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http://italy.indymedia.org/news/2003/03/233699.php Invia anche i commenti.

[Genova] Il punto sulle indagini
by incollato da inchiesta-g8 Friday, Mar. 28, 2003 at 10:08 AM mail:

Laura Tartarini, una degli avvocati del Genova Legal Forum, fa il punto sulle inchieste su Genova /G8. lo stiamo traducendo in altre lingue, nella mailing list www-it. Per segnalazioni e offerte di collaborazione, scrivete una mail a: inchiesta-g8@indymedia.org. Vedi anche l'appello http://italy.indymedia.org/news/2003/02/176261.php

Genova. Il fronte interno

L’aumento e l’articolazione delle strategie repressive sul movimento e sui migranti, attuate in modo assolutamente generalizzato, rappresentano il fronte interno della guerra globale permanente


di Laura Tartarini

Quasi due anni dopo i fatti di Genova, per noi che quotidianamente ci aggiriamo fra le stanze del palazzo di giustizia di questa città, ogni giorno porta con sé un nuovo tassello che si aggiunge al mosaico costituito dal materiale raccolto durante le indagini, gli umori e le linee guida della Procura o della politica. Questa quantità di dati che sembra infinita comincia oggi a definire un quadro, a rendere possibili domande alle quali i processi dovranno dare risposte. Riassumiamo, per le diverse indagini aperte, lo stato dell’arte.

I FATTI DI STRADA E I GAS CS
Su quanto accaduto nelle strade e nelle piazze genovesi nei giorni di luglio, i fascicoli aperti sono molti.
Noi avvocati del Genoa legal forum abbiamo presentato diverse denunce collettive (sui fatti di piazza Manin, di corso Italia, sull’utilizzo dei gas Cs) che trovano la loro ragione ultima nel complesso degli elementi che sono stati alla base della gestione dell’ordine pubblico a Genova. Per questo motivo abbiamo chiesto che venissero ascoltati e indicati in denuncia come “complici” dei singoli agenti tutti coloro che hanno rivestito ruoli decisionali in quei giorni: dal ministro dell’Interno, al questore, al prefetto, al responsabile della piazza specifica e agli agenti sotto il suo comando.
Un’altra denuncia, tuttora in via di elaborazione, verrà presentata per i fatti di via Tolemaide e le cariche sul corteo autorizzato culminate nell’assassinio di Carlo Giuliani. Su queste inchieste il lavoro da fare è ancora molto, non solo perché il solo e banale esame delle immagini video è immane ma anche per la complessità delle attività di indagine che andrebbero svolte, a partire dall’identificazione dei responsabili materiali degli episodi di lesioni, anche gravi, o di violenza privata.
Alcuni passi avanti sono più evidenti sul fascicolo riguardante l’uso illegittimo dei gas Cs, circa il quale le denunce presentate da manifestanti per le lesioni subite sono state diverse e il difficile lavoro di reperimento di dati ha condotto a scoprire come a Genova siano stati utilizzati composti chimici vietati dalle convenzioni internazionali. In merito a questi, un dato di discontinuità rispetto alle altre indagini svolte come Genoa legal forum è stato l’intervento e l’affiancamento, nelle denunce pubbliche e nelle campagne contro l’utilizzo dei gas, di alcuni esponenti dei sindacati di polizia che partivano dalla necessità di tutelare gli appartenenti alle forze dell’ordine.
Un primo risultato non viene dalle aule di tribunale (dove il procedimento è ancora in fase di indagini preliminari) ma dalla realtà politica: prima del corteo internazionale tenutosi il 9-11-2002 a chiusura del Forum sociale europeo fu addirittura il ministro dell’Interno a dichiarare che le forze dell’ordine non avrebbero avuto fra le loro dotazioni questo tipo di lacrimogeni sulla cui tossicità “non si ha, a tutt’oggi, alcuna certezza”.
Sui pestaggi di singoli manifestanti isolati, la strada fatta non è ancora molta, neanche per i casi più eclatanti. Un esempio fra tutti: le immagini di corso Torino, in cui si vede un manifestante brutalmente aggredito e malmenato da un gruppo di carabinieri a volto scoperto, hanno imposto l’identificazione degli agenti coinvolti e l’invio alla Procura della Repubblica dei loro nominativi. Il giovane malmenato, però, è ancora ignoto e se rimarrà tale entro aprile il caso rischia di venire chiuso senza alcuna conseguenza.

IL CALCIO AL MINORENNE
Le immagini divenute uno dei simboli dei fatti di Genova (in cui un funzionario in borghese della Digos di Genova, già trattenuto da suoi colleghi, prendeva a calci sul volto un giovane manifestante) hanno dato origine a due diversi procedimenti.
Il primo a carico del funzionario di Ps è tuttora in fase di indagini preliminari, anche se occorre rilevare che, nonostante sui fatti, ripresi da decine di telecamere, non ci sia dubbio alcuno, lo stesso non solo non è stato sospeso dal servizio ma è addirittura stato posto alla direzione dell’Ufficio tecnico logistico della Questura di Genova.
Il secondo, a carico del giovane manifestante (per i reati di resistenza aggravata a pubblico ufficiale) si è chiuso pochi giorni fa in sede di udienza preliminare davanti al Tribunale per i minorenni di Genova con una pronuncia di non luogo a procedere “per non aver commesso il fatto”. E questo nonostante la stessa Digos (della quale il funzionario in questione era all’epoca dei fatti il vice dirigente) avesse tentato di dimostrare che il giovane colpito, assieme ad altri, aveva aggredito, con il lancio di pietre e frasi e gesti di scherno, le forze di polizia.

LA CASERMA DI BOLZANETO
Le indagini sui fatti agghiaccianti accaduti in quella sede sono quasi al termine e hanno condotto all’individuazione di più di trenta, fra agenti e funzionari, responsabili di episodi di lesioni e di atti di violenza fisica e psicologica su persone sottoposte a custodia. A loro si aggiunge almeno uno dei medici in servizio presso la caserma. A marzo si svolgeranno con ogni probabilità gli incidenti probatori per i riconoscimenti ufficiali degli appartenenti alle forze dell’ordine attualmente indagati.
Altre responsabilità, più politiche e quindi forse più difficili da tradurre immediatamente sul piano giudiziario, potranno essere individuate e addebitate a coloro che, dal ministro di Grazia e Giustizia (che ha anche visitato Bolzaneto “senza accorgersi di nulla”) al direttore del Dap, al Procuratore capo (già sottoposto a procedimento sul punto dal Csm), hanno studiato, deciso e reso possibile quella situazione, che non solo ha permesso il verificarsi dei gravi fatti ormai noti ma ha anche scardinato alcuni dei principi fondamentali che attengono ai diritti degli arrestati: primo fra tutti quello di contattare immediatamente i propri familiari e il proprio difensore. E sarà tanto più importante farlo oggi, affinché non abbia a ripetersi domani.

LE SCUOLE DIAZ
I fascicoli aperti su quanto accaduto nella notte fra il 21 e il 22 luglio in via Cesare Battisti sono due, fra loro intimamente collegati.
Un lato dell’inchiesta riguarda quanto accadde nel Media Center sito all’interno della scuola Pascoli. Le indagini in merito hanno evidenziato come l’operazione, costola di quella “madre” effettuata all’interno della scuola Pertini, sia stata svolta da agenti appartenenti allo Sco che, a dir loro, avevano sbagliato lato delle scuole e resisi conto dell’errore, erano usciti immediatamente. Oltre a coloro che materialmente firmarono le relazioni di servizio asserendo di essere entrati nella scuola, altri agenti e funzionari sono stati identificati da chi era presente nella scuola. Oltre che per i reati contro la persona commessi all’interno dell’edificio, gli operatori di polizia sono indagati anche per i reati di danneggiamento e furto aggravati, per aver distrutto e portato via gli hard disk della stanza degli avvocati e altro materiale. Anche questa indagine dovrebbe chiudersi in pochi mesi (per cui tanto più sono necessarie tutte le testimonianze in merito che non sono ancora giunte in Procura o al Genoa legal forum).
L’altro fascicolo aperto è, ovviamente, quello che riguarda il massacro della scuola Pertini. Qui le indagini portate avanti dalla Procura con la collaborazione quasi esclusiva dei difensori delle parti offese, hanno condotto, com’è noto, ad alcuni passaggi fondamentali. Il materiale probatorio allegato al fine di giustificare non solo la decisione di intervenire nella scuola ma anche l’arresto dei 93 manifestanti che nella stessa dormivano è stato smontato dal lavoro paziente e quotidiano di alcuni pubblici ministeri: la sassaiola sulle auto della polizia che avrebbe originato la determinazione di procedere alla perquisizione, la resistenza degli occupanti all’interno della scuola (con la coltellata all’agente Nucera), le armi ritrovate e poste a carico degli arrestati (fra cui le due molotov).
In questi giorni si sta svolgendo l’incidente probatorio sul giubbotto dell’agente che ha denunciato di essere stato accoltellato nella scuola e sul quale già il Ris dei carabinieri di Parma ha rilevato l’incompatibilità fra la versione sostenuta dall’agente e i tagli effettivamente riscontrati sul giubbotto. Per tutto ciò, sono ormai più di 20 i funzionari di polizia indagati per i reati di falso e calunnia. Ovvero per aver fabbricato false prove e su questa base aver denunciato e arrestato 93 persone per reati gravissimi pur sapendole innocenti. A queste imputazioni, che coinvolgono praticamente solo i firmatari dei verbali di arresto, ovviamente si aggiungono gli indagati per lesioni gravi appartenenti quasi tutti al Settimo nucleo antisommossa di Roma, quello del dott. Canterini.

PIAZZA ALIMONDA
Anche qui due fascicoli speculari ma, paradossalmente, non comunicanti. Da un lato tre giovani indagati per tentato omicidio per l’assalto al Defender. Tutti e tre presentatisi spontaneamente alla magistratura per raccontare come si svolse in realtà quella vicenda e rimasti indagati per questo reato gravissimo nonostante l’assenza assoluta di armi che non fossero le nude mani, sassi o un’asse di legno. Dall’altro lato l’indagine sull’omicidio di Carlo Giuliani. Su quest’ultima il più è ovviamente noto.
Tra pochi giorni, il 18 febbraio o in altra data prossima, verranno discusse davanti al Giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione per legittima difesa del procedimento a carico del carabiniere Placanica e la conseguente opposizione presentata dai legali della famiglia Giuliani. La conclusione della vicenda prospettata dalla Procura è difficilmente accettabile. Non solo per l’enorme rilevanza politica e simbolica di quello che rischia di diventare l’ennesimo mistero d’Italia, ma altresì perché le contro inchieste svolte faticosamente dal movimento hanno evidenziato alcuni punti oscuri che non sono stati in alcun modo tenuti in considerazione dalla Procura. Se da un lato abbiamo infatti la teoria ormai nota del “sasso intelligente”, dall’altro abbiamo altri fatti, certamente inquietanti, altrettanto certamente non chiariti dall’inchiesta. Nel fascicolo del Pubblico ministero si trovano, infatti, centinaia di pagine relative alla presenza e alle audizioni di manifestanti presenti o di abitanti della zona. Solo poche righe, invece, e raccolte nell’immediatezza dei fatti, e quindi con le difficoltà e i vuoti che si possono quindi immaginare, sulle presenze dei carabinieri, sui loro ordini di servizio, sulla loro immobilità di fronte a un assalto a un loro mezzo e così via. Troppi restano pertanto i coni d’ombra di questa vicenda.
La presenza in quella piazza di alcuni ufficiali dell’Arma già coinvolti almeno nominalmente nelle vicende somale (dalle sevizie all’omicidio di Ilaria Alpi), la sperimentazione a Genova di nuove strutture (le Compagnie di intervento rapido e risolutivo) addestrate sembra in modo simile e contestuale ai battaglioni utilizzati nelle aree di crisi per il cosiddetto peacekeeping, il recupero, quindi, di tattiche di guerra nella gestione di ordine pubblico e così via. Tutti elementi che, se poco avrebbero magari potuto dire sul momento specifico dello sparo, avrebbero però potuto chiarire lo scenario complesso e le regole di fondo in cui quel gioco di morte si è prodotto. Attendiamo, come si dice con formula di rito, con serenità e fiducia le decisioni della magistratura…

LE INDAGINI SUI MANIFESTANTI
Durante i giorni di luglio le persone arrestate furono più di 300 (compresi i 93 della scuola Diaz). Quasi tutte ad oggi rimangono indagate. Solo cinque sono già andate a giudizio e fra queste solo una condannata a otto mesi per il reato di resistenza aggravata. Per alcune di loro siamo già stati in grado di reperire testimonianze, orali o filmate, che dimostrano la falsità di quanto affermato nei verbali di arresto. Il lavoro è peraltro lungo e difficilissimo, dal momento che il materiale video è tantissimo e complicato riferire le singole immagini ai singoli episodi. Anche in questo caso, quindi, ogni aiuto, ogni informazione, ogni immagine è preziosa e attesa.
Scendendo nello specifico, i primi 120 arresti del 20 e 21 luglio furono per resistenza aggravata e, al più, danneggiamento aggravato. La motivazione cambia radicalmente per gli arresti effettuati nel campeggio di via Redipuglia, dove vengono prelevati e trasferiti a Bolzaneto e successivamente in carcere 23 appartenenti ai Cobas. Sarà la prima accusa di “devastazione e saccheggio” per i fatti avvenuti in piazza e verrà supposta un’associazione apposita al fine di compierli.
Si tratta di imputazioni pesantissime. La perquisizione al campeggio e l’iter degli arrestati è la prefigurazione di quanto accadrà nella notte alla scuola Diaz. Le “prove” vengono raccolte in modo confuso e raffazzonato. L’atteggiamento degli agenti intervenuti è durissimo, anche con i legali presenti. Ciò nonostante è addirittura il Pm a scarcerare i 23 arrestati subito dopo l’ingresso in carcere, per l’impossibilità di attribuire ad essi il materiale probatorio raccolto. Da questo momento in poi, a tutti i manifestanti arrestati verrà contestato il reato di “associazione a delinquere internazionale e armata denominata Black blok finalizzata alla devastazione e al saccheggio”. Articoli 416 e 419 del codice penale. Da 8 a 15 anni di carcere. Questi procedimenti sono tuttora pendenti in fase di indagini preliminari. Neppure i 93 della scuola Diaz ad oggi sono stati scagionati da un’accusa di tale gravità.

IL TEOREMA SOTTESO
Agli arrestati “della prima ora” si aggiungono i diversi identificati nel corso di questi mesi. Il dirigente della Digos di Genova durante la conferenza stampa seguita agli arresti del 4 dicembre ha parlato di 374 identificati certi. Probabilmente a carico di molti di loro non è stato trovato neppure un fotogramma.
Diversa, invece, la situazione dei 23 arrestati dell’ordinanza del 4 dicembre. In quella notte nove persone vengono tradotte in carcere, uno posto agli arresti domiciliari, altri 13 sottoposti a forme diverse di controllo: dall’obbligo di dimora notturno a quello di presentarsi quotidianamente alla polizia. Per molti di loro il Tribunale del riesame ha disposto un’attenuazione della misura. Ad oggi, quattro persone restano in carcere, uno agli arresti domiciliari, gli altri variamente sottoposti ad obblighi.
L’accusa è per tutti di “devastazione e saccheggio”. Quella di “associazione” - che non piace da sempre alla Procura di Genova e piace ancor meno dopo i fatti di Cosenza - viene però sostituita, perlomeno sul piano dell’interpretazione dei fatti e delle sue conseguenze, dall’istituto, risibile ma presente, della “compartecipazione psichica”. Quindi non una vera associazione, così difficile da provare, che veda riuniti un gruppo di violenti che si danno una copertura di pacifisti, ma un concerto di piazza fra il Blocco nero e frange del corteo delle Tute bianche contro l’operato legittimo delle forze dell’ordine, con la copertura o, per lo meno, la connivenza di chi si astiene dall’intervenire, del resto dei manifestanti aderenti al Genoa social forum.
Il teorema è chiaro. Ed è lo stesso già espresso dal presidente del Consiglio il 22 luglio 2001. Il Genoa social forum, per ingenuità o per precisa volontà, non ha saputo isolare i violenti, sia quelli che aveva al suo interno (Disobbedienti e Cobas), sia quelli incontrati in piazza (il Blocco nero). Questa incapacità può essere interpretata come connivenza. Il Tribunale del riesame di Genova, esorbitando in modo palese dalle sue specifiche competenze, arriva a sostenere che le avanguardie del corteo dei Disobbedienti (le prime file) erano organizzate per arrivare allo scontro con le forze dell’ordine e hanno creato un raccordo in piazza con altre frange violente di manifestanti. Le cariche dei Carabinieri sul corteo autorizzato di via Tolemaide vengono giudicate assolutamente legittime, anzi, semmai tardive. Chi ha reagito lo ha fatto in modo consapevole, mentre avrebbe potuto andarsene, abbandonare il campo. Per questo non merita alcuna attenuazione di responsabilità ma, al contrario, per il semplice lancio di un sasso così come per la sola presenza - è il caso di alcuni dei Cobas - risponde di tutti i fatti commessi in quei giorni: devastazione e saccheggio, appunto.

CONTRO LE GARANZIE E I DIRITTI
È impossibile, ovviamente cercare conclusioni di vicende così ampiamente aperte e in corso di evoluzione. Tuttavia, alcuni elementi di preoccupazione emergono già oggi in modo chiaro.
Da un lato, infatti, occorre chiedere che sia fatta completa luce sulla gestione dell’ordine pubblico a Genova, sulle sue ragioni, sulle finalità, sull’intervento delle forze di sicurezza e di intelligence straniere (per la sempre più evidente commistione fra operazioni militari all’estero, travestite da compiti di polizia internazionale, e gestione dell’ordine pubblico interno condotte con tecniche e sperimentazioni militari). Vanno chiarite le responsabilità dei singoli agenti, ma ancora di più quelle di chi ha pensato e ordinato il complesso dell’attività delle forze dell’ordine, dai vertici dell’Arma dei carabinieri al capo della polizia.
Dall’altro lato rimane preoccupante la ricostruzione dei fatti operata da chi indaga, che permette di operare il passaggio da vittime a “provocatori”, così come accadeva un tempo per i casi di stupro. Uno degli aspetti più inquietanti è proprio questo: il fatto che chi manifesta è automaticamente “dalla parte del torto”, la sua testimonianza non vale quando afferma responsabilità di appartenenti alle forze dell’ordine, i suoi sentimenti di paura e rabbia (che concorrono per il carabiniere Placanica a determinare la legittima difesa) sono anzi elementi a carico, il non aver impedito il verificarsi di danneggiamenti equivale ad averli provocati o, quanto meno, approvati e sostenuti. E tutto questo mentre la Procura di Cosenza sostiene che l’organizzazione di manifestazioni in occasione di eventi internazionali è automaticamente espletata “contro l’attività di governo” e per questo passibile di rientrare in fattispecie punite come eversive.
Sarebbe semplice, come si dice da più parti, pensare che tutto questo dipenda dalla situazione governativa attuale in Italia. Ma non è così. E non solo perché alcune delle dinamiche individuate sono in corso, anche nel nostro paese, da prima che la compagine governativa mutasse segno (si veda quanto accadde a Napoli o a Brescia), ma soprattutto perché l’aumento e l’articolazione delle strategie repressive sul movimento e sui migranti sono attuate in modo assolutamente generalizzato e rappresentano il fronte interno della guerra globale permanente.
Attraverso l’utilizzo di strumenti facili quali la sicurezza o il terrorismo interno o internazionale viene lentamente scardinato un intero sistema di garanzie e diritti universalmente riconosciuti. Genova, Guantanamo, la nuova normativa antiterrorismo europea (recepita dall’Italia con l’introduzione degli artt. 270 bis e segg. c.p.), le politiche sulla criminalità soprattutto minorile in Francia, l’introduzione della Bossi-Fini sono tessere di un mosaico che si va lentamente chiarendo, e mostra un’immagine cupa. Le inchieste sui fatti di Genova possono essere un’occasione per togliere alcuni dei tasselli inquietanti di questa sistematica cancellazione di diritti. È una grande occasione per riportare chiarezza e giustizia dove si vorrebbe regnassero l’ombra e la paura. Dentro e fuori dalle aule dei tribunali.

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