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Focus: la disinformatia petrolifera
by sbancor Saturday, Dec. 28, 2002 at 4:25 PM mail: sbancor@hotmail.com

La mia generaqzione ha sempre avuto un pessimo rapporto con il petrolio. Attraverso la crisi petrolifera volevano insegnarci l'austerità. La crisi ovviamente era la "balla del Secolo". Oggi siamo di nuovo dentro una "balla". Per chi non crede alla guerra al terrorismo c'è pronta la guerra per il petrolio. una spiegazione che non spiega nulla, ma permette di ridar fiato ai tromboni del vecchio antimperialismo. Quello che faceva guerre di rapina. Oggi non c'è più nulla da rapinare: l'impero finanziario possiede infatti tutto. Anche il petrolio. con buopnapace dei pingui venditori sauditi, kwaitiani o emiri di paesi sconosciuti ai più.

Leggo disgustato innumerevoli commenti di autorevoli esponenti della Sinistra per cui la Guerra in Iraq sarebbe una guerra imperialista finalizzata al controllo dei pozzi di petrolio. Cialtroni! Ho quasi il sospetto che sia una "disinformatia" vera e propria. "Non credete alla balla dei terroristi in Iraq?" (l'unico che c'era Abu Nidal è passato a miglior vita "suicidandosi con un mitra dei servizi segreti iracheni", ed è quantomeno dubbio che gli americani abbiano gradito la cortesia) " E allora bevetevi quest'altra balla sul petrolio!"
La mia generazione con il petrolio ha litigato da piccola, già da quando, nel 1972-73 volevano convincerci che il petrolio era finito e che era necessaria l'austerità. Qualcuno si ricorda i "cervelloni del Club di Roma? No? Meglio così!
Per circa dieci anni la "beffa petrolifera", architettata da Henry Kissinger per coprire il vero dramma, cioè la bancarotta U.S.A. e l'inconvertibilità del dollaro in oro, fino alla disdetta degli accordi di Bretton Woods (1973), era dottrina ufficiale. Chiunque provava a dire qualcosa di diverso veniva tacitato con la spocchia che la menzogna, organizzata e diffusa, riserva ogni volta alla verità.
E solo in memoria di quelle antichi spasmi epigastrici, di cui accuso pubblicamente Henry Kissinger, che credo sia utile svelare l'architettura della "beffa", facendo parlare un eminente personaggio dell'epoca: l'ex ministro per il petrolio dell'Arabia Saudita Yamani, che ha rilasciato una illuminante intervista all'Observer un paio d'anni fa..
"Sono sicuro al 100% che gli Americani erano dietro il rialzo del prezzo del petrolio. - confessa Yamani - Le compagnie petrolifere navigavano in cattive acque, avevano un mucchio di soldi in debiti e necessitavano di un alto prezzo del petrolio per salvarsi." Sempre secondo l'Observer - Yamani fu convinto di questo interesse americano da un incontro con lo Shah dell'Iran. Yamani era preoccupato che un incremento dei prezzi avrebbe potuto generare pericolose conseguenze per l'OPEC, perché gli avrebbe alienato le simpatie americane. Re Faisal gli consiglio di sentire il parere dello Shah di Persia. "Perché sei contrario all'aumento del prezzo del petrolio - gli disse lo Shah - Non è proporio quello che vogliono? Chiedi ad Henry Kissinger: è il primo a volere alti prezzi del greggio!".


Eppure qualche buntempone ha ritirato fuori adesso la storia del petrolio che finisce! Ragazzi se qualcosa in economia è cresciuto esponenzialmente negli ultimi trent'anni sono proprio le riserve.petrolifere. oggi ammontano a più di 1.000 miliardi di barili!. Si tratta di riserve accertate. Poi ci soino i nuovi campi, soprattutto in Asia Centrale, in Algeria, nel Sudan, in Angola, nello Xin Xjiang cinese ecc. ecc. Poi ci sono i campi già individuati ma da saggiare, per conoscere l'ammontare delle riserve, poi ci sono le Riserve Strategiche degli USA (SPR).
Insomma è più facile che finisca prima la tecnologia basata sul petrolio che il petrolio stesso!
E insieme sono cresciute le alternative al petrolio, sia in termini di risparmio energetico che di ricerca su nuove fonti, ultima l'idrogeno. Siamo seri dunque. E ragioniamo sulle cifre. Dunque le importazioni nette di petrolio degli Sati Uniti, includendo la Strategic Petroleum Reserve (SPR) ammontano a 10,42 barili di petrolio giorno (bpd) nel 2000; 10,90 nel 2001, 10,5 nel 2002, e - se il PIL cresce di almeno il 2,6% - a 11,63 nel 2003. Diciamo "se", perché che il 2003 sia l'anno della ripresa è una pura ipotesi di lavoro. Il prezzo, calcolato come costo di acquisizione per le raffinerie (RAC) è stato in media di 27,72 $ per barile nel 2000, di 22,01 nel 2001 e sembra che l'anno in corso si chiuderà intorno ai 23,7 $ barile, nonostante il "rally" di questi ultimi giorni con il West Texas sopra i 32. Le previsoioni dell'E.I.A. (l'agenzia USA per il petrolio) rilasciate ai primi di dicembre sono ancora ottimiste (vedi http://www.eia.doe.gov/emeu/steo/pub/steo.html) nonostante i segnali di guerra in Iraq e la crisi venezuelana, (e il petrolio venezuelano è molto più strategico per gli U.S.A., visto che sta nel loro cortile di casa, invece che a decine di migliaia di km.).
In realtà fino a qualche giorno fa il prezzo del petrolio stava ancora nella parte bassa della forbice OPEC fissata in 22$-28$ barile. La stasi della domanda mondiale, è il vero "calmieratore del prezzo del petrolio. Certo, la guerra provoca un rimbalzo verso l'alto. Ma se si guardano alle statistiche petrolifere durante la prima guerra del Golfo si nota un picco che inizia con l'invasione del Kwuait e termina "prima" della fine del conflitto, quando ormai era chiaro che tutto sarebbe tornato alla normalità. E allora bruciavano i pozzi kwaitiuani, che presumibilmente resteranno intatti nella guerra prossima ventura. Insomma non si vede un aumento dei prezzi (al di là) della fiammata legata alla guerra. Non solo: il peso del petrolio OPEC nella determinazione dei prezzi e delle quantità continua a diminuire: anche se nel 2003 ci fosse una crescita del PIL pari al 3% negli USA e una conseguente necessità di ulteriori 1,4 milioni di barili giorno, questi sarebbero coperti per oltre la metà dal petrolio cinese e da produttori non OPEC.
Inoltre negli anni '80 gli USA importavano dai paesi OPEC il 47% del totale delle loro importazioni di greggio. Ora sono scesi al 24,8, e scenderanno ancora. (sulla volatilità del prezzo del petrolio vedi http://www.eia.doe.gov/emeu/steo/pub/a3tab.html )
L'unica cosa certa è che il mercato del petrolio non è governato, ne governabile dall'offerta. Tutta la struttura del mercato è anglo americana. I derivati (future, options, swap ecc,. ecc,) si trattano sul West Texas Instrument.
Una guerra per il petrolio dunque non solo è inutile, ma è dannosa, in quanto determina forti rischi di volatilità sia dei prezzi che delle quantità.

Anche da un punto di vista geopolitico e geoeconomico la storia è fuori di senso logico. L'Irak e l'Artabia Saqudita sonoi già accerchiata da un dispositivo di basi e di navi in grado di controllare tutta l'area del Golfo. Anche ammesso che l'occupazione dell'Irak e la gestione diretta dei pozzi fosse l'obiettivo degli americani, occorre considerare: le quote di petrolio da destinare alla ricosytriuzone dell'Irak e agli aiuti umanitari. L'influenza del petrolio irakeno anche riportato a 4 milioni di b.p.d, sarebbe marginale rispetto alla formazione del prezzo del petrolio.
Abbiamo provato alcuni semplici modelli matematici di stima: bene se l'intervento in Iran servisse a sterilizzare il prezzo del petrolio da un aumento di 10 dollari al barile in media annua (che è una cifra da capogiro) il beneficio netto per gli USA sarebbe una cifra compresa fra i 480 e i 500 miliardi di dollari. La guerra da sola ne costa 200. Una eventuale occupazione può spingere i costi a dieci ani, secondo Nordhaus (premio nobel) fino a 1.600 miliardi di dollari. Occupare l'Irak non è un "business" in se e per sè. Conquistare i pozzi, presidiare migliaia di km di pipe line è un'impresa antieconomica.
Anche una contabilità ancillare consiglia l'acquisto del petrolio, piuttosto che la sua "rapina". Come dire le armi e la logistica connessa costano più del "grisbi"!
Insomma il petroilio non è una "casua di guerra" più di quanto lo siano i terroristi, le visioni e gli acidi geopolitici di Huntington e Brzninsky, le allucinazioni della sinistra che cerca ancora un "imperialismo" dtile Grande Guerra da criticare con a portata di mano l'aureo libretto di Lenin.
Vi è infine un problema non banale di arbitraggio sulla moneta di riferimento: in che moneta infatti è quotato il petrolio: in dollari. Dollari ragazzi, non Talleri di Maria Teresa d'Austria. E se il dollaro scende? Il prezzo del petrolio che fa? Lo segue, per forza. A rimanere impigliati nella trappola siamo noi europei e i giapponesi, orgogliosi detentori di "aree monetarie ottimali". Come negli anni 70. Peggio che negli anni '70.
Ahimè la storia da qui si fa molto più complicata. Siccome mi sento buono può darsi che la spiegherò la prossima volta.


Per una cronologia delle crisi petrolifere vedi : http://www.eia.doe.gov/emeu/cabs/chron.html


Sbancor, Pianeta Terra Sabato 29.12.2002


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