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La rabbia del capo
by il manifesto Monday, Sep. 15, 2003 at 11:46 AM mail:

Gianni De Gennaro furioso per le accuse rivolte al suo pupillo Gratteri. I protagonisti «Abbiamo poca fiducia nel processo, al massimo cadrà qualche mela marcia» (foto Ap)

Al Viminale raccontano che Gianni De Gennaro è furioso. Il capo della polizia si aspettava le conclusioni dell'inchiesta sulla Diaz ma non che le accuse più gravi toccassero al suo pupillo Francesco Gratteri - fresco di nomina a capo dell'antiterrorismo - anziché a Vincenzo Canterini e ai celerini romani. E non a caso l'attacco più diretto ai pm genovesi e alla loro inchiesta campeggiava, ieri, su Repubblica, giornale vicino ai vertici della polizia. Ma a ben vedere non ci sono teoremi e neppure tableau, i 73 accusati non sono troppi né troppo pochi. In due anni i pm hanno accertato i fatti, hanno verificato le testimonianze delle vittime della Diaz e di Bolzaneto andandole a cercare in tutta Europa e hanno subìto menzogne e reticenze da altissimi funzionari di ps. Gli arresti eseguiti nella scuola non erano stati convalidati, poi la vicenda delle false molotov è stata svelata dal funzionario che le aveva trovate altrove e la loro consegna nel cortile della scuola è stata infine confessata dall'agente che ce le portò (Michele Burgio) e dal vicequestore che gli ordinò di farlo (Pietro Troiani). Attorno a quel sacchetto con le due molotov, fonte delle accuse più gravi, un filmato ritrae Giovanni Luperi, Lorenzo Murgolo, Canterini e lo stesso Gratteri, i quali all'inizio sostenevano di non aver mai visto le bottiglie, comunque di non averle toccate, comunque di non sapere dove fossero state trovate. Certo il processo (se verrà) avrà tutti i limiti di un processo indiziario, ma per parlare di teoremi ci vuole altro. O serve che gli indagati confessino?

Per Bolzaneto, parliamo di poliziotti riconosciuti da coloro ai quali spezzarono le mani, da coloro che vennero ingiuriati, da coloro che finirono nelle mani di un medico in tuta mimetica che rifiutava di curarli (Giacomo Toccafondi). E i funzionari non accusati direttamente di abusi non sono chiamati a rispondere a causa del grado ma perché, fuori dalla loro stanza, c'erano due ali di agenti che si accanivano contro gli arrestati che passavano. Per il codice sono penalmente responsabili anche dei reati che avevano l'obbligo giuridico di impedire.

Per la verità i pm di Genova sono stati assai prudenti. Anche senza teoremi avrebbero potuto inquisire Alfredo Sabella, il magistrato che a Genova rappresentava l'amministrazione penitenziaria. E tornando alla Diaz, avrebbero potuto chiamare Gratteri e Murgolo a rispondere anche del pestaggio che non impedirono. Anzi, avrebbero potuto incriminare tutti i 200 entrati nella scuola invece di «salvare» i Canterini-boys.

Ma al di là delle responsabilità penali, sulle quali decideranno i giudici, l'inchiesta Diaz ha fatto emergere che la polizia quella notte si mosse al di sopra del diritto.

Senza contare che la «perquisizione» fu ordinata nell'ambito di operazioni che un pm definisce «di rastrellamento», dopo due giorni di scontri con un morto, centinaia di feriti e cariche indiscriminate che hanno devastato l'immagine dell'Italia. Nessuno ha mai trovato gli agenti «vittime» della «sassaiola» che ufficialmente motivò il blitz. Un funzionario ha firmato i verbali pur non avendo partecipato all'operazione (l'ex capo della squadra mobile genovese, Nando Dominici). In tredici hanno sottoscritto quei verbali ma uno (firma illeggibile) non è mai stato identificato, come decine di poliziotti - organizzati in «bande» più che in reparti - che senz'altro picchiarono come dannati. Altri ancora hanno ammesso di aver scritto i verbali sostenendo poi di non aver compiuto gli atti. E lo stesso atteggiamento la polizia, non i singoli, l'ha mantenuto anche dopo. Perché non ebbe alcun seguito l'indagine interna del dottor Pippo Micalizio, che pure chiedeva un bel numero di procedimenti disciplinari fin dall'agosto 2001? Perché i funzionari si sono rifiutati di consegnare le impronte digitali affinché fossero confrontate con quelle ritrovate sulle due molotov? Perché gli agenti hanno presentato ai magistrati piccole e vecchie fototessera rendendo impossibili i riconoscimenti?

Il g8 2001 ci insegna purtroppo che di questa polizia non ci si può fidare, per non dire dei carabinieri che organizzarono le loro compagnie speciali ben prima di qualunque input politico, affidandoli a specialisti della Somalia e dei Balcani. E che una commissione parlamentare d'inchiesta sarebbe il minimo. Se si fosse trattato di poche «mele marce» e di «abusi di singoli» De Gennaro avrebbe già consegnato i colpevoli alla magistratura. O meglio, avrebbe provveduto da sé. Perché i poliziotti temono i loro capi assai più dei magistrati. E hanno ragione.

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