, integrativa, della contrattazione nel campo del business. Come dire: mettiano il tutto sul piatto della bilancia e costringiamo il leader russo a cedere qualche cosa nel business assegnando ai diritti umani un coefficiente di valore economico. Con l'aspettativa di ottenere due possibili risultati: un allentamento dei limiti dei diritti umani e delle libertà politiche in cambio di un bel pacchetto di investimenti occidentali, ovvero una serie di concessioni economiche della Russia in cambio di risultato zero nel campo dei diritti umani.

A Lahti i falchi hanno ottenuto poco o niente. E le ragioni di questo insuccesso le vedremo tra poche righe.

Le colombe del post guerra fredda potrebbero anche essere definite come i “realisti”. Tra questi spicca stranamente, questa volta, Tony Blair. Il quale ha così espresso il suo punto di vista. “E' importante che noi abbiamo, con la Russia, relazioni in campo energetico che siano d'affari e non politiche. Commerci nei due sensi di marcia, con regole chiare che devono essere rispettate da ambo le parti”. Cioè non mescoliamo i terreni e parliamo solo di cose concrete e misurabili, anche perché le nostre possibilità di influire sulle altre sono praticamente nulle. Altro esponente di spicco della corrente realistica è stato il premier italiano, Romano Prodi. Il quale ha detto che l'Europa deve chiedere alla Russia solo due cose: “sicurezza e affidabilità” (negli approvvigionamenti).

Tra i falchi – tra i quali si annoverano quasi tutti, in varia misura, gli ex paesi satelliti dell'Unione Sovietica e le tre repubbliche baltiche, ma anche settori importanti del parlamento europeo che, trasversalmente a tutti i gruppi politici e nel tentativo di piacere a Washington, puntano a un peggioramento delle relazioni tra Europa e Russia – questo approccio è inaccettabile. E, infatti, è stato non a caso il presidente del Parlamento Europeo, il socialista Josep Borrell, ad alzare il tono delle polemiche, insieme al primo ministro molto conservatore di Estonia Andrus Ansip. E' toccato a Jacques Chirac rimettere la barra al centro, affermando che le questioni morali non possono essere confuse con gl'interessi economici. “Ci sono questioni economiche e diritti umani – ha detto Chirac – e queste questioni sino distinte e non devono essere soprapposte”.

E' stato per queste ragioni che, prima di invitare Putin a cena, una discussione abbastanza tumultuosa tra gli europei si era conclusa con la faticosa decisione di affidare al presidente finlandese il compito di esporre a Putin le preoccupazioni europee e al presidente della Commissione, Barroso, di rispondere alle repliche di Putin.

Ma a cena, in atmosfera che avrebbe dovuto essere più distesa, ma che è subito divenuta indigesta, l'irritazione di Vladimir Putin per le ripetute sollecitazioni europee a rispondere sui diritti umani, ha avuto libero corso.

I falchi europei ne ricaveranno materia per attacchi rinnovati. Ed è certo che il negoziato in tema di investimenti europei sulle zone di estrazione energetica, da un lato, e di apertura del mercato europeo alla distribuzione diretta della Russia del gas, dall'altro, diverrà ora più difficile. “L'Unità”, di fatto organo di un partito di governo in Italia, titolava lunedì in questo modo: “Il Cremlino sfida l'Europa” e, “Insulti di Putin agli europei”. L'assassinio di Anna Politkovakaja avrà conseguenze politiche molto vaste e prolungate. In questo quadro è apparsa sorprendente l'intervista che Irina Khakamada ha rilasciato al “Corriere della Sera”, proprio domenica scorsa, in cui ha definito Putin “garante di questa democrazia (russa) per quanto deformata e monca”. E, alla domanda circa gli effetti politici della morte della giornalista russa, la signora Khakamada ha risposto, ancora più sorprendentemente, che “potrebbe essere un complotto per convincere Putin ad assicurarsi un terzo mandato perché altrimenti le cose volgeranno al peggio”.

di Giulietto Chiesa


http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=221

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