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Relazioni introduttive e relazione finale Gruppo guerra e pace forum donne firenze
by mj Tuesday, May. 27, 2003 at 10:49 PM mail:

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Relazione introduttiva di Celeste Grossi, Donne in Nero, al gruppo "Pace e guerra, parole e pratiche di donne"

Donne in nero

In difesa del benessere
dell’incerta posterità
era già tutto deciso
arbitrariamente.
L’angoscia si accaniva.
La fraternità offesa atrocemente.
Per non disperare
per non nasconderci
per recidere l’indifferenza:
nel tetro inverno nel centro della città
in piedi ferme non rassegnate non sperdute.
Il nostro furioso silenzio si faceva sentire
contro la morte contro il massacro.
Ne abbiamo visti tanti passare
adirati
curiosi
disorientati
trascinando i figli per mano fingevano
di non vedere la nostra testimonianza.
Facevamo paura
noi.
Aspettando che ridiventassero uomini
speravamo la risposta
una voglia di pace
perché non fosse più necessario
noi donne consapevoli
gridare il lutto
con il silenzio

[Gladys Basagoitia Dazza: nata in Perù, Donna in Nero a Perugia]

Ho pensato di iniziare con la lettura della poesia di Gladys perché contiene alcuni degli elementi simbolici del nostro pensare e del nostro fare: il nero e il silenzio.
Quando manifestiamo siamo vestite di nero, il colore del lutto di fronte agli orrori della guerra, e stiamo in silenzio. Il nostro silenzio non è rassegnazione e impotenza (i nostri occhi interrogano le donne e gli uomini che passano, ma anche i potenti della terra ai quali vogliamo segnalare la nostra totale estraneità alle loro scelte e il nostro rifiuto di qualsiasi complicità.
La nostra pratica è nonviolenta ma radicale. Ci siamo con il corpo, con il cuore, con la mente. Le manine (a forma di fiore di loto, simbolo di pace rappresentano un "ponte" tra donne che rifiutano di sentirsi nemiche) recano scritte rivolte ai propri governi, parole non urlate, semplici ma frutto di una elaborazione collettiva e di un processo di condivisione.
La prima manina è comparsa a Gerusalemme Ovest a Paris Square, oggi per tutte noi Hagar Square, in ricordo di Hagar Roublev la femminista pacifista israeliana cofondatrice delle Donne in Nero, sopra c'era scritto Stop the occupation.
L'idea delle Donne in Nero israeliane era quella di lanciare una forma di protesta permanente, pubblica, nonviolenta, così fortemente simbolica da poter essere attuata anche in poche. Una pratica, ormai diffusa nel mondo (la Rete internazionale delle Donne in Nero contro la guerra e il militarismo è presente in tutti i continenti), basata sulla continuità (a Gerusalemme le Donne in Nero manifestano senza interruzioni ogni venerdì dal 1988).
Essere per le strade per urlare in silenzio "Fuori la guerra dalla storia" assume una valenza straordinaria oggi che la guerra, che sta nel DNA del neoliberismo, è "preventiva" e permanente; non è più uno strumento della politica ma è la politica stessa di chi, con le armi, difende il mondo iniquo in cui viviamo; oggi che la guerra è considerata una transizione accettabile verso la pace, perfino da donne, uomini e partiti che si definiscono di sinistra.
Essere per le strade per urlare in silenzio "Fuori la guerra dalla storia" sa di utopia eppure noi Donne in Nero agiamo perché l'utopia diventi concreta: per fare la pace prepariamo la pace, con modalità di pace. Una pace giusta, perché non c'è pace senza giustizia e non c'è giustizia se non si sradica la povertà.
Reali sono le nostre iniziative di opposizione alla guerra e alla partecipazione dell'esercito italiano alla guerra. Reale la nostra azione di denuncia della militarizzazione dei cuori e delle menti e della spericolata macchina del consenso mediatico che la sodstiene. Reale il nostro pensare, fare, parlare. Reale il nostro attraversare confini, anche quando sono difesi con le armi, e conflitti per "abitare" i "luoghi difficili" con i nostri occhi testimoni e i nostri corpi solidali. Reali i nostri incontri con le donne dei "luoghi difficili" per tessere relazioni e praticare la "diplomazia dal basso" e una politica internazionale altra, dalla parte dei popoli inermi e non degli stati in armi.
Reale il nostro agire per l'affermazione dei diritti collettivi e individuali (perché i diritti o sono di tutti, di tutte, o non sono), dei diritti di uomini e di donne, più spesso delle donne perché nel mondo patriarcale in cui viviamo sono più spesso violati.
Reale il nostro costruire ponti di pace e tessere reti di solidarietà, trame invisibili che segnano il tracciato della relazione e del riconoscimento delle differenze.
Reale il nostro dare voce a che voce non ha per rompere il muro del silenzio indifferente e perché nessuna, nessuno, possa dire "non sapevo".
Reali i nostri progetti per disarmare il mondo e le menti.
Reale il nostro sostenere le "Signore della pace", invece che i "Signori della guerra", per accompagnarle nel loro percorso di libertà-liberazione.
E reali sono soprattutto i nostri corpi quando ci interponiamo tra eserciti armati e civili inermi.


Anna Picciolini, dell'Associazione Rosa Luxemburg.

L'Associazione nasce nel contesto della Convenzione permanente di donne contro le guerre, con l'obiettivo di lavorare per costruire una cultura e una pratica politica che escluda la guerra come strumento di soluzione dei conflitti.
Il nome di Rosa Luxemburg è stato proposto di Lidia Menapace: per alcune di noi all'inizio questo era poco più di un nome nella bibliografia essenziale del marxismo.
Abbiamo invece scoperto a poco a poco una profonda consonanza. Nel seminario che si tenne a Firenze nel dicembre 2001, a tre mesi dalla Torri gemelle e alla vigilia della guerra in Afganistan, la figura di Rosa è uscita sempre meglio delineata, nella sua interezza di donna, capace di tenere insieme passione politica, lucidità di analisi teorica e sentimento forte di partecipazione alla vita, nella sua dimensione quotidiana e non solo nella tensione rivoluzionaria verso un mondo migliore.
Donna, e contro la guerra: sarebbe una forzatura chiamarla femminista, ma fu donna libera con una pratica di libertà e un pensiero antidogmatico; forse anche la definizione di pacifista sarebbe inadeguata, ma fu antimilitarista, denunciando il legame inestricabile fra militarismo e capitalismo.
E quindi il seminario di Firenze allargava lo sguardo sulla guerra oggi: quali i rapporti fra l'industria militare in cerca dei massimi profitti e l'economia della globalizzazione? E quale soggetto politico può opporsi a questo nuovo imperialismo?
Al Social Forum Europeo dello scorso novembre, abbiamo partecipato proseguendo la riflessione su alcune parole chiave: ordine/disordine; estraneità/infedeltà, resistenza, complicità/responsabilità.
Adesso, nel percorso che da Firenze 2002 va a Parigi 2003, stiamo preparando, per il prossimo mese di ottobre un seminario sul conflitto, su come il conflitto si presenta in diversi contesti e come si possono trovare modalità non distruttive per gestirlo: conflitto di genere e interno al genere; conflitto fra stati e fra etnie; conflitto di classe; conflitto fra la specie umana e la natura.


Relazione “Convenzione di Donne contro le guerra”
Firenze 17/18 maggio 2003

Intervento di Imma Barbarossa nel gruppo Pace e guerra

L’elemento innovativo di questi ultimi 15 anni è senza dubbio la guerra nel cuore dell’Europa, la guerra di una parte dell’Europa all’altra, la partecipazione degli eserciti europei nelle guerre americane al “Sud del mondo”.
Prima dell’89 il confine tra un’Europa e l’altra attraversava il cuore di Berlino e attraverso l’Istria arrivava nell’Adriatico. Quella dell’est era un’altra Europa, quella povera e “antidemocratica” che – caduto il regime socialista – diventa “l’Europa delle etnie e dei barbari. Crollano i regimi, tornano le appartenenze “comunitarie” che o si dispongono ad accogliere il mercato “democratico” occidentale o fanno caos e disordine.
A un certo punto l’Europa “buona e democratica”, l’Europa dei “diritti umani” decide di fare ordine nel caos delle macerie. Nasce la guerra umanitaria, una guerra illegale e fuori del diritto internazionale, una guerra paradossalmente per i diritti.
Nel cuore della guerra del Kosovo siamo nate come Convenzione permanente di donne contro le guerre. E le parole hanno un senso: convenzione di donne, perché alcune donne, singole o associate, con-vengono su alcuni punti politici e programmatici, permanente perché le guerre sono permanenti e infinite, denotano la fase che stiamo attraversando.
La nostra riflessione, in particolare la mia, verte sulla critica delle appartenenze, delle patrie, degli eroismi, dei nazionalismi e dei militarismi.
In secondo luogo occorre scavare nell’ordine patriarcale per comprenderne fino in fondo la modernità, al fine di decostruirlo anche negli aspetti simbolici. Il patriarcato oggi si annida nella globalizzazione, si presenta con la faccia feroce degli integralismi e dei fondamentalismi (ad est e ad ovest), o si presenta con la faccia esportatrice della democrazia dei diritti umani e del mercato.
Penso che le donne possano e debbano avviare una pratica della nonviolenza attiva, che certo non tende ad equiparare aggressori e aggrediti, ma che ritiene che occorra disarmare la ferocia dei rapporti tra gli stati attraverso il disarmo dei militarismi mentali. La pratica della nonviolenza non può che coniugarsi con l’affermazione della giustizia. Tuttavia se proponiamo una Europa “in pace”, non possiamo pensare all’Europa come ad una cittadella autosufficiente, ma ad una Europa soggetto attivo di pace e tramite tra il Nord e il Sud del mondo. A questo proposito l’Italia come altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per la sua collocazione “mediana”, per la sua storia e per la sua cultura “meticcia” (si pensi alla Sicilia araba e greca, alla Calabria e alla Puglia greche, albanesi, bizantine) ha l’obbligo di farsi sostenitrice dell’abbattimento delle barriere e del superamento delle frontiere.
La discussione che si e' avviata all'interno del gruppo e' stata molto vivace ed ha espresso posizioni diversificate, molti comunque gli interventi che hanno posto in discussione il nesso fra femminismo e pacifismo.
Le parole chiave del gruppo sono state: Patriarcato, guerra/conflitto, militarismo, militarizzazione della societa' e delle menti, insignificanza.

Temi di discussione:

FEMMINISMO E PACIFISMO (nesso): alcune hanno sottolineato il esso fra femminismo e pacifismo inteso quest'ultimo come movimento che tende alla creazione di un mondo senza guerra senza negare i conflitti; alcune hanno sottolineato come oproprio a partire dal femminismo si arriva alla scelta del pacifismo; Carla Lonzi ( antimilitarista) parla del conflitto fondamentale uomo/donna come di quel conflitto che non finisce con l'eliminazione dell'antagonosta quindi proprio a partire da qui no alla logica amico/nemico, si alla gestine positiva dei momenti e delle situazioni di scontro o di conflitto.

PATRIARCATO E GUERRA (nesso) ci si e' chieste se questo e' un contributo originale rispetto alle analisi del movimento piu' improntate alla questioni economiche, militari e geopolitiche e se questo puo' costituire il nostro contributo; molte ne hanno convenuto, qualcuna ha eccepito che la guerra la subiamo tutti e tutte e quindi il movimento delle donne puo' essere d'aiuto alla lotta contro la guerra in modo migliore stando in modo piu' organico all'interno del movimento.
Sull'anallisi di questo nesso ma anche sull'analisi della globalizzazione no c'e' comunque dubbio che Pechino e' stato il primo e piu' alto momemto in cui si e' iniziato a parlare in termini di globalizzazione e di politiche comuni in un mondo globalizzato e che questo oltre al linguaggio e alle pratiche e' un debito che il movimento ha verso le donne molto spesso poco riconosciuto.

INSIGNIFICANZA- Qualcuna ne ha parlato rispetto al movimento delle donne sugli esiti di di questa guerra e in seguito a questa guerra, sensazione spressa anche da altre come delusione rispetto alle pratiche (interposizione in Iraq).
Si e' detto anche che spesso le donne occidentali appaiono rispetto alle donne del Sud del mondo un po' autoreferenziali e portatrici anch'esse di un pensiero occidentale non sempre condiviso dalle altre, oppure americanizzate (guardiamo ssolo ai soldi, guardiamo solo al nostro ombelico, distruggiamo il senso della comunita' insomma manchiamo di trascendenza)
Su questo puinto c'e' dibattito, certamente c'e' bisogno di nuove parole, inventare nuove modalita' di andare oltre le insufficienze, ma trascendenza e' anche sapere che il mondo non finisce con noi e dobbiamo costruire una cultura altra fondandoci sulla memoria di cio' che e' stato realmente. E' positivo che nei movimenti affiori questa memoria anche per quanto riguarda l'assunzione delle partiche delle donne (orizzontalita', rispetto delle differenze, ascolto, almeno nei desideri).
Qualcuna ha sottolineato anche che non ritiene insignificante l'apporto delle donne al dibattito contro la guerra perche' e' un pensiero che trascende le guerre contingenti anche se in un contesto in cui la guerra si avvia a diventare permenente, e si impegna per un mendo senza guerra e senza violenza.
Verso la fine dei lavori e' venuto fuori un duiscorso sulle pratiche di nicchia che sarebbero quelle dei gruppi di donne che si distinguono per le varie pratiche e posizioni, naturalmente altre hanno sostenuto che non c'e' voglia di stare in niocchia ma di distinguersi per il portato dell'analisi che non puo' prescindere dal conflitto uomo/donna nel personale e nel politico.
Si e' convenuto sul fatto che non si poteva costruire una "riflessione condivisa" per Parigi e che sentivamo la necessita' di ritrovarci per un altro incontro in settembre/ottobre mentre nel frattempo ci saranno altri incontri nazionali o internazionali di donne La Convenzione il 21 giugno a Roma alla Casa Internazionale delle donne, alla fine di Agosto le DIN convegno internazionale a Massa Marittima, La data dell'incontro dell'Associazione "Rosa Luxemburg" e' allegata alla relazione inviata da Anna Picciolini.

L'ncontro sara' su questi punti:

1) Approfondire il nesso "Femminismo e pacifismo"
2) Un ragionamento sulle pratiche e i metodi non-violenti di agire i conflitti:
a. pratiche di interposizione, difesa civile, presenza internazionale come testimonianza e documentazione di quanto accade, diplomazia dal basso, diplomazia femminile, ecc.
b. conoscenza precisa dei termini del dibattito internazionale (ONU,UE, OSCE, ecc) senza dimenticare una riflessione femminista sul diritto sessuato presente da decenni (es. diritto d'asilo sessuato)
c. Saper progettare anche trispetto a riforme e a varchi offerti dalle stesse istituzioni internazionali ( es. risoluzione 1325 del 30/10/2000 che affida alle donne risoluzione dei conflitti e Costtituzione europea)
2) approfondire il nesso fra patriarcato e guerra decostruendolo.

Patricia Tough e Franca Giannoni

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