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Yehoshua Sobol agli israeliani: dite no
by Dahlia Amit (da Il Manifesto) Tuesday, Aug. 19, 2003 at 12:30 PM mail:

Il famoso drammaturgo, testimone e protagonista della lotta contro l'occupazione

Da quasi 30 anni Yehoshua Sobol, il più celebrato drammaturgo israeliano, notissimo anche a livello internazionale, è testimone oculare, attraverso le sue opere, dei pricipali problemi politici e sociali che tormentano la società israeliana fin dalla sua nascita.Un testimone molto impegnato, come il protagonista del suo ultimo dramma - Testimone oculare - che tratta dell'obiezione, un argomento vivissimo in Israele da quando un numero crescente di soldati della riserva rifiuta di servire nei Territori occupati. Yehoshua Sobol, vincitore di molti premi in patria e fuori, ha scritto 46 drammi, 12 dei quali sono già stati rappresentati all'estero: negli Stati uniti, Norvegia, Svizzera, Germania, Austria, Olanda e anche in Italia. I suoi lavori sono stati tradotti in 18 lingue, fra cui giapponese, turco, russo, finnico, olandese e tedesco.

Cresciuto fra gli arabi

Dall'inizio Sobol, cresciuto in un villaggio israeliano circondato da villaggi arabi, sostiene che il ricorso di Israele alla forza nella ricerca della sicurezza sommato al montante fanatismo nazionalista e religioso, porterà il paese al disastro. Un diastro analogo a quello della distruzione del secondo tempio. Ha scritto un dramma centrato sull'analogia fra le forze che portarono alla distruzione del tempio e le forze che operavano nella realtà di Israele prima degli accordi di Oslo. Il dramma, «The Jerusalem syndrome», fu presentato per la prima volta nel momento in cui scoppiò la prima Intifada, nell'87. Fu accolto molto male e Sobol dovette dimettersi dal suo incarico di direttore artistico del Teatro di Haifa e decise di lasciare Israele tornandovi solo dopo la firma degli accordi di Oslo, nel `93. Dice Sobol: «Nella scena iniziale, un soldato ebreo uccide un civile perché sospetta che abbia rubato una vacca. Questo provocò uno scandalo. Perché un soldato che uccide un civile fu visto come la condanna di quel soldato e come la comparazione fra gli antichi ebrei che si ribellavano ai romani e i palestinesi di oggi. Io non sopportai una interpretazione così falsa, da parte sia della destra sia della sinistra, l'ostilità del pubblico e della stampa e me ne andai».

Passato e presente

Ho incontrato Sobol dopo aver visto di recente a Tel Aviv il suo ultimo lavoro, Eye Witness, e gli ho chiesto di tirare una linea di continuità, attraverso le sue opere e dal suo punto di vista di drammaturgo, fra il passato e il presente. «Sylvester 72 era il mio primo dramma che trattava di un problema di fondo della nostra esistena qui: i rapporti con la popolazione araba all'interno di Israele. Fu scritto dal punto di vista di un giovane israeliano, figlio di uno dei fondatori, che lascia Israele in segno di protesta contro la confisca di terre arabe in Galilea allo scopo di erigere una nuova città, Carmiel. Il figlio arriva in Israele per una visita, vede la sua foto nella stanza di suo padre, in una cornice nera, come se fosse morto; vede suo cognato, divenuto ricco grazie grazie alla guerra dei sei giorni, ricco, volgare e spietato, e sente che quella è il volto del nuovo Israele, che sfrutta l'occupazione. Allora decide di ripartire subito con il primo aereo.

Da quel dramma a Eye Witness la linea è chiara e continua. Quel che mi ha riportato in Israele sono stati gli accordi di Oslo. Nel frattempo, vivendo all'estero, ho scritto diverse altre opere. Una trilogia sull'olocausto: Ghetto, Adam e La cantina, e un dramma su Otto Weininger, un ebreo tedesco posseduto dall'ossessione di diventare ariano fino ad arrivare al suicidio avendone verificato l'impossibilità. Dopo essere tornato in Israele ho scritto The Village, che rappresenta per me, visto con gli occhi di oggi, una visione irrealistica delle speranze suscitate dagli accordi di Oslo. Racconta di un villaggio nella Grande Israele, prima del `48. Nel '42, la battaglia decisiva comincia a El-Alamein e Rommel alla fine viene sconfitto. Tuttavia, prima della sconfitta, la paura era grande fra la popolazione ebraica della Palestina.

Sapevano che se Rommel avesse vinto, gli inglesi si sarebbero ritirati in Iraq e i tedeschi sarebbero entrati in Palestina. Gli inglesi rifornirono la Haganà di armi per compiere sabotaggi le armate di Rommel e la Yeshuv (comunità) ebraica preprò un piano tipo Masada, per riunirsi sul monte Carmel, resistere e alla fine suicidarsi tutti. Quel periodo fu uno dei più pacifici fra arabi ed ebrei. Quello fu anche il periodo della mia fanciullezza. Ricordo dei rapporti idilliaci con i nostri vicini. Mio padre era responsabile di molti aranceti e gli arabi lo rifornivano di escrementi per concimarli e poi compravano le arance e le rivendevano. Ricordo di contadini arabi ed ebrei che sedevano insieme e discutevano di cose legate alle colture e io speravo e mi illudevo che la pace potesse regnare.

Speranze e ingenuità

Quel lavoro riflette la ingenuità e di molti altri come me in quegli anni così vicini e pur già così lontani degli accordi di Oslo. Il sogno finì quando scoppio la seconda Intifada. Allora il problema di servire nei territori occupati e l'occupazione nel suo complesso è diventato impellente. Presto noi capimmo che il punto principale era l'occupazione e quindi cosa dovessimo fare rispetto ad essa. La risposta più chiara l'hanno data i refusenik, i soldati della riserva che si rifiutano di servire nei territori. Io ho sentito l'urgenza di trovare una situazione drammatica capace di affrontare questo problema e mi sono ricordato di avere letto di un soldato austriaco che rifiutò di servire nella Wehrmacht e per questo fu giustiziato. Ho pensato che un caso così estremo e così lontano avrebbero aiutato il pubblico israeliano a riflettere e porsi la domanda: cosa stiamo facendo?

Il soldato Franz dice no

Franz Yaegerstaetter, il soldato, sente di vivere in una società che mente su ciò che viene fatto in suo nome. E arriva alla conclusione personale, da contadino qual è, che della gente viene sterminata ponendosi la semplice domanda: "Ci sono treni pieni di gente che vanno a un campo, la cui popolazione non cresce". Per cui conclude che è dovere di ogni cittadino di capire cosa sta succedendo nonostante il lavaggio del cervello operato dalla propaganda. E una volta che ha capito, decide di agire di conseguenza. Come un testimone oculare tira la conclusione che lui non indosserà mai l'uniforme nazista. A nessun costo. Il prezzo, che è la sua vita, è un altro problema. Lui è una figura fortemente drammatica e resiste a tutte le tentazioni. Dal mio punto di vista riflette la nostra realtà, quando più di 500 soldati sono pronti a combattere all'interno dei confini del '67 per difendere il paese ma rifiutano di essere parte di un'occupazione infinita e di commettere i crimini che l'occupazione implica. Il diritto fondamentale di una società democratica è la libertà di coscienza, e, io credo, anche la libertà di sfidare le istituzioni democratiche. Io credevo che il pubblico israeliano fosse pronto, dopo gli ultimi difficili anni, ad affrontare questa questione. In effetti il pubblico reagisce molto positivamente e si è sviluppato un dibattito vivace e aperto. C'è una netta distinzione, a mio avviso, fra l'autodifesa e l'occupazione. Anche nel dramma. Il soldato Franz lo ribadisce in due semplici frasi-chiave: La prima è: "Colui che scatena una guerra, allo scopo di conquistare e occupare terre, dovrebbe perderla, sempre". La seconda, quando gli chiedono perché ritiene di avere il diritto di disobbedire, è: "Hitler ha rotto tutte le regole morali che l'umanità aveva accumulato in centinaia di anni, per cui nel momento in cui un leader rompe tutte le regole che erano patrimonio comune dell'umanità, il dovere del cittadino è di rompere le regole che il leader ha imposto". Quando qualcuno mi accusa di avere fatto un'analogia fra la Germania nazista e la presente situazione in Israele, la mia risposta è che il dramma non fa questa analogia e io non sono responsabile se qualcuno ce la vede. Che si chieda lui perché».

I confini di Israele

E allora quali sono le sue conclusioni di Sobol? «L'Onu ha riconosciuto i confini di Israele e Israele non può decidere da solo di cambiarli. I sogni non danno diritti e perseguire sogni, da entrambe le parti, porta alla catastrofe. Il movimento sionista non ha mai affrontato seriamente il problema dei nostri rapporti con la popolazione araba Israele. Resta un capitolo inconcluso, aperto. Bisogna certo ricordare che fu il mondo arabo nel '48 a rifiutare la risoluzione dell'Onu e il riconoscimento di Israele, divenendo ostaggio delle sue fantasie. Ma questo non diminuisce le nostre responsabilità, né sul trattamento della popolazione araba in Israele né sul fallimento nel raggiungere la pace né sull'occupazione e il rifiuto di ritirarsi completamente dalla West Bank e da Gaza. In definitiva, io credo che il cittadino abbia diritto di rifiutare di obbedire alla legge che lui sente violi i fondamentali diritti umani e offenda la sua coscienza».

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