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ILARIA ALPI La vera storia
by billiejoe Tuesday, Oct. 14, 2003 at 7:06 PM mail:

dal mensile GQ di Marco Gregoretti

ILARIA ALPI La vera ...
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Un film dedicato alla reporter del tg3 uccisa a Mogadiscio riapre il caso. Ma 8 anni dopo resta il mistero. GQ ha trovato un testimone che accusa: ecco perchè l’hanno uccisa.


Maggio 1993. Somalia. Due figure nella notte. Un uomo e una donna occidentali a Mogadiscio, semidistrutta dalla "missione di pace". Si aggirano al porto vecchio, nei pressi del campo italiano. Lei è bionda, giovane e in mano tiene la piccola fotocamera Nikon comprata da pochi giorni. Fa cenni all'amico di seguirla. Piano però. Vedono una luce tenue uscire da una fessura tra due mura. Si avvicinano lentamente, molto lentamente. Le urla di terrore arrivano sempre più nitide.

Il cuore batte forte in gola a Ilaria Alpi, promettente giornalista in forza al Tg3. Sa già cosa sta per vedere. E lo sa anche il suo misterioso accompagnatore, in realtà un amico, militare. Con lui Ilaria Alpi è stata testimone di fatti agghiaccianti. A lui ha confidato e raccontato tantissimo di ciò che stava scoprendo, su cui stava indagando. Infatti, sette procure civili e quella militare lo hanno ascoltato sull'assassinio della giovane giornalista e del cameraman Miran Hrovatin, uccisi premeditatamente a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Ci sono fascicoli su fascicoli. Nomi e cognomi. Eppure: niente. In galera c'è solo un somalo venuto in Italia per testimoniare di sevizie e torture subite e finito in cella con 26 anni da scontare quale presunto killer di Ilaria.

Ammesso che sia lui il colpevole, chi armò la sua mano?

Bene, dopo oltre otto anni, alla vigilia dell'uscita di un film in cui Giovanna Mezzogiorno interpreta Ilaria Alpi, GQ ha rintracciato quell'amico della reporter. E mentre il Sisde e la Digos assicurano di proteggere un supertestimone, lui ci ha ricordato i segreti, piccoli e grandi, che Ilaria gli aveva confidato, affidato. In pratica quello che c'era scritto nei famosi taccuini spariti dal bagaglio della giornalista uccisa. E forse anche di più. Ecco il suo racconto. A cominciare da quella notte di maggio...

Fotografò gli ufficiali stupratori

Sì, il cuore batte forte, molto forte. Ilaria e l'amico si avvicinano lentamente al punto da cui provengono le urla di paura. Sono urla di donne. Dice la nostra fonte: "Scorgiamo alcune donne somale vicine una all'altra. C'è un gruppo di militari, tutti ufficiali e qualche sottoufficiale. Riconosciamo il tenente M., il tenente C. Con sorpresa vediamo anche il capitano dei carabinieri T (che oggi è tenente colonnello ed era in piazza Alimonda a Genova quando un colpo di pistola uccise Carlo Giuliani, come risulta dagli atti della commissione parlamentare di indagine conoscitiva sui fatti di Genova Ndr) e il maresciallo ordinario P. Uno di questi, mi sembra il tenente C., tira fuori una bottiglia, la mette in terra e dispone le poverette in cerchio, strattonandole e prendendole a calci... "Oggi tocca a te!" grida a una di loro.

Ilaria non perde un'immagine di questa terrificante sequenza. Il tenente afferra la "prescelta", la sbatte su un tavolaccio. Altri le tengono i polsi e le caviglie."Poi -prosegue il racconto a GQ - abbiamo visto un militare avvicinarsi urlando che toccava a lui iniziare. Per un'ora a turno la violentano. Finchè l'ultimo prende la bottiglia e...grida di dolore". La giornalista con la sua piccola fotocamera scatta silenziosamente e imprime sul rullino ogni fotogramma di quella schifezza. Ma qualcuno si accorge dell'ultima quasi impercettibile flashata. "Afferro Ilaria per una mano e scappiamo. Riusciamo a dileguarci in fretta. E la riaccompagnamo all'hotel Amana, a Mogadiscio nord. È terrorizzata". Ora davvero deve stare ancora più attenta: troppi sanno che sa. Continua a prendere appunti su tutto: altri stupri, bambini seviziati dentro i camion, madri che prostituiscono le figlie al miglior offerente. Appunta, scava, intervista. Si intrufola. Fa la giornalista, insomma. E confida all'amico: "Voglio scrivere un libro".

Traffico di armi e rifiuti tossici

Cosa avrebbe scritto, se avesse fatto in tempo, nel suo libro sulla Somalia? La scaletta erano i suoi appunti, le prove le sue fotografie. Tutto sparito. Parla l'amico: "Continuavo ad andare a trovarla all'Amana, indifferente alle velate minacce dei miei superiori. Una sera Ilaria mi raccontò alcune novità. Sosteneva di avere le prove di un brutto traffico di armi e scorie radioattive. Dall'Est, passando per l'Italia attraverso un corrispondente giungevano al nord della Somalia, distribuendosi capillarmente in tutto il Paese.

Ilaria credo che abbia scoperto uno dei canali che vengono utilizzati per il traffico delle armi. È lo stesso che serve a società di vari Paesi, tra cui l'Italia, allo smaltimento di scorie radioattive. Mi dice che andando lungo la strada dei pozzi, il traffico passa per i porti di Bosaso e di Merca. Poi con la complicità dell'Imprenditore Giancarlo Marocchino (un italiano che in Somalia era anche collaboratore del Sismi, ndr) che fornisce i mezzi per gli scavi, moltissimi fusti di rifiuti tossici vengono interrati. E i trasporti? Avvengono su navi fornite dalla cooperazione italiana, sia per le armi che per fusti. A Bosaso Ilaria andò anche perché aveva visto e fotografato dei militari italiani, senza stellette e mostrine, che scaricavano fusti da alcune navi. E voleva sapere cosa contenevano".

Ilaria Alpi raccontò le sue scoperte a un agente del Sismi, Vincenzo Li Causi, che era in Somalia per indagare anche su queste vicende. Una pallottola vagante, il 12 novembre 1993, ha ucciso anche lui. Dopo aver inviato in Italia, attraverso l'ambasciata, numerosi rapporti. Inascoltati. "Ilaria, invece, si sapeva fare ascoltare. Eccome. Ricordo una mattina. Sentivo urla e discussioni concitate. Andai a vedere. C'era lei che litigava pesantemente con il generale Bruno Loi, che comandava il contingente italiano in Somalia. La vedo uscire dall'ex ambasciata infuriata. Torna dopo qualche ora, ma le negano il permesso di entrare. Insiste. Ma l'ufficiale alza la voce e la maltratta. Ilaria minaccia di mandare in onda al Tg3 delle 14 tutto quanto successo. Cos'è successo? Che tutte le pattuglie dei Carabinieri quando escono hanno al seguito degli AK (kalashnikov, ndr) per farne uso qualora servano.

Mi tengo in contatto con Ilaria. Mi confida senza mezzi termini di avere paura. Ma non dei somali. Mi fa dei chiari riferimenti ad alcuni settori militari. Italiani". È in quei giorni che, secondo la nostra fonte, si verifica un episodio molto istruttivo: "Fu organizzata una finta cena cameratesca con i giornalisti italiani che seguivano la missione. Eravamo al Porto vecchio. C'erano il comandante del raggruppamento alfa e vicecomandante del battaglione Tuscania (carabinieri paracadutisti, ndr). In realtà volevano sapere quanto e cosa sapesse Ilaria Alpi. Perché nel suo taccuino non sono finiti solo gli stupri, le violenze e i grandi traffici. Ma anche tante piccole squallide storie quotidiane che lei non voleva perdonare. E che, a forza di rompere i coglioni, forse le sono costate la vita".

Cocaina e uranio impoverito

Per esempio: i somali rubavano i mitragliatori Scp 7090 da carri Vm e scappavano. Un problema serio che veniva risolto così, spesso sotto gli occhi dei giornalisti: "I comandanti chiamavano gli informatori somali che collaboravano con i capicellula dell'esercito italiano addetti ai settori. Gli informatori recuperavano l'arma: in cambio avevano 500 dollari che non si sa bene da che cosa uscissero". Oppure all'aeroporto di Roma la Guardia di Finanza perquisì ufficiali e sottoufficiali provenienti da Mogadiscio. Saltò fuori di tutto: droga, armi, avorio, scimmiette vive, pietre miliari, busti del duce e di Vittorio Emanuele, pistole Beretta 34 calibro nove, e pistole russe sequestrate ai somali. "Così furono intensificati i controlli a Mogadiscio. Dove beccarono un colonnello, oggi generale: aveva chat (una droga leggera) e cocaina. Allora diedero l'ordine di non perquisire più gli ufficiali che partivano per Mogadiscio". Ancora: "Già allora i bombardamenti più violenti gli americani li facevano lanciando, dalle fortezze volanti, bombe arricchite. Di uranio impoverito". E che dire di quell'ufficiale che fece esplodere una bomba al fosforo in camerata? Roba da radiazione immediata dall'esercito. Invece coprirono l'accaduto simulando un attacco dei somali. E al rientro in patria si beccò pure una medaglia al valor militare.

Chissà quanti ancora sono gli episodi di corruzione, piccola e grande, che avrebbe potuto raccontarci Ilaria Alpi. Ma qualcuno ha provveduto a tapparle la bocca per sempre. E non basterà certo un film per la tv a renderle giustizia.

GQ - Ottobre 2002


Armi in cambio di rifiuti tossici lo scoop che condannò Ilaria





di GIOVANNI MARIA BELLU La Repubblica 2 SETTEMBRE 2002

La verità è stata a portata di mano ma si è preferito ignorarla, voltarle le spalle. Così l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, è diventato un altro dei “misteri d’Italia”. Lo schema di questi nostri “misteri” è noto: a un fatto di sangue seguono indagini sciatte e approssimative che, anziché raccogliere elementi utili alla scoperta della verità, li confondono e li disperdono. Alla fine, a chi non s’arrende, resta una sola possibilità: incrociare quel che si sa del fatto con quello che si riesce a scoprire del depistaggio per risalire al nucleo di interessi fondamentali che del depistaggio è stato la causa. Complicato? Sì, certo. Ma è stato proprio questo lo schema su cui ha lavorato, fino alla scorsa legislatura, un organismo parlamentare: la commissione stragi.

Altrettanto fanno, a proposito del delitto di Mogadiscio, tre giornalisti di Famiglia Cristiana - Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari – nel loro “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici” (Baldini e Castoldi), da domani in libreria. Leggerlo suscita rabbia. La stessa che i tre autori esprimono in una delle ultime pagine del loro lavoro: «Peccato non avere gli stessi poteri della magistratura». Già, perché ad averli, quei poteri, si sarebbe potuto chieder conto – ad agenti dei nostri servizi segreti, faccendieri, ufficiali delle forze armate – di tanti comportamenti incredibili e sconcertanti. Perché mai – per fare solo un esempio – dal testo ufficiale di un’informativa del Sismi sull’omicidio fu depennata una notizia fondamentale per le indagini. E cioè che Ilaria Alpi, pochi giorni prima della morte, aveva subito minacce per l’attività svolta a Bosaso? Se infatti Mogadiscio è il luogo del delitto, Bosaso, porto del nord della Somalia, è il centro dei traffici che ne avrebbero costituito il movente.

Sull’omicidio Alpi-Hrovatin esistono due ipotesi fondamentali. Secondo una di esse, la giornalista e l’operatore ebbero la disgrazia di incappare in una banda di rapinatori sanguinari e maldestri, secondo l’altra Ilaria Alpi aveva scoperto qualcosa di molto grave e per questo fu assassinata. Carazzolo, Chiara e Scalettari - che dal 1998 si occupano del “caso Alpi” (il libro raccoglie e amplia i loro reportage apparsi su Famiglia Cristiana) – giungono a un passo dalla dimostrazione di quest’ultima ipotesi e , nel farlo, in un certo senso proseguono il lavoro avviato dalla giornalista del Tg3.

Perché se la dinamica dell’agguato difficilmente potrà essere chiarita (anche per la dissennata decisione di non effettuare immediatamente l’autopsia), è ormai accertato che Ilaria Alpi andò a Bosaso per indagare sul traffico di armi e rifiuti tossici e che alla vigilia del fatale ritorno a Mogadiscio era convinta di aver scoperto «qualcosa di grosso». Gli autori – smentendo ancora una volta il luogo comune secondo cui in Italia non esisterebbe un giornalismo investigativo (piuttosto, a volte, non esistono le ordinarie investigazioni) – danno una forma, dei nomi e dei cognomi a questo “qualcosa”: il business miliardario dei rifiuti tossici e radioattivi. In cambio di armi, i signori della guerra offrono pezzi di territorio alle industrie occidentali che in questo modo eliminano a bassissimo costo sostanze micidiali. La lista di casi di avvelenamento, tumori, malformazioni fetali segnalati in Somalia è spaventosa.

Traffici di questo genere non possono passare inosservati a chi svolge un lavoro di intelligence appena diligente: richiedono infatti un imponente impegno finanziario, organizzativo e anche militare. Ed è questo l’aspetto più inquietante della ricostruzione proposta dai tre reporter: il verminaio somalo era ben noto alle autorità italiane, sia negli aspetti politico-economici (lo scandalo della cooperazione, con un’inchiesta parlamentare finita nel nulla), sia negli aspetti imprenditoriali-criminali (il business dei rifiuti tossici). Ma quando si trattò di formulare una prima ipotesi sull’identità degli autori dell’omicidio, il nostro servizio segreto militare, il Sismi, propose la pista, allora molto improbabile, dei “fondamentalisti islamici”. Ed è qua che il caso Alpi entra nello schema classico dei “misteri” nazionali: è il depistaggio a rivelare il movente.

Ilaria Alpi: vita e morte di una giornalista
Chi era Ilaria Alpi? Una domanda come questa e il ricordo di molti va alla vicenda di quel tragico 20 marzo 1994 che ha messo fine alla sua vita e a quella dell'operatore Miran Hrovatin, in una strada centrale di Mogadiscio. Ma vale la pena non fermarsi a questo dato cronologico, dietro la sua freddezza e crudeltà resta una vita e una morte su cui non è inutile interrogarsi domandandosi fino in fondo chi era Ilaria Alpi e che cosa l'aveva spinta ad interessarsi alla Somalia fino a trovarvi la morte.
Ilaria Alpi era una giornalista, una giornalista coraggiosa con la mente in Europa e il cuore in Africa. Aveva studiato a Roma dove si era laureata in lingue straniere, poi dal 1986 il soggiorno in Egitto per ben tre anni, infine nel 1989 l'ingresso in RAI nella redazione esteri del TG3. Queste sicuramente le tappe più importanti della sua formazione caratterizzata da un grande interesse per l'Africa e le culture africane, che la conoscenza della lingua araba le aveva permesso di approfondire. Una formazione controcorrente se paragonata a quella di molti giovani della sua e di altre generazioni più interessati a ciò che accade in occidente e sempre piuttosto distratti su quanto avviene nei paesi del Sud del mondo.
Ilaria criticava severamente un certo tipo di atteggiamento, un errore storico degli occidentali sempre pronti a giudicare l'oriente con i propri parametri, partendo dal presupposto che la cultura dell'ovest sia necessariamente migliore e più giusta. Di loro diceva: "Visitano questi paesi come se andassero allo zoo, rifiutandosi di capire". Per lei invece capire era essenziale, anche le forme più estreme di quelle culture, come l'integralismo islamico, che negli ultimi tempi della sua vita aveva studiato per comprendere che cosa vi fosse alla radice di quel movimento.
Di Ilaria Alpi giornalista resta un immagine simbolo, una mano che regge il microfono e intervista nei luoghi più svariati le persone più diverse. Tutti i primi piani sono dedicati agli intervistati, di lei neanche un immagine. Spesso i genitori la rimproveravano: "Fatti vedere, così vediamo come stai", ma la sua risposta era sempre la stessa "La TV non è fatta per me, ma per le persone che intervisto".
Uno stile nitido fatto di pudore e antidivismo, proprio nell'epoca dell'immagine veicolata dalla TV spettacolo, ma che non rinuncia ad andare in fondo alle cose e ai problemi toccando le corde nascoste e spesso pericolose della verità.
Proprio in nome della verità Ilaria si reca in Somalia nella primavera del 1994 . Di Somalia era un esperta, vi era già stata diverse volte come corrispondente del TG3, per seguire l'operazione "Restore hope". Ma per l'ultima spedizione l'obiettivo è diverso: Ilaria stava indagando sui misteri della cooperazione italiana in Somalia e aveva scoperto un buco di centinaia di miliardi. In uno dei suoi taccuini si legge un annotazione: " Che fine hanno fatto i 1400 miliardi della cooperazione italiana in Somalia?" Per scoprirlo Ilaria vola a Mogadiscio con il cameraman Miran Hrovatin. La pista che segue la porta a Bosaso dove intervista il sultano Moussa Bagor, poi il ritorno a Mogadiscio per un ultimo appuntamento, quello fatale con la morte. Un gruppo armato nel centro della città circonda la macchina su cui viaggiano Ilaria e Miran; Miran siede davanti è colpito subito a morte, Ilaria incolume dopo il primo attacco si copre la testa con le mani in un disperato tentativo di proteggersi, un colpo sparato a bruciapelo la uccide.
Come la vita così anche la morte di Ilaria Alpi sollecita numerosi interrogativi. Perchè è stata uccisa ? Che cosa aveva scoperto? Perchè è chiaro che Ilaria Alpi ha trovato la morte in un attentato organizzato per impedire che divulgasse quanto aveva scoperto. Purtroppo fino ad ora è questa l'unica certezza di tutta la vicenda, la verità dell'attentato giace ancora in fondo al mare torbido della cooperazione italiana. Enormi somme di denaro spese male, spesso investite per traffici illeciti come quello delle armi. Probabilmente Ilaria Alpi si era imbattuta in uno di questi fiumi di denaro sporco. L'intervista col sultano le aveva dato la conferma dei suoi sospetti: carichi di armi che venivano trasportati alle fazioni somale in lotta usando soldi e mezzi della cooperazione italiana. E tutto mentre era in corso l'operazione "Restore hope" che cercava di disarmare le fazioni nel tentativo di riportare la pace nel paese.
I lati oscuri del caso Alpi sono tantissimi a cominciare dalle dichiarazioni false e dai comportamenti reticenti delle autorità dopo l'attentato.
Il 24 luglio scorso RAI 2 ha mandato in onda uno Speciale realizzato da Maurizio Torrealta e Paolo Mondani due giornalisti che si sono occupati della vicenda. In esso sono contenuti due filmati di grande interesse. Nel primo scorrono le immagini crudeli dei corpi senza vita di Ilaria e Miran subito dopo l'attentato; un dato emerge con chiarezza: lì intorno non c'è nessun militare italiano. Dunque non è vero che i corpi dei due giornalisti furono recuperati dai carabinieri come invece era stato affermato dal generale Fiore, comandante del contingente italiano a Mogadiscio.
Nel secondo filmato la scena si sposta a Bosaso, il luogo ove Ilaria aveva intervistato il sultano perchè nel porto di Bosaso era stata sequestrata una nave della cooperazione italiana; apparentemente un inerme peschereccio, ma probabilmente la nave trasportava armi. Nell'intervista, ripresa da Miran Hrovatin, il sultano non conferma i sospetti di Ilaria ma nemmeno smentisce. In certi punti la registrazione si blocca poi riprende. Forse in quei buchi il sultano aveva fatto nomi più precisi che Ilaria si era annotata.
Il mistero si infittisce ancora di più a Roma, quando arrivano le salme dei due giornalisti si scopre che dal materiale di Ilaria, inventariato a Mogadiscio, mancano alcuni taccuini su cui aveva annotato importanti elementi della sua inchiesta. Chi ha sottratto i taccuini di Ilaria e che cosa vi era scritto? Forse le dichiarazioni più compromettenti fatte dal sultano durante l'intervista?
Le indagini aperte dalla magistratura italiana appaiono subito poco decise e molto dispersive. Alcuni giornalisti tornati a Mogadiscio dopo la morte di Ilaria asseriscono che i nomi dei killer in città sono noti. Sono lì a portata di mano. Ma sembra proprio che i servizi segreti italiani questa mano non la vogliano afferrare. Anzi...La versione ufficiale data dell'omicidio, considerato una vendetta contro gli italiani, suona come un vero e proprio depistaggio. Chi e che cosa si è voluto coprire dando in pasto queste falsità alle agenzie di stampa? Verso la metà di agosto è emersa una nuova pista per le indagini: la testimonianza di un maresciallo dei carabinieri. Riferisce che Ilaria era a conoscenza delle violenze commesse dal contingente italiano in Somalia e voleva denunciarle. Non potrebbe essere anche questo un buon indizio su cui indagare?
Le domande si moltiplicano ma ancora oggi sono senza risposta. I nomi di chi ha ordito la trama del complotto restano un incognita, una X senza volto. La storia dell'uccisione di Ilaria e Miran è un altro muro di gomma all'italiana contro cui rimbalza ogni tentativo di raggiungere la verità. Amaro destino per chi come Ilaria amava la verità e di essa aveva fatto la ragione principale del proprio lavoro e della propria vita.
Eppure la vita e la morte di Ilaria Alpi non sono passate invano, ci ricordano che non tutte le forme di cooperazione sono positive, alcune non sono altro che corruzione e malaffare. Tutta la vita di Ilaria esprime un invito: liberarsi dai pregiudizi, saper guardare lontano, proprio come faceva lei in quella bella immagine filmata di nascosto da Miran sulla spiaggia di Bosaso, intenta ad osservare il mare forse alla ricerca di quella verità che oggi a tre anni di distanza dalla sua morte è ancora doveroso continuare a cercare.

Fabio (da http://www.citinv.it/)


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