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http://italy.indymedia.org/news/2003/08/345732.php Invia anche i commenti.

Quel giorno a Bologna....
by uno che c'era Saturday, Aug. 02, 2003 at 4:29 PM mail:

SGUARDI Scorre il tempo, lungo i binari della memoria, della giovinezza perduta, della vecchiaia rattrapita. Il suono di un vecchio boato spezza i vetri dell'orologio, ferma le lancette, le inchioda ad un presente che molti hanno voluto. Rimangono i secondi dei minuti e delle ore che abbiamo passato a giocare. Felici. Quando eravamo corpo, spazio e tempo.




L'orologio segna le 10,15. E' il 2 agosto 1980, stazione di Bologna. Sole e caldo. C'è un ragazzo, ventun'anni da poco compiuti. Con una valigia aspetta sotto la pensilina del primo binario. Prende un fazzoletto e si asciuga il sudore, sotto il berretto guarda e osserva gli sguardi sconosciuti di una stazione d'estate. Roberto Procelli è in servizio di leva, 121 Battaglione di artiglieria a Bologna. Viene da San Leo di Anghieri, quattro case a quaranta chilometri da Arezzo. Era partito per militare pochi mesi prima. Non avrebbe mai voluto lasciare il paese, Rinaldo e Ilda, i suoi genitori e quella ragazzina che gli faceva il filo da quando era poco più di un bimbo. Roberto si mette proprio sotto l'orologio, dove c'è la sala d'aspetto di seconda classe. Attraverso il vetro scorge i volti di quella gente, ascolta perfino i loro discorsi. C'è la famiglia con i ragazzini che non stanno mai fermi,lo studente che disegna il volto di una donna mentre allatta il figlio, una coppia in viaggio di nozze, i boys scout che mangiano i panini, un giovane con lo zaino sulle spalle, militari in libera uscita che vanno al mare, la nonna con il nipote e la loro valigia, gente che dorme, gente che legge. Immagini di un paese che va in vacanza, con il sorriso sul volto e il biglietto del treno in tasca. Accanto a Roberto c'è un ragazzo di ventiquattro anni, spagnolo. Ferdinando Gomez Martinez viene da Madrid. Sogna da anni un viaggio in Italia. I suoi amici gli hanno raccontato delle avventure, di mare e sole, di belle ragazze, di monumenti, di storia. Si pettina davanti a uno specchio. Aspetta l'annuncio del suo treno e ascolta quel brusio di gente che corre in fretta. Sembra una melodia, un suono amico. C'é chi attende la coincidenza mentre in biglietteria le persone formano una lunga coda. "A che ora parte il treno per Basilea?" - chiede un signore - "Se si sbriga è sul binario 1. Era in ritardo ma ora il capostazione ha dato il via libera". Ferdinando entra nella sala d'aspetto e scorge, accanto al muro del self service, tre ragazzi che parlano spagnolo. Pablo, Paco e Josè si erano appena incontrati in Piazza Maggiore, quattro chiacchiere, un giro per la città e poi in stazione per continuare il viaggio. Romeo Ruozi, 54 anni, vaga per la stazione. Cerca Valeria, sua figlia. Poche ore prima Romeo le aveva detto "Vengo a prenderti come al solito...ti aspetto al solito posto, al binario del treno che viene da Verona, quello delle 11,56". Romeo é previdente, anticipa ogni appuntamento. Lo fa per abitudine, da sempre.

Nel bar ci sono centinaia di persone, la porta si apre e si chiude in continuazione. "I panini sono finiti - dice il cameriere alla cassiera - chiama il proprietario, c'é troppa gente". L'altoparlante annuncia il diretto per Firenze. Il treno è in partenza. Un ragazzo impreca a voce alta, sbuffa, allarga le mani. E' convinto di trovare l'amico sul treno. Così si infila in un sottopassaggio, corre e prende quel treno mentre il controllore fischia forte. L'amico non lo vede: è a pochi passi da lui ma una comitiva di turisti tedeschi li divide. Fuori, nel piazzale, c'è il parcheggio dei taxi. Fausto "Togliatti" Venturi e Romeo Rota stanno appoggiati alla macchina, un 132 diesel. Aspettano i clienti. Sono amici, di quelli veri. Parlano di calcio, degli ultimi acquisti del Bologna, della settimana appena trascorsa a Chianciano, la cura e il riposo. Togliatti guarda le belle ragazze che vengono dal nord: é scapolo, vive con la madre, pensa a sposarsi ma non disdegna le mangiate con gli amici, il vino frizzante bevuto là su in collina. Ma il fresco quel giorno é lontano e la fila dei taxi é lunga. Con Togliatti e Rota ci sono anche i colleghi, seduti nelle macchine senza aria condizionata e neppure un ventilatore. "Boia che caldo - dice Fausto - Guarda la gente che parte e noi qui a lavorare". Con Fausto e Romeo c'è Francesco Betti, i taxisti lo chiamano "Verbale". Francesco parcheggia il taxi in terza fila, accanto alle catenelle che delimitano lo spazio delle auto pubbliche. Si gira e guarda verso la sala d'aspetto di seconda classe. Euridia Bergianti, 49 anni, sta dietro al bancone del self service."Mi fa un cappuccino? -chiede un signore con il cappello - Caldo, mi raccomando... ma non bollente". Euridia prende la tazza grande. Fa scendere il caffè, lentamente. Poi lo zucchero in bustina, il cucchiaio, il vassoio, e il cappuccino caldo é servito. Gesti quotidiani, meccanici, compiuti senza noia. Katia Bertasi è una collega di Euridia. Impiegata alla contabilità del ristorante, è al telefono con un fornitore. "L'ultima fattura del latte non andava bene... Mi raccomando, lo dica al suo principale". Mentre Katia é al telefono, Nilla Natali entra negli uffici dell'amministrazione. E' giorno di stipendi alla Cigar. "Katia....non ti preoccupare....sono venuta a darti una mano per fare le buste paga.....tanto oggi vado in ferie". Franca Dall'Olio é lì accanto a Katia e Nilla. Risponde al telefono. "Uffa c'è un altro fornitore....ma non ci lasciano in pace neanche il 2 agosto". Franca prende la cornetta del telefono. "E' arrivata la merce? .....venga su lei.... mi ha fatto venire in mente che devo fare un'altra cosa.....poi vengo".

Nella sala d'aspetto i bambini sono sempre più impazienti. Giocano, scappano, si nascondono poi si riprendono. "Dai.....non mi prendi....non sai correre". E il padre non riesce a calmarli. C'è Sonia Burri, 7 anni. Ci sono i fratelli danesi Eckhardt e Kai Mader. Corrono....corrono....senza sosta. "E' in arrivo sul binario 3 il locale da Firenze". Sulla panchina del primo binario Francesco Diomede Fresa, quattordici anni, legge un fumetto. Con la madre Enrica Frigerio e il padre Vito aspetta di partire. Le valige sono pesanti, stracolme di vestiti, costumi da bagno, magliette, scarpette da pallone. Vito è direttore dell'Istituto di Patologia generale della Facoltà di Medicina di Bari. Poco più in là c'è Iwao Sekiguchi, giapponese, vent'anni. E' in Italia da un mese. Attende il treno per Venezia. Nella sala d'aspetto di seconda classe. Maria Fresu parla con la sua bambina Angela, 3 anni. "Non essere impaziente... non posso comprarti il gelato di mattina... Tra dieci minuti arriva il nostro treno, andiamo al lago". Ma Angela è disattenta. Corre, corre, corre. Va verso le due amiche della madre. Verdiana Bivona e Silvana Ancellotti si prendono cura della bimba e giocano. Maria Fresu è contenta, spensierata, felice. Vive a Montespertoli, un piccolo paese vicino a Firenze. Tutti i giorni prende il locale per Empoli, si sveglia presto, otto ore in una fabbrica di confezioni. Quel viaggio con le amiche lo aveva progettato da mesi. "Due settimane sulle rive del Garda ci faranno bene" - amava dire alle colleghe.

Angelina e Domenica Marino sono appena scese dal treno che viene dalla Sicilia. Vivono ad Altofonte, un paesone di case bianche e grige, adagiato lungo le rocciose pendici di un monte arido, a dodici chilometri da Palermo. Altofonte, diecimila abitanti, tanti anziani. I giovani emigrano verso il Nord. Angelina e Domenica vanno nella sala d'aspetto di seconda classe e scorgono tra i tanti volti quello che conoscono bene. Luca Marino vive a Ravenna da cinque anni. Professione: manovale. Le aveva chiamate due mesi fa. "Ci vediamo il 2 agosto, alla stazione, viene anche Antonella........ve la farò conoscere....é una ragazza tanto carina". Angelina, Domenica, Luca e Antonella si incontrano alle 10,22, in stazione. I baci, l'emozione di chi viene da lontano, le storie di un paese che si incontra.

Nazzareno Basso infila una mano in tasca e prende una ventina di gettoni. Si appoggia a quel telefono che sta vicino al ristorante. Sono le 10,23. Compone il prefisso di Venezia. Lentamente. Sa che nella sua piccola casa a Celtana di Santa Maria lo aspetta la moglie Ines e le quattro bambine. Le aveva chiamate quasi un'ora prima. "Non mi aspettate....mangiate pure......sono in ritardo ma tra poco arrivo". Nazzareno lavora a Milazzo, Sicilia, profondo Sud. E dal Nord-Est, zona non ancora ricca, si è spostato per cercare fortuna. Si ritrova lì, in quella stazione d'agosto per un banale ritardo di un treno. Uno stupido ritardo. I bambini corrono più forte. Nel ristorante vengono serviti decine di caffè. 10,24. Roberto Procelli sta uscendo dalla stazione, verso piazzale Medaglie d'Oro. E' a due passi dalla cabina telefonica. Sul treno fermo al binario 1,le persone si sporgono dai finestrini del treno per Basilea. Qualcuno fuma una sigaretta, altri parlano negli scompartimenti. Si sente un boato. L'orologio segna le 10,25.

Lo scoppio.... Il rumore assordante.....Il vuoto d'aria.......tutto schizza e si sbriciola.....le traversine dei binari si divelgono .....la sala d'aspetto di seconda classe si sgretola.........Il ristorante va in pezzi......le grida di aiuto........altre piccole esplosioni..........La morte.......Il silenzio.......e poi le grida degli innocenti.

Alla stazione di Bologna c'è l'angoscia. La prima ambulanza arriva alle 10,27. Poi ne giungono altre, e altre ancora. Sirene che nascondono la rabbia di una città colpita al cuore. Da lontano si intravedono uomini in divisa rossa, vigili del fuoco e volontari, soldati, carabinieri, poliziotti, gente comune. Sotto una parte rimasta intatta della stazione, l'orologio si è fermato. Arrivano i mezzi di soccorso, le scale, le pale. Ogni cosa serve a ritrovare i superstiti. Qualche anno dopo scriverà Torquato Secci: "Ed è stato, da allora, un accorrere incessante di medici, infermieri, carabinieri, vigili del fuoco, in un frastuono di sirene, in un vortice di gente impazzita che usciva terrorizzata dall'edificio colpito a morte, che cercava di entrarvi alla ricerca di un figlio, di una madre, di un parente, di un amico. Ragazzi stranieri, che attendevano una coincidenza per il mare, si chiamavano per nome e non si ritrovavano più. Dalle macerie estraevano gli zaini insanguinati e le salme di compagni di viaggio, degli amici che erano venuti a concludere a Bologna, in una calda mattinata d'agosto, la loro breve esistenza....."

Si sente il rumore assordante delle ruspe che cercano tra le macerie. Scavano. Tutti sperano di udire da qualche anfratto, tra le traversine, un lamento. La zona è bloccata, circondata da un cordone di militari. E lì intorno detriti di ogni tipo, vetri frantumati, persone smarrite. Molti corpi sono ancora nel sottopassaggio che porta al terzo binario, sotto i mattoni infranti della sala d'aspetto, del ristorante, della biglietteria. Due carrozze del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea sono sventrate. Doveva partire due minuti dopo ma l'esplosione lo ha travolto. Nell'atrio delle partenze, militari e vigili del fuoco accatastano tutto: scarpe, zoccoli, borse, bagagli abbandonati, sacchetti di plastica con un po' di frutta, un orologio. L'Amministrazione Comunale di Bologna organizza un ufficio di assistenza. Si recano in stazione gli assessori comunali: provvedono al coordinamento delle iniziative di soccorso. Arrivano 350 soldati della Brigata Trieste e del Genio Ferrovieri. Il medico in servizio all'ambulatorio della stazione ha voglia di parlare. "Poco dopo sembrava un mattatoio. Ho sentito un boato fortissimo, mi sono voltato di scatto e ho visto le sale d'aspetto e del ristorante saltare in aria".

Un signore siciliano si trovava sul treno per Basilea. Stava con la moglie, su quella carrozza. "Ero al finestrino per fumare una sigaretta quando ho visto un'enorme fiammata uscire dal finestrino del ristorante". Un cronista del Resto del Carlino é tra i primi a giungere alla stazione. "E' stata una cosa tremenda. Ho visto un'enorme fiammata dai colori giallo, arancione, nero e subito dopo si è formato una specie di fungo". Il giornalista bolognese Lamberto Sapori, alle 10,25 era sul piazzale. "E' stato terribile. Una specie di fungo di macerie e fumo ha spaccato in due la sala d'aspetto della seconda classe, le schegge sono volate via, fino all'ottavo piano dell'albergo di fronte". Marina Gamberini, 20 anni, viene estratta dalle macerie e trasportata all'ospedale. "Ho sentito che tutto si capovolgeva e mi sono trovata la sedia addosso, non potevo muovermi e la gente mi passava sopra. Era come se fossi in un incubo. Poi mi sono addormentata".

Il racconto degli scampati é lucido. Ugo Natale, padre di Roberto, 13 anni. Roberto era appena stato dimesso dall'ospedale. "Eravamo nella sala d'aspetto di prima classe, proprio dove sono cadute più macerie, mi stavo allontanando quando ho sentito un boato. Sono stato il primo a correre dentro quel polverone in cui non si vedeva niente e ho scavato come un pazzo fino a quando ho trovato Roberto. Era incastrato di fianco, sulla sedia della sala d'aspetto. Mi ci è voluta un'ora per liberarlo". Viene ritrovata una bambolina rossa. La teneva in braccio Sonia Burri che aspettava con i genitori il treno per Roma. Sonia è una piccola vittima della strage. Ma non è la sola. Altri cinque ragazzini attendevano il treno sul primo binario che li avrebbe portati a Rimini. Di loro il capostazione vicario Azelio Scarpellini ricorda. "Li avevo visti, erano irrequieti, quando è arrivato il treno per Basilea pensavano fosse il loro. Volevano salire a tutti i costi ma il ferroviere ha detto di aspettare e loro si sono seduti. E subito dopo sono stati spazzati via dall'esplosione. Ho chinato la testa sulla scrivania, ho pianto come un bimbo, non riuscivo ad alzarmi". Arriva una donna, era in vacanza in Versilia. "Mio marito, dov'è mio marito?". Un militare le si fa accanto e le impedisce di avvicinarsi. C'è anche l'angoscia di un giovane padre che attende la figlia. E' appoggiato ad una colonna . "Non so, non mi chieda, cerco mia figlia, Patrizia. Doveva tornare con me ieri sera, ma ha voluto fermarsi a Parma per andare a ballare in discoteca. Mi ha detto di venirla a prendere qui, alle 10,30, sul piazzale della stazione. Non la trovo. Dov'è?". Patrizia Messineo aveva 18 anni, una vita davanti, speranze, voglia di vivere, sogni.

Vicino ad una trave d'acciaio crollata, c'è un uomo con gli occhi rossi. Ha i capelli brizzolati. Luigi Balestri, 41 anni, è impiegato all'ufficio sanitario delle Ferrovie dello Stato. "Mi sono salvato per miracolo, la morte mi ha sfiorato. Ero in servizio, sono andato con un collega dall'altra parte del binario a prendere un caffè. E' stato un attimo. Dopo l'esplosione ho sentito l'odore della polvere da sparo. E' stato un attentato, sono sicuro. Ho fatto il carrista, non sono uno sprovveduto. La caldaia non c'entra, è intatta".

Stefano Ragazzi è un operatore della rete televisiva bolognese Ntv. E' il primo cameramen che arriva in stazione. Le sue sono immagini grezze. Senza montaggio rendono l'idea di ciò che é avvenuto. "Appena sono giunto in stazione lo scenario era apocalittico, sembrava la guerra. C'erano travi, sassi, macerie dappertutto. Presi la telecamera e iniziai a girare. Dopo qualche minuto non ce l'ho fatta. Quello che vedevo nell'occhio elettronico era troppo forte. Così ho prestato i primi soccorsi con i volontari che intanto affollavano la piazza". Immagini grezze, di chi coglie ogni sguardo, ogni emozione, ogni dolore. E' come se gli occhi di Stefano, che allora era un ragazzo al suo primo impiego, fossero una cosa sola con la telecamera. Immagini girate con l'anima più che per dovere professionale. Il risultato è un documento importante, che fa parte della storia del giornalismo televisivo. Immagini che hanno fatto il giro del mondo. Qualcuno corre mentre i passeggeri che escono dalla stazione guardano i corpi straziati rimasti a terra. I volontari improvvisano barelle con quello che trovano: assi di legno, plexiglass, coperte, lenzuola bianche. Un taxista mostra a Stefano dove sono caduti Betti e Venturi. sono là, senza vita, schiacciati dai massi della sala d'aspetto, accanto alle loro auto gialle, schizzati a pochi metri uno dall'altro. Un signore con la camicia inzuppata di sangue è lì che piange e mormora frasi incomprensibili. Un'infermiera di un'ambulanza si mette le mani tra i capelli. Si intravede la sagoma di una donna bionda: un medico le tasta il polso, é morta. Una signora chiede aiuto mentre rimane seduta, come in stato di shock, sopra un carrello porta bagagli. Un vigile del fuoco sorregge il capo di un ragazzo in fin di vita. E ancora rumori di ambulanze e grida. Si spostano i taxi a mano: sono schiacciati dalle travi. Enormi blocchi di cemento nascondono due cadaveri irriconoscibili. Tra i soccorritori c'è chi indossa una maglietta, chi sta in camicia e cravatta, chi in canottiera. Ognuno ripreso nello sforzo di offrire un conforto, un aiuto.

Il Resto del Carlino esce con un edizione straordinaria. Ci sono già le fotografie della strage. "Gli orologi della stazione sono fermi alle 10,25. I morti accertati sono più di trenta; i feriti più di cento. Ma dal cumulo di macerie impastate di carne e di sangue continuano ad emergere cadaveri maciullati di uomini, donne, ragazzi, bambini, vecchi che stavano partendo per le vacanze o attendevano la coincidenza nelle sale d'aspetto attigue al ristorante......Nella voragine aperta dall'esplosione é crollata un'ala intera della stazione ferroviaria....Solo una bomba d'aereo o un quintale di tritolo avrebbe potuto seminare tanta rovina e spargere tanto sangue. Urla, invocazioni lamenti si sono subito levati come dopo un bombardamento....".

Da fuori puoi scorgere quello che rimane della stazione. E sul piazzale c'è padre Mario, un domenicano che recita il rosario con la veste bianca, macchiata di sangue. Quando dalle macerie giunge una barella lui fa il segno della croce. Don Mario era solo nel convento: gli altri sono tutti in ferie. Appena appresa la notizia, si é precipitato in stazione e da mezzogiorno benedice i morti. Don Mario si chiede: "Chissà se erano pronti a morire ?". I corpi martoriati vengono allineati sopra un autobus. E' il 4030 della linea 37. Di solito è diretto verso la Chiesa di San Francesco, dall'altra parte di Bologna. Ora il suo percorso è diverso. Procede lento, verso l'obitorio e le vittime vengono deposte l'una accanto all'altra. Quelle che si possono riconoscere. Perchè una bomba messa in una valigia in una sala d'aspetto, in una stazione d'agosto, lacera i corpi, distrugge il cemento, provoca un vuoto d'aria per centinaia di metri, porta i corpi e quel che resta delle persone via, lontano. Perchè le bombe non sono intelligenti, non pensano, non hanno parole. Sono congegni perfetti, costruiti da uomini per uccidere altri uomini, per intimorire, creare paura, terrore. Le bombe non parlano.

Hans Jurt, 60 anni, sindaco di Aesch, un cantone di Basilea, è rimasto ferito. "Ringrazio i medici, gli infermieri. Dopo dieci minuti dallo scoppio erano già lì. Sul treno colpito dalle schegge c'erano anche mia moglie e mia figlia, tornavamo dalle ferie. Siamo salvi per miracolo. Ho visto una donna cadere a terra, uccisa da un cornicione che si è staccato dalla pensilina come se fosse cartapesta". La porta dell'ufficio del capostazione é sempre aperta. Sembra uno di quegli uffici postali il giorno del pagamento della pensione. "C'è un elenco dei morti, dei feriti?"I funzionari lavorano in un mare di carta, non hanno il tempo di prestare ascolto a nessuno. Quell'ufficio diventa la prima centrale operativa, dopo la strage. Tra una telefonata e l'altra i ferrovieri invitano a recarsi negli ospedali. I feriti sono quasi duecento, ricoverati in tutti gli ospedali della città: le ambulanze vanno al Maggiore, Sant'Orsola, il Bellaria, Rizzoli,il centro traumatologico e i posti di soccorso di Imola, Modena e Bentivoglio. Al Maggiore ci sono le liste generali, di tutti i ricoverati. All'ufficio informazioni la coda è lunga, i feriti sono 44, una decina in gravi condizioni. Il vice direttore sanitario Lino Nardossi si toglie il camice. Almeno per un minuto. "I medici stanno facendo tutto il possibile ma non è vero che non c'è personale". Al secondo piano hanno ricoverato i feriti meno gravi. Silvia Moltusti era in stazione. Doveva portare il marito, dimesso dall'ospedale a Faenza. "Siamo entrati in un chiosco per prendere una bibita, quando abbiamo sentito un boato. Per alcuni minuti non abbiamo visto più nulla. Polvere e odore di bruciato, quello caratteristico dei petardi. Sono trascorsi attimi interminabili, quando siamo usciti, i miei occhi hanno visto scene che non credevo vere. Gente che gridava, invocava aiuto. Altri che imbrattati di sangue, non avevano la forza di rialzarsi". Al terzo piano c'è Francesco Pellissola di Modena. Il suo è il racconto di chi ha sfiorato la morte. "Dovevo tornare a casa dopo il lavoro, perciò ero alla stazione. All'improvviso mi sono sentito travolto da una trave, sono caduto, ma ho fatto a tempo a rialzarmi ed a fuggire. E' stata una bomba, ho infatti sentito un forte odore di zolfo, come se avessero acceso improvvisamente migliaia di fiammiferi. Mentre correvo, la gente gridava: un attentato, un attentato".

Lì vicino Domenico Tina ha un trauma cranico, è in stato di choc. Lui vive ad Ansola, un paesone alle porte di Bologna. "Ero proprio sul primo binario quando sono stato scaraventato a terra. Si è alzato un gran polverone e, prima di perdere i sensi, ho sentito un bimbo implorare: Mamma, dove sei?".Giorgio Gallon ha perso tutto alla stazione di Bologna. Non sa che la moglie Natalia e la piccola Manuela sono in fin di vita. Dovevano accompagnare la bimba in colonia. "La roba volava da tutte le parti. C'era un gran fumo e non si vedeva niente. Sentivo solo i colpi che mi arrivavano sulla schiena, quasi al buio. Avevo mia moglie da una parte e dall'altra la ragazzina che doveva andare al mare. Quando mi sono svegliato ero in questo letto, da solo". Giorgio piange forte e continua a ripetere la stessa frase. "Dov'è Natalia? Dov'è la mia piccola Manuela?". Al piano terra i parenti si ammassano davanti l'ufficio informazioni. Chiedono e urlano. E dietro al banco si muove una ragazza, un'infermiera minuta, mentre i telefoni squillano in continuazione.

Una donna si mette in coda. Passano i minuti ed è arrivato il suo turno. Cerca suo figlio in quell'elenco. Spera che non ci sia, ne è convinta. Invece la ragazza la invita ad aspettare. Arrivano altre persone e dietro a loro altre ancora. "Se c'è una brutta notizia è meglio darla subito". La ragazza la guarda, tenta di dire qualcosa ma un signore la distrae per un attimo. Sono pochi minuti e in quella frazione di tempo rivede il volto di quel ragazzo, che lei ha voluto. Del suo unico figlio. Si mette da parte ma ormai ha capito. Una mano le prende la spalla mentre sta seduta e fissa il vuoto. "E' una parente?".Alza lo sguardo e scorge un medico in camice verde. E' un chirurgo. "Non ce l'ha fatta. Lo hanno raccolto dentro la sala d'aspetto di seconda classe che era ancora vivo. Poi la corsa con l'ambulanza al Maggiore ma aveva troppe complicazioni. E' morto mentre stava iniziando l'operazione". Lo sta ad ascoltare, non perde una sillaba. Poi si mette le mani nel volto e piange, in silenzio. Rimane lì qualche minuto, mentre la ressa all'ufficio informazioni del Maggiore diventa enorme. Fugge via, prende un taxi verso la stazione e se ne va che é già sera.




Dal libro sulla strage: "10.25, cronaca di una strage".
Vite e verità spezzate dalla bomba alla stazione di Bologna - di Daniele Biacchessi

Trovate molto materiale: http://www.stragi80.com/bologna/index.htm

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