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Sapere per giudicare
by Fabio Mosca Monday, Feb. 24, 2003 at 3:07 PM mail:

Seselj verrà giudicato all'Aja. Seguirà una campagna di falsità storiche. Saperne qualcosa non da quella parte non fà male.

Visto che questo sito è frequentato anche da Serbi, credo figli di emigrati e rifugiati - dato che conoscono bene l'italiano, regalo loro queste pagine inedite sulla storia della Serbia. E' un lavoro al quale mi sono dedicato sin dall'inizio della guerra balcanica, che era per me inesplicabile. Io sono "Italiano", cioè cittadino casualmente nato al di qua di un confine stabilito dalle guerre. Mi rendo conto che le guerre hanno solo portato disgrazie e confini fatti col coltello, per cui non posso essere orgoglioso di nulla, ma solo amareggiato dalla stupidità che ha provocato tante immani sofferenze. Comunque quella Prima Guerra mondiale ha diviso Trieste da un territorio molto vasto, di origine medievale, che era l'Impero Asbugico, popolato da decine di popoli diversi. Prigione di popoli, la definiva qualcuno, ma anche ampio spazio economico e culturale che li teneva uniti. Tra questi Sloveni, Croati, Bosniaci, che dopo quella guerra entrarono a far parte della Jugoslavia.
La Serbia ha tutt'altra storia, che in Italia pochissimi conoscono, e purtroppo ben pochi Serbi. Vogliate quindi vedere in questo mio modesto contributo una goccia di razionalità in un oceano di odi e vendette, nel tentativo di contribuire alla pace basata sulla ragione e la giustizia. Giustizia...concetto che normalmente uno sente solo quando viene calpestato il suo diritto, e pochi sentono quando vengono calpestati quelli degli altri...
E' mia intenzione uscire ogni giorno con qualche pagina, perchè mi hanno avvertito che gli "internauti" amano poco i testi lunghi. Me ne sono accorto per le reazioni che ho suscitato fra quei Serbi che mi hanno definito razzista antiserbo, senza aver letto i miei contributi , evidentemente troppo lunghi.
Insomma una storia a puntate.


Prefazione


Per comprendere l'originalità della storia serba, occorre tenere presente che la Serbia non ha conosciuto il Rinascimento, ne l'Illuminismo, ne la Rivoluzione francese, e si è staccata dall'Impero Ottomano prima che questo iniziasse le sue riforme.
Prima del 1844 i Serbi erano solo uno dei tanti popoli balcanici, difficilmente distinguibile dai turchi persino nel vestire. Il piccolo principato vassallo era abitato da diverse popolazioni: la purezza etnica nei Balcani è semplicemente un'idiozia. Eppure proprio su quest'illusione si sviluppò la politica del principato quando Ilija Garashanin, ministro di Mihajlo, in un Memorandum segreto denominato Nacertanje (il Progetto), propose quello che divenne il "grandeserbismo", un'ideologia pseudo nazionalista, in realtà razzial-religiosa, addottata da tutti i successori. Questo Progetto condusse alle guerre di pseudo liberazione nel 1877-'78 in Bosnia, nel 1912-'13 in Albania e Macedonia, per finire nel 1914-'18 colla realizzazione della Jugoslavia. Sembrava quindi un'Idea positiva, dato che aveva prodotto l'unificazione di tanti popoli. Ma la Jugoslavia si dissolse come neve al sole in conseguenza dell'occupazione nazifascista nel '41. Gli ultranazionalisti croati, noti come "ustasci", si dedicarono al genocidio dei serbi in Bosnia, provocando un'eguale risposta dai nazionalisti serbi, i cetnici, che si dedicarono allo sterminio dei Croati e Mussulmani, massacri svoltisi sotto gli occhi compiaciuti degli occupatori, dando la possibilità a Tito di presentarsi come l'unica via d'uscita da tanta idiota barbarie colla sua inedita lotta di liberazione nazionale e sociale.
La Jugoslavia federale di Tito, criticabile certo per tanti aspetti, creò un certo equilibrio fra i popoli. Ma quando il Kosovo divenne Regione Autonoma (1974) si risvegliarono i sopiti spiriti della vecchia borghesia grandeserba, malgrado Tito le avesse riservato ampi privilegi nella conduzione dello Stato.
I documenti qui presentati mostrano la lotta che un pugno di Serbi illuminati, i pionieri del socialismo, ingaggiarono sin dal 1869 contro una classe dirigente di origine brigantesca che ha sempre preferito le armi al lavoro, ossessionata dall'idea di una Grande Serbia.
La critica serrata a quest'idea del primo socialista serbo, Svetozar Markovich, che la considerava impossibile, data l'eterogeneità balcanica, trovò conferma nelle denuncie dei massacri durante la insurrezione nel 1875-78 in Bosnia del socialista Vaso Pelagich, e poi nelle denunce di un altro socialista, Dimitrije Tucovich, degli orrori nel Kosovo e nella Macedonia durante le guerre balcaniche nel 1912-'13. L'analogia con quanto successo dal 1989 al 1999 in Kosovo ed in Bosnia è impressionante, tanto che questa può essere definita come la "terza guerra balcanica"!
Quale differenza fra quegli antichi socialisti, ed i real - socialisti alla Miloscevich!
L'indipendenza della Serbia dalla Porta è stata ottenuta da una classe dirigente di origine brigantesca (l'hajducija)1, con mezzi misti di crudeltà e raggiro bizantino.
"La liberazione nazionale della Serbia non fu," a detta del primo socialista serbo Svetozar Markovich," che un passaggio di mano della frusta dal vizir turco al knez serbo. Il nuovo stato balcanico non fu, al suo inizio, che un pascialato serbo-ortodosso, privo di un codice civile, dove regnava l'arbitrio del principe e dei suoi accoliti .. I modelli politici che l'ispiravano erano le autocrazie russa e ottomana... E quando venne la Legge, essa non fu che un mezzo ancor più raffinato di oppressione, e con il "liberalismo" le masse contadine precipitarono nella miseria ancor più nera, in quanto persero l'antica istituzione delle "zadruge" a favore di speculatori senza scrupoli delle banche.
L'unica modernizzazione riuscita fu l'armamento di un esercito di contadini analfabeti gettati periodicamente in guerre per tentar di ingrandire quel "Piemonte" balcanico."
La sua casta militare praticò la "pulizia" dei territori conquistati usando il sistema medievale turcomanno dell' "aqin", cioè l'utilizzazione di criminali tolti dalle carceri per il massacro, lo stupro ed il saccheggio, coperti dalla cosmesi di una retorica nazionalista di intellettuali di corte cui una compiacente intellighenzia occidentale diede lustro.
La storiografia italiana, assieme a quella francese ed inglese, ha volentieri accettato quella cosmesi a causa di un'antica simpatia con quel Piemonte balcanico e gli stretti legami fra le massonerie .
A questo riguardo molto materiale del presente lavoro è tratto da un'importante testo apparso in Jugoslavia dopo la morte di Tito, Masoni u Jugoslaviji di Zoran D. Nenezich, che ha svelato molti retroscena della politica serba segreta.
La massoneria, soprattutto la francese, ebbe un ruolo molto importante dapprima per la rinascita della Serbia dopo la sua secolare scomparsa ed integrazione nel mondo ottomano, e poi per la realizzazione della prima Jugoslavia; un ruolo simile a quello giocato nel Risorgimento italiano. I principali attori dei due Risorgimenti erano infatti "fratelli" dell'Arte Reale: dal primo scrittore serbo precursore dell'indipendenza del pascialato di Belgrado, Dositeo Obradovich, per finire con re Pietro Karageorgevich.
La rivelazione è che la gran parte dei governanti serbi furono massoni sin dal primo Ottocento, e tutti i ministri del governo reale jugoslavo, in esilio dopo il 1941, furono massoni!
CAP.I°

Un Piemonte ed un "Risorgimento" alla turca

Le rivolte dei Giannizzeri contro le riforme volute da Selim III° (1793-1804), primo sultano illuminista.

La ricomparsa, dopo cinque secoli, di uno Stato serbo fu dovuta principalmente alla crisi militare dell'Impero Ottomano.
La neccessità avvertita dalla Porta di riformare l'antica istituzione del corpo dei Giannizzeri, battuti sul campo dagli eserciti occidentali ma potentissimi nell'Impero, suscitò le loro ripetute rivolte. Invano il Sultano riformatore Selim III° cercò di scioglierli. Di queste rivolte approfittarono per primi i Serbi del pascialato di Belgrado.
Dopo la pace di Svishtov (oggi in Bulgaria) fra Austria e Turchia, firmata il 4 agosto 1791, che pose fine alla guerra iniziata nel 1788, ed il ritorno della sovranità della Porta sulla Serbia, i Serbi che avevano combattuto contro i Turchi vennero amnistiati. Questo perché la Porta cercava di pacificare gli animi. E, onde evitare disordini, proibì ai Giannizzeri il ritorno in Serbia. Il Sultano Selim III° (1789-1807) voleva sciogliere il corpo dei Giannizzeri e riorganizzare l'esercito su modello occidentale: nasceva il corpo dei nizam.
Ovunque i Giannizzeri si rivoltarono contro il Sultano, anche ad Istanbul, e molti si diedero al saccheggio. Nel pascialato di Belgrado, unendosi ad altri soldati sbandati, riuscirono a ritornare cercando di imporsi al Visir ed alla sua guarnigione. Li guidava Osman Pazvan-Oglu, che già aveva rovesciato il visir del pascialato di Vidin (oggi in Bulgaria).
Selim III° nominò visir di Belgrado Hagi Mustafà (alias Shinik Zade ) il quale si rivolse ai knez serbi per un aiuto armato nel tentativo di ristabilire l'ordine. 2
La guerra contro Pazvan-Oglu durò diversi anni ( 1793-94 e sino al '96), e durante questo periodo il Sultano concesse con vari editti (firman) ai Serbi fedeli dei diritti di autonomia, affidando loro i confini e la riscossione delle imposte, nello spirito di una grande Riforma (il Tanzimat) tesa a portare il decadente impero nell'epoca dei Lumi e della Ragione che aveva trionfato in Europa.
Era il momento magico della Massoneria, alfiera dell'Illuminismo, diffusa soprattutto cogli eserciti napoleonici, ma che raggiungeva anche la classe dirigente ottomana. Pare che lo stesso sultano, ma di sicuro il visir di Belgrado Hagi Mustafà, ne fossero membri.
I Serbi si rendevano conto che le eccezionali concessioni sarebbero svanite col ritorno dei Giannizzeri, e s'impegnarono nella lotta. Ne ottennero un'ulteriore autonomia, in conseguenza della quale i Turchi del pascialato avvertirono i primi sintomi di discriminazione nei loro riguardi. L'accresciuta autonomia dei principi serbi infatti dava loro la possibilità di far pagare imposte (harach) anche ai mussulmani, i quali, secondo la sheriat (o sharija), l'antica legislazione islamica, ne erano tradizionalmente esenti. L'abolizione di questo privilegio fu senz'altro un grande ostacolo verso la modernizzazione dello Stato ottomano.
Nell'aprile del 1796 numerosi principi serbi si riunirono a Belgrado ed elessero dodici super principi (oberknezovi), che giurarono fedeltà al Sultano di fronte al Visir Mustafa pascià ed al Metropolita, il greco Metodio, in nome del popolo,.
In quell'assemblea vennero prese alcune importanti decisioni:
-una tassa di 15 grosh a testa,
-gli spahi (i latifondisti turchi ) avrebbero dovuto abitare solo in Belgrado,
-venne deciso il restauro delle chiese e dei monasteri ortodossi,
-venne creato un esercito nazionale serbo per la difesa del pascialato
-il contingente militare turco venne confinato alla sola Belgrado.
Ormai si poteva definire la Serbia più come un semi principato vassallo che come un pascialato.
Non riuscendo a sconfiggerlo la Porta cercò di addivenire ad un compromesso con Pazvan-Oglu promuovendolo Pascià di Vidin. La ribellione si calmò per un certo periodo, e di conseguenza cessò l'allarme immediato per un possibile attacco a Belgrado. Ma nel '97 la tensione salì nuovamente quando Pazvan-Oglu cercò di conquistare Nish. Ma il tentativo fallì per l'accanita resistenza dei serbo-turchi. Allora Pazvan Oglu cambiò tattica e si erse a difensore della purezza dell'Islam minacciato dalla Riforma del Sultano, ispirata all'Europa Occidentale. Questa rivolta ebbe il sostegno dagli imam e dalle antiche istituzioni ottomane interessate a bloccare la riforma, e fu molto più vasta e pericolosa. La minaccia era diretta non più solo contro Belgrado ma contro Istambul e la persona stessa del Sultano.
Hagi Mustafà venne allora nominato dalla Porta beglerbeg (governatore) di tutta la Rumelia (la regione balcanica turca) e dovette lasciare Belgrado, con grande rimpianto dei Serbi. Nell'epica serba egli viene cantato come "Srpska majka" (madre serba).

In Grecia , similmente che in Serbia, le ribellioni dei Giannizzeri avevano permesso che si formassero delle zone liberate dall'autorità del Sultano. Ali Pascià di Giànina, un ayan ( un notabile rumeliota) dell'Epiro, nel 1790 stabilì uno stato praticamente indipendente, dando l'esempio ai Greci della reale possibilità di sottrarsi al dominio della Porta. Alì chiese aiuto a Napoleone che sbarcò delle truppe a Corfù nel 1797, ma Russi e Turchi, ostili alla Francia rivoluzionaria, si allearono e li scacciarono. Nel '98 Napoleone decise di invadere l'Egitto, e distolse l'attenzione dai Balcani. (Alì continuò a fare il satrapo di Giànina sino al 1822.)

Pazvan-Oglu conquistò Pozarevac alla fine del '97 . Mustafà allora mobilitò tutti i Serbi, chiedendo rinforzi alla Bosnia, e le forze unite turco-serbe liberarono Pozarevac il 16 gennaio '98 ed all'inizio di febbraio pure Smederevo.
Ma il tentativo di liberare la roccaforte dei ribelli, Vidin, fallì e Mustafà fece ritorno a Belgrado il 23 ottobre. Qualcosa era però cambiato in lui, perché tentò di persuadere i principi serbi di unirsi ai ribelli contro la Porta e far entrare in Belgrado i Giannizzeri di Vidin come amici.
La Porta stessa emise un ferman che autorizzava il ritorno dei Giannizzeri a Belgrado. Ciò avveniva perché si era consolidato un fronte controriformista sin nella corte del Sultano.
Così, dopo dieci anni, il 30 gennaio del '99, i Giannizzeri poterono ritornare nel Pascialato di Belgrado, ma, al tentativo di rientrare in possesso dei loro precedenti beni, scoppiarono violenze e disordini..
Il metropolita di Belgrado venne arrestato ed ucciso in prigione. Gli successe il greco Leonzio Lambrovic. Sembra che l'assassinio sia stato ordinato da costui (secondo la cronaca scritta nel 1804 dal metropolita di Karlovac Stefan Stratimirovic) . Sempre secondo Stratimirovic Metodio era stato denunciato diverse volte presso Mustafa Pascia dal suo intimo consigliere, o dragoman, Petar Icko, bazargiambascia, o console commerciale coll'Austria, ricco mercante macedone, poliglotta e massone.
Nel 1801, presso Negotin, scoppiò nuovamente il conflitto fra le truppe serbo-turche ed i Giannizzeri di Pazvan -Oglu ed Icko venne inviato da Mustafa a Vienna per chiedere un aiuto militare. Ma conquistata Negotin, Pazvan-Oglu parve tranquillizzarsi e firmò una pace con Mustafa.
La Porta, con un ferman, nominò Mustafa nell'agosto del 1801 pascià di Vidin, di Belgrado e della Bosnia. Mustafa e Icko prepararono delle bande di hajduki di circa quattrocento combattenti ciascuna per attaccare i Giannizzeri, come riferisce il citato Stratimirovic che apprese la notizia dai giornali austriaci e da testimoni serbi e turchi. Ma i Giannizzeri lo denunciarono alla Porta e nel dicembre 1801 venne assassinato. Icko fuggì a Zemun. Tra gli abitanti di Belgrado si diffuse la notizia che Mustafa era stato assassinato dai Giannizzeri per ordine di Pazvan-Oglu.. Dopo quell'assassinio i Giannizzeri rovesciarono il governo di Belgrado e cercarono di restaurare i privilegi feudali perduti, mettendo in fuga un gran numero di Serbi e dei Turchi loro amici, ed introdussero nella città Turchi provenienti da altri Pascialati.
Queste lotte intestine fra Turchi erano dovute allo scontro fra riformatori e conservatori, scontro che continuerà lungo tutto il secolo XIX° ed oltre.
Nell'esilio a Zemun, Serbi e Turchi riformisti cominciarono a preparare la rivincita . Hasan-beg, Mehmet-aga Konaklija ed altri ex amici dell'assassinato Mustafa ottennero l'appoggio del principe Aleksi Nenadovich di Valjevo, e del mercante di foraggi Petrovich Karagiorge della Shumadija, entrambi già soldati di ventura, i cosidetti frajkori- (dal tedesco frei korp, corpi franchi), che avevano combattuto dapprima al servizio dell'Austria sotto il comando di Mihailo Mihaljevich (caduto in battaglia contro i francesi nel '94) e poi nell'esercito di Mustafa-Pascia.
Nel 1803 gli spahi (feudatari turchi), coll'aiuto di numerosi principi serbi, ripresero Belgrado ai Giannizzeri. Ma ottenuto il loro scopo si sbarazzarono degli alleati ed i principi serbi vennero assassinati.
Ebbe inizio da quell'episodio la rivolta dei soli Serbi contro tutti i Turchi.


(continua)


1 -Hajduk, dal turco hay-türk, letteralmente "cattivo turco", sta per ribelle, brigante. Presso i Serbi divenne sinonimo di eroe, mentre presso i Bulgari , dai quali viene chiamato hajdur, mantenne il significato negativo. Diversa sensibilità morale dei Serbi? L'esempio di "Arkan", criminale per tutti i non Serbi dell'ex Jugoslavia e per il mondo civile, fra i primi in testa all'elenco dei ricercati per crimini dal Tribunale dell'Aja, ma "eroe" per i Serbi potrebbe farlo pensare. Credo invece che si tratti di machiavellismo della classe politica serba abituata da sempre a nascondere i propri crimini ed esaltare gli altrui. (Ma in Italia succede la stessa cosa, e credo solo in Germania ci sia stata una autocoscienza collettiva sui propri crimini del periodo nazista. )
2 -Fra i Serbi, come anticamente presso tutti i popoli slavi, il termine knez o knijaz, tradotto come principe, aveva ancora il significato di capo naturale riconosciuto dalla comunità, un capo tribù, e non era per nomina imperiale come in Occidente. Basti pensare che veniva eletto. Ma sotto la dominazione ottomana occorreva un "ferman"-decreto- del sultano.

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