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sigonella chiusa e segreta
by alessandro mantovani (post by blicero) Tuesday, Apr. 01, 2003 at 2:29 PM mail:

Fallisce l'ispezione dei parlamentari Verdi e Prc alla base della Sesta Flotta Usa impegnata nel conflitto. La Difesa oppone il segreto su tutto, anche sui numeri «Le bombe? Partite da qui» Parlano alcuni dipendenti «civili» della base Usa di Sigonella

Sigonella blindata Deputati come turisti
Fallisce l'ispezione dei parlamentari Verdi e Prc alla base della Sesta Flotta Usa impegnata nel conflitto. La Difesa oppone il segreto su tutto, anche sui numeri E spuntano i catanesi del Polo: «Siete provocatori, solidarietà agli americani»
L'Italia in guerra Cacciabombardieri sulla pista, elicotteri negli hangar. Cento: «Livelli di sicurezza più alti rispetto a Camp Darby e Vicenza»
ALESSANDRO MANTOVANI
SIGONELLA (Catania)
«Sono il sottotenente Tom Messina, elicotterista dei Black Stallions. Con i nostri mezzi siamo intervenuti durante l'eruzione dell'Etna, aiutando a lanciare massi di cemento sul Vulcano. E un'altra volta, a Cesarò vicino Messina, siamo andati a sistemare un enorme crocifisso sulla montagna perché i camion non ci arrivavano». Così parlava il giovane ufficiale italo-americano, fiero della sua divisa e dello stemma con il cavallo nero. Quando però i parlamentari-ispettori di Verdi e Prc, ieri a Sigonella, hanno cominciato a chiedergli della guerra, Tom non sapeva cosa rispondere e i suoi capi, un po' apprensivi, l'hanno circondato per parlare al suo posto. «Gli elicotteri fanno supporto logistico, sulle portaerei trasportano viveri, rifornimenti e posta per i militari». Tutto qui? «Tutto qui, la guerra da Sigonella nemmeno la vediamo. Non è cambiato nulla», spiegano gli ufficiali italiani. Nei seicento ettari alle porte di Catania c'è la più grande base americana del Mediterraneo, la retrovia della VI flotta Usa impegnata nel conflitto iracheno. E' uno snodo strategico dei piani d'attacco, come per la prima guerra del Golfo nel `91 e poi negli interventi nei Balcani. Ma alle domande di Paolo Cento e Mauro Bulgarelli (Verdi), Elettra Deiana e Giovanni Russo Spena (Prc), ieri la risposta era sempre la stessa: «Riservato», «classificato», segreto insomma. I quattro deputati sono stati intruppati, fin dall'arrivo, su un pullman con gli ufficiali a bordo e la scorta dei carabinieri davanti. Sembravano giapponesi in vacanza, senza però la macchina fotografica. I militari hanno mostrato loro la sala radar che controlla i voli civili sulla Sicilia orientale, poi il quartier generale delle previsioni del tempo e un paio di hangar. Solo alla fine dopo trattative, tira e molla e lunghe telefonate a Roma, i deputati hanno potuto vedere un insignificante deposito di munizioni leggere, granate a mano e roba del genere. «Siamo insoddisfatti, il livello di sicurezza è più alto rispetto alle altre basi», ha detto Cento a nome di tutti. «Le attività di Sigonella - ha insistito Deiana - sono regolate da un accordo del '54 tuttora segreto anche per il parlamento, un accordo che risale alla guerra fredda quando almeno si sapeva a cosa servivano le basi americane. Ma ora il contesto è mutato. A cosa servono? Chi decide?».

Nelle scorse settimane, a Camp Darby (Pisa) e alla caserma Ederle di Vicenza, i parlamentari-ispettori erano riusciti a strappare molte cose ai comandi americani. Nella prima visita «la conferma - ricorda Bulgarelli - della presenza proiettili all'uranio impoverito, usati in chissà quanti poligoni del nostro paese oltre che in guerra». E nella seconda, lunedì scorso, è venuta fuori la vicenda dei parà della 173a brigata aviotrasportata, decollati per il Kurdistan iracheno da Aviano (Pordenone) in aperta violazione della mozione parlamentare che esclude la partenza di missioni d'attacco dal nostro paese. Ieri perciò il ministero della difesa è corso ai ripari e la visita è stata gestita dall'abile ufficiale che rappresenterebbe «la sovranità nazionale italiana» a Sigonella, il colonnello dell'aeronautica Giorgio Russo. Più defilato il commander Usa, colonnello Tim Davidson. Discreto ma efficente il simpatico consigliere dell'ambasciata Usa di via Veneto (chiamiamolo così) che si è guardato bene dal presentarsi ai deputati. E come se non bastasse sono spuntati i catanesi del Polo, che senza dover attendere i 20 giorni imposti ai colleghi dell'opposizione si sono presentati ai cancelli. C'erano il senatore forzista Giuseppe Firrarello, che solo con l'immunità potè evitare nel `99 un arresto per una storia di mafia e appalti; il figlio del fu notabile andreottiano Nino Drago, Filippo, deputato Udc; l'imprenditore forzista Ilario Floresta e Fabio Fatuzzo di An. Sono venuti, hanno spiegato, «per portare solidarietà alle forze armate e agli Stati Uniti», nonché per rispondere alle domande degli ispettori quando il colonnello Russo non ce la faceva più. E infine per chiamare «provocatori» a visita ultimata. «Se sono costretti a marcarci stretti è un successo politico», commentano i deputati dell'opposizione.

«Gli ufficiali - sottolinea Russo Spena - non hanno risposto neanche sul numero dei militari americani in servizio» (7000 se non di più secondo alcune fonti, ndr), né sull'intensificarsi del traffico aereo». «Da dove viene quel caccia? E dove va?», chiedeva Bulgarelli davanti a un F16 appena atterrato. «E' qui per le riparazioni». «Cosa c'è in quelle casse? Si può dare un'occhiata?», domandava Cento davanti a un camion che scaricava chissà che. «Riservato». E le casse sono rimaste sigillate.



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«Le bombe? Partite da qui»
Parlano alcuni dipendenti «civili» della base Usa di Sigonella
PATRIZIA ABBATE
SIGONELLA (Catania)
«La guerra? In realtà sono almeno tre, quattro mesi che qui c'è la guerra...». È difficile entrare a Sigonella, eppure ci sono almeno tremila civili che ci lavorano dentro, fianco a fianco coi militari, e che vedono quello che ai parlamentari in ispezione non è consentito vedere. Aerei che decollano strapieni di merci «hazardous», pericolose. Diretti verso destinazioni «XXX», «unknown», sconosciute. Luca - il nome è inventato, l'identità preferisce non vederla pubblicata... - è uno di questi. Spiega come è difficile continuare a fare il proprio lavoro in questi giorni terribili in cui il conflitto vero, nutrito di bombe e morti e visto soprattutto in tv, si mescola a quello interiore, fatto di crisi personali rispetto a un'attività che «vuoi o non vuoi, è comunque di supporto alla guerra». E continua: «Il lavoro è aumentato notevolmente, non c'è dubbio. Basti pensare che se normalmente l'attività di atterraggi e decolli è contenuta quotidianamente in due pagine di "schede", adesso siamo a otto, nove pagine». Che in numeri di aerei significa esser passati dalla normale ventina «a sessanta, settanta voli al giorno». Ma non è cominciato ora, assicura Luca. «Sono almeno tre, quattro mesi che questo movimento è iniziato, segno che la guerra in Iraq è stata decisa ben prima del 20...». Marco è un altro dipendente di Sigonella, lavora anche lui nella «zona americana», e conferma: «Siamo diventando matti... Certo che c'è un incremento di voli, e di arrivi di persone: sono militari, familiari, gente comunque diretta al fronte di guerra o alle basi vicine; che andrà a fare da supporto di vario tipo...». E soldati? «Certo che ne abbiamo visti, e tanti: passano da qui, non si fermano a lungo...». I rapporti con i militari Usa restano cordiali. Solo un po' più di tensione in generale nella base, «i controlli sono aumentati, ma non rigidi come nei giorni successivi all'11 settembre...», ma la sensazione è quella di lavorare «al buio», «non sappiamo effettivamente cosa viene trasportato, ma certo che ci sono armi. In alcuni carichi c'è scritto esplicitamente, explosive material, con specificato anche il peso: ce n'è da un quintale; in altri, appunto, c'è scritto solo "pericoloso"». Le armi sono depositate in un arsenale che si trova fuori dalla base propriamente detta, anche se a pochi metri. È il Weapons department, il deposito esplosivi che «è controllato esclusivamente dagli americani». E le destinazioni dei velivoli? «Buona parte del traffico in questo momento è diretto ad Akrotiri, in Grecia, dove stazionano le portaerei Truman e Roosevelt, e anche nella base di Souda Bay, sempre in Grecia. Ma ci sono aerei diretti in Kuwait, Bahrein... e si fermano quasi sempre qui, per rifornimenti, i velivoli che arrivano dalle basi statunitensi...». Il tipo di aerei che fa scalo alla base è anch'esso vario, dagli elicotteri C2 ai Boeing, capaci di portare 170 mila pound di carico.

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