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La prima volta dell’Unione: sciopera l’Università
by da liberazione Sunday, Nov. 19, 2006 at 12:37 PM mail:

Ricercatori in piazza con Cgil, Cisl e Uil contro i tagli in Finanziaria. Epifani: «Doloroso ma necessario».

Delusione. Delusione e sorpresa. Perché i 20mila lavoratori dell’università e della ricerca, scesi in piazza ieri a Roma per lo sciopero generale del settore, in questo governo riponevano la loro fiducia. Avevano letto con sollievo il programma dell’Unione, che metteva al centro la ricerca e la formazione. E invece il primo sciopero nazionale dei sindacati confederali riguarda proprio loro, docenti, ricercatori e studenti, che subiranno i tagli a cui ci costringe l’Europa.
Tagli per l’università, e non per la difesa, come ricorda un cartello portato in alto da un giovane precario dell’Università di Firenze: «Dal militare non nasce niente, dalla ricerca nasce la conoscenza». Deluso è anche Enrico Sestini, ricercatore dell’Isfol che denuncia un precariato «3 o 5 volte superiore alle risorse in organico», critica «le imprese immature che tagliano i costi e le riforme del mercato del lavoro a partire dal pacchetto Treu», e accusa i sindacati «di aver sottovalutato, in passato, il problema della precarietà». Deluso è anche Roberto Petronzio dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che dal palco conclusivo di Piazza Navona si augura che «emerga il messaggio chiaro e positivo di una comunità che non sta difendendo interessi corporativi, ma uno dei beni più preziosi del Paese: i giovani, le loro idee e gli strumenti per realizzarle». Deluso è Guglielmo Epifani, che parla di uno sciopero, il primo contro il governo di centrosinistra «difficile, ma necessario». «Tutto ci saremmo aspettati - dice il leader della Cgil - tranne che il governo non assumesse la centralità di questo settore». Epifani chiede ascolto all’esecutivo e lo invita a «fare altrove i sacrifici richiesti», a non aspettare il Senato per modificare la Finanziaria.

Rino e Francesco sono colleghi, lavorano al Politecnico di Torino e tengono lo stesso striscione: “Lavoratori di tutto il mondo unitevi”. Ma c’è molto che li separa, molto più dei 10 anni d’età che, a vista d’occhio, sembrerebbe dividerli. Rino lavorava alla Fiat nel 1981, quando, giovanissimo, capì che il suo futuro in fabbrica non era sicuro. Allora decise di partecipare a un concorso pubblico, e fu assunto nel personale tecnico amministrativo. Oggi fa parte dell’Rsu, ha partecipato a tutte le manifestazione del “movimento” degli ultimi anni, da Genova fino al 4 novembre di Stop Precarietà. Francesco, che gli cammina accanto con una bandiera “no Tav”, invece, è un assegnista di ricerca, e studia robotica. Il 31 dicembre il suo contratto sarà rinnovato per il quarto anno consecutivo, l’ultimo. Poi solo uno dei tre colleghi che lavorano nel suo stesso dipartimento passerà a tempo indeterminato. Se non dovesse essere lui il “fortunato” si ritroverà disoccupato a 32 anni disoccupato, dopo 7 anni di lavoro all’università: «Ormai c’è un cuscinetto di precari, la mia condizione è diffusissima. - dice - Il mancato inserimento nel lavoro stabile crea uno spreco di conoscenze, poiché alle aziende non interessa la ricerca di base che ho svolto in questi anni, ma solo quella applicata». Il suo posto, cioè, sarà destinato a un altro precario che ricomincerà daccapo il percorso.

Barbara, che chiacchiera con le sue colleghe sotto il sole che riscalda piazza Navona, porta con disinvoltura il suo sandwich, “12 anni di vita in scadenza, mi sento una mozzarella”, e racconta: «Ho lavorato per anni negli ospedali, adesso all’Isfol, con un incarico di ricerca di un anno». Parla del suo mestiere: prelevare campioni in giro per l’Italia, da Gela a Taranto fino alla valle del Sacco, alla ricerca di materiali tossici prodotti dalle industrie, dall’amianto all’arsenico. Il sindacato le ha chiesto di partecipare, e lei ha acconsentito di buon grado, «perché la speranza è l’ultima a morire». Ma dopo 12 anni, certo, si è facile preda della disillusione. «Il 4 novembre… non sapevo della manifestazione prima di leggere i giornali del giorno dopo. Se no sarei scesa in piazza anch’io…».

Poco più in là una decina di precari del Cnr continuano a tenere ben aperto il loro striscione: “Precari di serie C…nr”. «Siamo precari da 10 anni, e cambiamo contratto continuamente - racconta Loredana. - Il tipo di contratto dipende dal progetto che stiamo seguendo. Se riusciamo a vincere bandi dell’Ue, e abbiamo qualche soldo in più, allora passiamo a tempo determinato. Altrimenti si va avanti coi cocoprò o con gli assegni. Non a caso passiamo la gran parte del tempo, più che a fare ricerca, a scovare bandi e a scrivere progetti». Scienze dei materiali, beni culturali, bioingegneria, non si può certo dire che i ricercatori del Cnr di Montelibretti siano cultori di materie passate in disuso. «Contratti coi privati? Pochissimi e sporadici».

Qualche soldo dal mondo della produzione, invece, riescono a racimolarlo all’Università di Firenze, che da pochi giorni ha firmato un protocollo di intesa con Assindustria. «La pratica della ricerca per conto terzi, da noi, è abbastanza consueta nei settori chimico e tecnologico. - ci spiega una sindacalista dell’Flc toscano. - Il committente privato paga per la ricerca. Ma solo il 20% va all’ateneo, e di questa frazione solo il 10% ai ricercatori impiegati. Il resto è riservato ai docenti».

Poco dietro c’è lo spezzone dei lettori di lingua, che la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato, con una sentenza del 18 giugno 2006, docenti a tutti gli effetti, condannando l’Italia al pagamento di una multa. «Guadagniamo tra i 600 e i 1000 euro al mese, i nostri stipendi non si adeguano all’inflazione dal ’94, e non abbiamo un contratto nazionale: siamo assunti come personale tecnico amministrativo», spiega John Gilbert, newyorkese, portavoce del coordinamento nazionale dell’Flc dei lettori madrelingua.

«Siamo in sciopero per il futuro del nostro Paese - dice il segretario generale della Flc-Cgil, Enrico Panini - e siamo scesi in piazza non solo per riparare danni ma perché chiediamo di dare una missione, un’anima a questa finanziaria e ciò si può fare investendo su scuola, università, ricerca». Sul domani, insomma.



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