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Caracas come Santiago del Cile ‘73. Cosa succede in Venezuela?
by Simone Falanca Wednesday, Jan. 15, 2003 at 10:36 AM mail: pirorere@yahoo.com

Cosa hanno in comune Caracas 2003 con Santiago del Cile nel 1973. Trent'anni dopo Allende, Chavez. Perchè?

Caracas come Santiago del Cile ‘73. Cosa succede in Venezuela?


Vedendo in continuazione le immagini trasmesse dal satellite sui disordini delle ultime settimane in Venezuela, immagini spesso confuse e contraddittorie, di civili contro civili, eserciti regolari contro agenti in borghese che sparano sull folla, una disordinata guerra di tutti contro tutti, non può non venirmi in mente una parola, una sensazione, un ricordo: Cile ‘73.
Cosa hanno in comune Caracas 2003 con Santiago del Cile nel 1973. Cosa sta succedendo?

La maggior parte degli opinionisti e studiosi internazionali concordano sul fatto che Chavez e il Venezuela stiano pagando il fatto di voler portare avanti una politica autonoma sul piano economico e in politica estera. Chavez in parole povere rifiuta di conformarsi alle linee guida globali dettate dalla Casa Bianca, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Trent’anni prima la stessa cosa era successa al Cile di Allende.

Le colpe di Chavez

Per capire di cosa si è reso colpevole Chavez per meritarsi due tentati Golpe (non riusciti) e uno sciopero generale di un mese di tutti i centri produttivi, mettendo in ginocchio l’intera economia, dobbiamo innanzitutto vedere in che cosa consiste la politica di Chavez.
Il governo Chavez ha rifiutato le privatizzazioni (in primis quella dell'industria petrolifera e del gas), non favorisce affatto il grande capitale finanziario, ha preso posizione contro l' ALCA, dà la priorità al pagamento del debito sociale arretrato con i salariati piuttosto che al rimborso del debito estero.
Chavez ha applicato politiche ispirate a Keynes, finalizzate a una spesa pubblica orientata a stimolare la domanda, e al potenziamento dell'istruzione pubblica, del sistema sanitario e di quello pensionistico.
Il Venezuela è ancora oggi un paese povero ma ricchissimo di risorse. Le famiglie ricche vivono in ville e palazzi superprotetti da sofisticati sistemi di sicurezza per difendersi oltre che da una minoranza di delinquenti abituali, dall'occhio avido di una popolazione disperata e inferocita dalla povertà.
Caracas è una città dal traffico infernale: un litro di benzina costa pochissimo, circa € 0,25 al litro (quanto una bottiglia di acqua minerale in Italia), ma un hamburger lo trovate a € 6,00. Una telefonata urbana costa € 1,00 e così di seguito.
La metà della popolazione vive di lavoro nero e di contrabbando vendendo e comprando merce dalla provenienza più strana.
Il latifondo e le terre incolte e abbandonate continuano ad essere lo scandalo del Venezuela e la riforma agraria del presidente Hugo Chavez che proibiva il possesso di terra con più di 5 mila ettari di superficie ha suscitato l'odio e la reazione dei latifondisti.
La legge di riforma agraria era stata varata insieme a altri 49 provvedimenti legislativi di carattere sociale per elevare le condizioni di vita della popolazione più povera

Il petrolio

Soprattutto il Venezuela dipende in tutto dai suoi ricchi giacimenti di petrolio il quale è responsabile per l'80% di quasi tutte le esportazioni del Paese, circa 20 miliardi di dollari all'anno.
Chavez entra nel mirino delle multinazionali del petrolio – ovviamente anche degli Usa - quando con molta decisione, rilanciò il ruolo dell'Opec (l'organizzazione che riunisce alcuni degli Stati esportatori di petrolio), e addirittura organizzò una cordata per la difesa del prezzo del petrolio.
Il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, definì "decisamente irritante" il fatto. Chavez era impegnato in un tour di dieci giorni che lo porterà in tutti i Paesi appartenenti all'Opec: sosteneva la necessità che l'Opec tagliasse la produzione giornaliera di barili di petrolio per mantenere alti i prezzi del greggio e affermò inoltre che l'estrazione e la prima lavorazione del petrolio poteva essere realizzata solo da società in cui lo stato avesse avuto almeno il 51% del capitale, alzando la tassazione sui guadagni delle altre fasi. Con Chavez la politica di scambio stava cambiando: vendeva petrolio a un prezzo ridicolo a Cuba, puntando ad un innalzamento dei prezzi negli scambi verso Usa e paesi ricchi. E negli Usa, dopo due anni di politica estremamente cauta condotta dai democratici nei suoi confronti (proprio per l'importanza del paese nel settore energetico), i repubblicani nel 2001 cominciarono ad accusare Chavez di appoggiare i gruppi guerriglieri di tutta la zona andina e percepiscono la sua politica come ulteriore elemento di instabilità.
Il Pentagono fece sapere che gli Usa stavano "perdendo la pazienza". Chavez rispose: "Io, se voglio, vado pure all'inferno". Aggiungendo: "Che cosa ci possiamo fare se gli americani si seccano? Noi abbiamo una dignità, e il Venezuela è un Paese sovrano. Ha il diritto di prendere le decisioni che ritiene nel proprio interesse".. Sembra di sentire le stesse parole di Mattei quando l’Eni entrò in netto contrasto con le compagnie petrolifere americane (le “sette sorelle”). Sappiamo tutti come è andata a finire.
L’attivismo politico di Chavez non poteva passare inosservato dalle potentissime lobby del petrolio internazionali. La situazione in Venezuela iniziò a degenerare quando Chavez cambiò tutti i manager statali del petrolio per condurre una politica economica ancora più indipendende dagli Sati Uniti. La Casa Bianca puntò così a bloccare definitivamente l'economia interna venezuelana, come nel 1973 fece per Salvator Allende, sostenendo una curiosa alleanza di confindustria e sindacati venezuelani che facevano resistenza a Chavez, sotto la sapiente e invisibile regia della Cia e dei signori del petrolio
Alessandro Marescotti di Peacelink riporta in un suo articolo come durante una conversazione con Giancarlo Summa, un giornalista italiano che vive in Brasile, gli rivelò che la Casa Bianca entro pochi mesi avrebbe messo fuori gioco il primo ministro Chavez, Marescotti gli chiese poi se gli Usa stessero giocando in Afghanistan una "guerra per il petrolio", la risposta fu sorprendente: "La vera guerra per il petrolio la Casa Bianca la sta conducendo in Venezuela, principale fornitore degli Stati Uniti". Trasformare l'economia venezuelana in economia satellitare delle esigenze energetiche americane, serve anche a dimostrare al mondo che cosa succede se un governo decide di testa propria. La globalizzazione è appunto questo: niente intralci, boicottiamo gli impiccioni, facciamo crollare l'economia delle nazioni che si pongono di traverso.

Il Cile di Allende

Come abbiamo accennato all’inizio, il quandro attuale delle forze in campo contrapposte nel contesto venezuelano è molto simile a quello formatosi nel ’73 in Cile.
Quando il 5 settembre 1970 il socialista Salvador Allende vinse le elezioni in Cile, il presidente Richard Nixon e il segretario di Stato Henry Kissinger ordinarono al capo della Cia, Richard Helms, di attivarsi per impedire con ogni mezzo, compreso un eventuale golpe militare, che il presidente assumesse i pieni poteri. Vennero messe in atto una serie di operazioni clandestine, come la corruzione di parlamentari cileni (riuscita solo in parte), e l’assassinio del del generale Renè Schneider (capo delle forze armate fedele ad Allende), la Cia non riuscì a impedire l’insediamento di Allende alla presidenza della repubblica cilena. Così il servizio segreto americano si impegnò a determinare il fallimento del governo Allende con altri mezzi: boicottaggio economico, finanziamento di scioperi (come quello dei camionisti che paralizzò il Cile per 26 giorni), azioni di terrorismo, fomentazione di disordini. L’11 settembre 1973 le operazioni dei servizi segreti americani si conclusero con il golpe di riuscito del generale Pinochet e la morte di Allende. Non fu una covert operation, ovvero una operazione di intelligence coperta o segreta, gli Stati Uniti non nascosero mai la propria responsabilità per i fatti cileni. Lo stesso Kissinger – mentre i carri armati di Pinochet accerchiavano il palazzo presidenziale – dichiarava a un giornalista del Washington Post: “Non vedo perché dobbiamo starcene fermi a guardare un paese diventare comunista per l’irresponsabilità del suo popolo”.
La globalizzazione muta i protagonisti dei colpi di stato e se nel 1973 il golpe aveva il volto di Pinochet oggi ha il volto del presidente della confindustria venezuelana, Pedro Carmona Estanga.
Trasformare l'economia venezuelana in economia satellite delle esigenze energetiche americane, serve anche a dimostrare al mondo che cosa succede se un governo decide di testa propria. La globalizzazione è sopratutto questo: niente intralci, boicottiamo i “sovversivi”, facciamo crollare l'economia delle nazioni che si pongono di traverso. God bless America.



Simone Falanca 14.1.03
Zaratustra.it Copyleft



Fonti:

Alessandro Marescotti, “I retroscena del colpo di stato in Venezuela”, Peacelink Alessandro Marescotti, “Golpe in Venezuela sponsorizzato dagli Usa”, Peacelink Bonanni Vittorio, “Venezuela: Intervista a Gianni Minà”, Liberazione 13 aprile 2002 Mystes, “Venezuela, colpo di stato neoliberista”
Anonimo “Venezuela, spunti di riflessione”

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